“Da anni sono amico di Mario Borghezio, ho già collaborato con alcune sue testate. Penso al Borghese del Nord. Da lì è iniziata la mia conoscenza degli ambienti leghisti. Un giorno su Facebook mi ha contattato Aurora Lussana, il direttore, invitandomi a realizzare vignette per La Padania”.
Quindi?
“Le era arrivata una richiesta da parte di Roberto Maroni di sondarmi. Alla fine, abbiamo deciso per una collaborazione non continuativa. Solo due mie vignette a settimana”.
Solo una scelta lavorativa?
“Ci sono tanti punti di contatto con quel mondo. Vedi la questione immigrazione”.
Pensa che oggi ci sia più destra lì?”
“Assolutamente. Sì. Assolutamente. E lo posso pure spiegare”.
Prego.
“La destra, quella tradizionale, classica, aveva una grande demerito: non si occupava di politica estera. E se lo faceva, era dentro le righe, sempre filo atlantista e interventista. La Lega, invece, si è sempre distinta. Penso alla visita di Bossi a Belgrado durante la guerra in Kosovo. Questo stile mi piaceva già tantissimo”.
Un profilo, per altro, messo poco in risalto dalla stampa.
“Esatto. Certo, mi rendo conto che quello della politica estera è un mio pallino. E non solo mio. Una certa destra – quella un po’ più eretica, diciamo – ha sempre sviluppato un forte senso critico rispetto alle posizioni della destra canonica. Mi riferisco in particolare al gruppo fiorentino di Franco Cardini, Marco Tarchi, e ad Attilio Mordini…”.
I Campi Hobbit sono stati una sorta di start up?
“Guardi, è un’esperienza che mi porto nel cuore. Ho iniziato a fare satira proprio lì. Se non ci fosse stato questo spiraglio, avrei continuato probabilmente a fare altri lavori. Quel, tra doppie virgolette, ’68 della destra, ha liberato degli spazi dove chi aveva della creatività, delle energie, poteva agire”.
“La destra, il giorno dopo, si è acquattata sulle medesime battaglie di prima, il presidenzialismo, il semipresidenzialismo, le riforme istituzionali… Due palle! Argomenti che poi ti senti ripete tutte le volte… Non è possibile!”.
Da quello che dice, sembrerebbe che quei contenuti nella Lega hanno trovato, invece, terreno fertile?
“Per molti aspetti, sì. I temi della comunità o delle piccole patrie erano già presenti in una certa destra. Nei campi Hobbit si parlava di irlandesi, valloni e altri popoli. Tutte discussioni in nuce, poco sviluppate dopo. Ma se ne parlava. In uno degli ultimi campi, mi chiamarono per un murales. Ne parlammo. C’era anche Gianni Alemanno”.
“Feci il Risveglio dei popoli. Era l’89, o il ‘90. Non ricordo. C’erano stati gli scontri in Slovenia. Scoppiò poi la crisi croata. Io disegnai tutti questi popoli, rappresentai ognuno da un personaggio con la bandiere in mano, che si svegliavano e iniziavano una marcia. Insomma, se ne parlava. Finita poi l’esperienza rautiana, si tornò ad una dimensione di tipo nazionalistico ottocentesca”.
A proposito, Gianfranco Fini sta tentando in tutti i modi di tornare in politica. Ha già una vignetta in testa?
“Negli ultimi tempi, ogni volta che mi capitato di confezionare una vignetta su di lui, mi sono sentito dire che fosse come sparare sulla croce rossa. Sinceramente, una bella vignetta la farei anche, ma…”.
C’è un “ma”?
“Temo che il personaggio abbia perso anche quell’interesse in negativo che, bene o male, aveva fino a qualche tempo fa. Insomma, questa è la mia sensazione”.