Calcio. Da Torre Annunziata all’Europa: Immobile e l’amore ai tempi del Borussia Dortmund

immobileIsso, essa e ‘o malamente, anzi ‘a malamente. La sceneggiata napoletana classica ruota attorno a tre personaggi, il resto è contorno, colore e folklore. E noia. Nella sceneggiata napoletana dell’imminente calcio-mercato, l’unica storia che pare essere degna dei fasti del fu campionato più bello del mondo è quella che si dipana attorno alla figura di Ciro Immobile.

IL PRUSSIANO NAPOLETANO. Isso. Napoletano di Torre Annunziata, talentissimo scoperto da Zeman ai tempi (nemmeno troppo lontani) del Pescara delle meraviglie in cui faceva coppia fissa con Lorenzo Insigne, napoletano di Frattamaggiore oggi funambolo degli azzurri di Rafa Benitez e della nazionale di don Abbondio Prandelli. Un campionato passato a segnare, gol su gol, rabbia e riscatto, ogni rete un pugno sui denti ai soloni che ne predicavano il tramonto prematuro (causa annata stortissima a Genova, sponda rossoblù). Tanti “Goool!” strappati alla Maratona, ai tifosi del Torino. Ha raccolto l’eredità di gente che, in granata, ha fatto sfracelli. Ve lo ricordate Paolino Pulici, vero? E Ciccio Graziani?

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BORUSSIA SHATUSH. Ventidue gol e una chiamata. Essa. E’ tedesca, biondissima con richiami neri peggio della notte. C’ha lo shatush che spacca, direbbero a Made in Sud. Lo vuole, lo brama, lo seduce. Sarà abbandonata dall’uomo che l’aveva fatta innamorare, a cui era stata sposata, un matrimonio celebrato in tempo di crisi, sull’orlo del fallimento, che s’è nutrito di imprese mirabolanti. Si chiamava Lewandoski, quell’uomo. Adesso se n’è andato. E lei, che si chiama Borussia Dortmund, ha scelto già un altro amante con il quale condividere il talamo. E’ Ciro Immobile, lo scugnizzo torrese che sogna di diventare il Tanke prussiano. “Voglio giocar con te la Champions League”, le dice. “Amami, Ciro”, gli risponde Violetta di Germania.

LA VECCHIA STREGA. Un amore e un ostacolo. C’è una vecchia megera che prima di lasciar libero Ciro vuole gli sghei. Capelli grigio cenere, affamata, insaziabile a casa sua, remissiva quando è a cena in Europa. Veste di bianco, nero e tricolore. Si chiama Juventus, ed è suo mezzo cartellino dello scugnizzo di Germania, Ciro. Da buona tradizione italiana, non se lo richiama in squadra. Meglio venderlo, fare soldi. Tanto non ci crede che l’operaietto torrese Ciro Immobile possa davvero integrarsi nell’alta aristocrazia pallonara di Madama. Però non lo libererà così facilmente, almeno non come ha fatto qualche anno fa quando ne ha offerto a prezzo di saldo mezza proprietà. Ventidue milioni per un sogno, ventidue milioni di buone ragioni per lasciar che impalmi la tedesca con lo shatush. Tanto, qui in Italia, seguirebbe le orme di tanti capocannonieri, regolarmente sacrificati alla ragion impura degli affari dei procuratori sportivi

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Giovanni Vasso

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