Si tratta di un testo che non si ferma ai luoghi comuni antieuropei, supera la retorica che evidenzia i limiti dell’euroburocrazia o la debolezza della moneta, per soffermarsi sulla crisi delle democrazie continentali: “I processi di globalizzazione – scrive Carioti – hanno indebolito la sovranità degli Stati, ma noi continuiamo a votare per governi nazionali la cui capacità d’incidenza va scemando a vista d’occhio. E i politici, per farsi eleggere, devono da una parte impiegare enormi somme di denaro (non sempre di provenienza lecita) e dall’altra fare grandi promesse destinate a non essere mantenute. C’è da stupirsi se infuriano i demagoghi dell’antipolitica, non solo in Italia?”.
Con fermezza Romano individua nella rete web intesa come mito della trasparenza un tabù da abbattere: la diplomazia, per esempio, resta un’arte che coniuga strategie e riservatezza, e senza quest’ultima perderebbe ragion d’essere.
Come immagina Sergio Romano l’Europa? Come uno Stato federale, con un Parlamento che indichi un governo e con cittadini che eleggono un presidente, unica alternativa alla disgregazione o a opzioni autoritarie. Ma è sulla politica estera che l’editorialista del Corsera auspica un cambio di prospettiva, un cambio radicale che presupporrebbe una autonomia politica fondata su una rinnovata concezione della sovranità europea: una neutralità di tipo svizzero, la cui immediata conseguenza sarebbe la scelta di «congedare le basi americane» e sciogliere la Nato o cambiarne la ragione sociale individuata al tempo della guerra fredda.
@Waldganger2000