Cinema. “Noah”: le visioni di Aronofsky tra Bibbia, epica tolkeniana e nuovo ecologismo

la_ca_0102_noah Non finirà mai di stupire, Darren Aronofsky. Dopo aver indagato i meandri della mente umana in storie individuali di psicosi e solitudini, il regista di “Requiem for a dream” e “The Westler” si dà all’epica, confezionando “Noah”, pellicola in queste settimane nelle sale italiane, in cui la narrazione della vicenda biblica diventa un fantasy a metà tra nuovo ecologismo e critica all’umanesimo dei consumi.

Messi da parte i thriller psicologici e claustrofobici, tutti ambientati nei meandri di una psiche tratteggiata da tinte noir e cinismo, come “Pi greco. Il teorema del delirio” o “Il Cigno nero”, Aronofsky torna a rapportarsi con l’assoluto – come aveva fatto con The Fountain – con una storia pescata dall’Antico Testamento. La vicenda è (più o meno) nota: il film racconta della missione di Noè, discendente della stirpe di Abramo, a cui Dio ha dato il compito di salvare su un’arca una coppia di esemplari di ogni specie animale per preservare l’esistente da una punizione divina che si abbatterà sulla terra sotto forma di un diluvio.

Tralasciando ogni lettura “religiosa” della riproduzione di un mito cristiano, è interessante tentare di comprendere quanto Aronofsky voglia raccontare attraverso la storia di Noè. Nella grafica, nella scelta di non indulgere sul testo biblico pur mantenendo un’aderenza con esso, la Bibbia si trasforma in un fantasy: ciò che rimane dell’Antico testamento è il racconto epico di un percorso individuale con l’assoluto che diventa catarsi collettiva.

In uno scenario post-nucleare che sembra preso dai deserti di Ken il guerriero, risalta il parallelo con la versione cinematografica de “Il Signore degli anelli” di Tolkien: non soltanto per la stramba figura dei “vigilanti”,troppo simili agli Ent raffigurati da Peter Jackson. Ma soprattutto per una sottile traccia ambientalista che anima la pellicola. Al di là della fedeltà alle scritture, la Bibbia del regista americano va alla ricerca di un nuovo rapporto tra l’uomo e il creato, diventando spunto per una critica allo sfruttamento materialistico della natura. Un nuovo ecologismo in cui il racconto biblico viene riletto in chiave moderna, affondando il coltello in una delle contraddizioni principali del sistema consumistico imperante. Non esiste alcuna divinità dell’uomo ma il Dio biblico decide proprio di punire la presunzione dell’uomo a consumare la realtà senza averne rispetto, quasi ne fosse signore e padrone senza responsabilità.

“Questo è il tuo mondo, afferralo” è una delle frasi chiave del film. Pronunciata dall’ultimo capostirpe dei discendenti di Caino, quel Tubal-cain espressione del dominio egoistico e accumulatore dell’uomo che ha accantonato la dimensione spirituale dell’esistenza, diventa manifesto di una concezione meramente predatrice del rapporto uomo-natura. A fare da contraltare è Noè – interpretato da Russel Crowe – che, per spiegare alla moglie dubbiosa – la splendida Jennifer Connelly, che dopo “Requiem for a dream” torna a collaborare con il regista americano – la necessità del suo agire, afferma che “il tempo della pietà è passato. Ora comincia il nostro castigo”.

La rilettura epica della Bibbia farà storcere il naso ai credenti più trinariciuti. Ma in realtà nasconde un bisogno di spiritualismo che si salda ad un nuovo ecologismo critico nei confronti delle politiche consumistiche. Il mezzo è il racconto biblico, il fine – al di là delle convinzioni personali in materia religiosa – non può che essere condiviso.

  1. @mariodefazio

Mario De Fazio

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