Politica. Balotelli Monti e Draghi: chiamarsi Mario garanzia di promesse tradite

balotelli-monti-draghiE dire che il Jack Lemmon di “Prima Pagina”, il più bel film sul giornalismo di sempre, ci aveva avvertiti: “il giorno dopo, la prima pagina serve per incartare un chilo di trippa”.

Correva l’anno 2012 (il 2 avanti Renzi, per gli storici del futuro), tutta l’Italia che conta si era votata al quaccherismo del professor Monti e salutava il ritrovato prestigio internazionale. Nel frattempo, da Francoforte, il Mario banchiere (Draghi) assicurava che la ripresa era vicina e il Paese sulla strada giusta.

Nel salotto buono dei giornali impazzava la MontiMania, una gara di peana alla sobrietà del Bocconiano colta in ogni evangelico dettaglio: nei loden, nelle messe domenicali, nelle vacanze in Engadina, nella signora Elsa e finanche nel cane di famiglia. Basti ricordare una drammatica copertina di GQ, alla vigilia degli Europei, che ritraeva Prandelli col vestito della cresima a illustrare il titolo “Sono il Monti del calcio”. Per dire del clima.

Quando poi arrivò l’epifania di Balotelli, la stampa non si tenne più. Dopo la semifinale con la Germania non pareva vero di poter affiancare altri paralleli agli arguti “vinciamo lo spread” o “il rigore non basta ai tedeschi”: nacque così l’Italia dei tre SuperMario, con tanto di fotomontaggi sul Mario presidente ritratto con la cresta del Mario calciatore. Un editoriale di Scalfari di quei giorni (“Ho parlato con Draghi di Balotelli e di Germania”), restituisce tutta la grandezza tragicomica del momento.

E oggi? Altro che l’importanza di chiamarsi Mario. La parabola del Mario presidente è finita nella maniera più ingloriosa, come un Rutelli qualunque. Il Mario calciatore è passato a fare il “testimonial della legge sullo ius soli” (tutto vero) sotto gli auspici di Cécile Kyenge, ministro con delega ai buoni sentimenti. Poi ha dovuto ricominciare a fare il calciatore e lì sono arrivati i dolori. Quello che se la passa meglio è il Mario banchiere, ancora intento a vaticinare l’avvento della ripresa in spregio alle asprezze della statistica. I giornali se lo filano di meno, e tutto sommato per lui è un bene.

L’insidia, però, è dietro l’angolo: ha le fattezze dell’unica sorpresa positiva del Mondiale azzurro, il terzino Darmian. È giovane e grintoso, il guaio è che si chiama pure Matteo. C’è il rischio che suoni qualche campanello d’allarme tra schiere di sciattoni avvezzi a qualsiasi calembour pur di chiudere un titolo.

Per quanto ci è dato conoscere, il Matteo calciatore non va in bicicletta, non ha fatto lo scout, non gira col giubbotto di Fonzie. Ma se così fosse, giovane Darmian, ti preghiamo fin da ora: non farcelo sapere.

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Paolo Montero

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