Esteri. L’Europa di Sergio Romano: federalista, con governanti eletti e senza basi Nato

europa federaleUna visione rivoluzionaria dell’Europa. “Sarà la gravità della crisi che ha colpito l’Occidente, sarà la scarsa consapevolezza di cui danno prova, specie nel nostro Paese, le classi dirigenti che dovrebbero fronteggiarla. Ma sta di fatto che Sergio Romano vede nubi minacciose addensarsi all’orizzonte. Noto per la ponderata pacatezza dei suoi giudizi e per il disincantato realismo che li caratterizza, nel libro Morire di democrazia (Longanesi) l’editorialista del «Corriere» assume posizioni radicali e avanza proposte per molti versi rivoluzionarie”: è questo l’attacco dell’articolo di Antonio Carioti che il Corriere della Sera ha dedicato all’ultimo saggio dell’ambasciatore Romano, intellettuale libero e acuto analista degli scenari geopolitici.

Si tratta di un testo che non si ferma ai luoghi comuni antieuropei, supera la retorica che evidenzia i limiti dell’euroburocrazia o la debolezza della moneta, per soffermarsi sulla crisi delle democrazie continentali: “I processi di globalizzazione – scrive Carioti – hanno indebolito la sovranità degli Stati, ma noi continuiamo a votare per governi nazionali la cui capacità d’incidenza va scemando a vista d’occhio. E i politici, per farsi eleggere, devono da una parte impiegare enormi somme di denaro (non sempre di provenienza lecita) e dall’altra fare grandi promesse destinate a non essere mantenute. C’è da stupirsi se infuriano i demagoghi dell’antipolitica, non solo in Italia?”.

Romano sottolinea come in Europa si stia consolidando un potere sempre più forte legato all’establishment finanziario «composto — scrive l’ambasciatore — da persone che non hanno altra cittadinanza fuor che quella del “mercato” e reagiscono con insofferenza e dispetto a ogni tentativo pubblico di regolamentare il loro mestiere». Accanto alla finanza che occupa progressivamente spazi una volta ritenuti prerogativa esclusiva della politica, cresce anche il ruolo delle inchieste giudiziarie nazionali (caso Ilva) e internazionali (corti internazionali).

Con fermezza Romano individua nella rete web intesa come mito della trasparenza un tabù da abbattere: la diplomazia, per esempio, resta un’arte che coniuga strategie e riservatezza, e senza quest’ultima perderebbe ragion d’essere.

Come immagina Sergio Romano l’Europa? Come uno Stato federale, con un Parlamento che indichi un governo e con cittadini che eleggono un presidente, unica alternativa alla disgregazione o a opzioni autoritarie. Ma è sulla politica estera che l’editorialista del Corsera auspica un cambio di prospettiva, un cambio radicale che presupporrebbe una autonomia politica fondata su una rinnovata concezione della sovranità europea: una neutralità di tipo svizzero, la cui immediata conseguenza sarebbe la scelta di «congedare le basi americane» e sciogliere la Nato o cambiarne la ragione sociale individuata al tempo della guerra fredda.

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Michele De Feudis

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