Sinistrati. Sel si spacca. Così Renzi ha rubato (anche) la narrazione a Vendola

renzi vendolaTutta colpa della “narrazione”. Per Nichi Vendola è il “renzismo” il demone che è riuscito a spaccare Sinistra, ecologia e libertà, attirando su di sé «colui che per me è come un figlio», ossia l’ex capogruppo alla Camera Gennaro Migliore, e altri tra deputati e senatori, tra cui l’ex europarlamentare Claudio Fava. Galeotta fu la votazione sugli 80 euro in busta paga che hanno aperto una discussione serrata all’interno del gruppo parlamentare di Sel divenuta poi caso di coscienza per Migliore e i suoi. Ma è chiaro che la frattura non si è alimentata con la misura economica con cui Renzi ha monetizzato parte del suo consenso alle Europee. C’è qualcosa di più profondo in ciò che è avvenuto all’interno della sinistra radicale che sta in Parlamento.

Certo, ci sono stati diversi momenti di tensione all’interno di Sel in questi mesi: la mancata risoluzione sulla collocazione europea, il caos della lista Tsipras e la spaccatura interna tra Migliore e il suo avversario interno Nicola Frantoianni. Ma ciò che è avvenuto in queste ore ha infranto l’armonia con il fondatore. La conferma arriva dal fatto che il governatore della Puglia ha utilizzato nei confronti di suo “figlio” l’espressione di «sequestro della linea politica» che – tradotto dal vendoliano – significa più o meno il “tradimento” così caro alle diatribe a destra. Ciò significa che qualcosa si è infranto nella magia che aveva trasformato Vendola in “Nichi”. C’era un momento, infatti, in cui era il vendolismo la corrente triumphans della sinistra italiana, la narrazione. Nichi trionfava alle primarie in Puglia, i suoi candidati diventano sindaci (a Milano, a Genova) sbaragliando gli esponenti dell’apparato democrat.

Ma non solo. Nichi era il marchio delle “fabbriche” (i suoi comitati elettorali erano pensati come una sorta di laboratorio politico), Nichi era il modello Puglia, Nichi era gay ma cattolico, Nichi con la sua prosa sembrava poter rappresentare lo sfidante perfetto, una sorta di Tsipras col sennò di poi. E invece, per sua sfortuna, è arrivato “Matteo”, un altro che ormai funziona anche col nome di battesimo e basta. Matteo Renzi ha trasformato quello che era il Pd della “non vittoria” (legato a stretto nodo a quelle “catene” – per utilizzare un’espressione del fortunato pamphlet di Claudio Cerasa – che non gli permettevano di sfondare elettoralmente) in una sorta di partito macina e se stesso in un Re Mida.

Di fatto, nonostante il magma del dissenso nel Pd covi sotto il terreno, Renzi è riuscito ad annichilire pubblicamente ogni opposizione interna (caso Mineo emblematico) e – con il richiamo del “consenso”  che lo ha fatto diventare il «maggiore responsabile delle sorti della sinistra europea» secondo il transfuga Gennaro Migliore – ad attrarre a sé quella sinistra vendoliana post-radicale cresciuta a suon di “suggestioni”, “emozioni”, “racconti” più che col conflitto di classe. Renzi, quindi, non ha dovuto nemmeno faticare troppo per applicare il corollario del «nessun nemico a sinistra».  Gli è bastato diventare, “vendolianamente”, narrazione…

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Antonio Rapisarda

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