Il caso. La disfida giacobina tra Ingroia e Boccassini e l’interventismo politico delle toghe

ing - bocPas d’ennemi à gauche”. Torna d’attualità il vecchio motto che, coniato dai radicali francesi, divenne il principio ispiratore dei partiti comunisti europei per tutto il ‘900. Nessun nemico a sinistra, ovvero: ingloba chi sta alla tua sinistra e, se non ci riesci, distruggilo.

E’ questa la chiave di lettura giusta per esaminare la feroce faida scoppiata in questi giorni all’interno della magistratura (o della sinistra, fate voi). Il 25 gennaio, nel corso della cerimonia di apertura dell’anno giudiziario, il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo aveva sottolineato come la frequente discesa di magistrati in politica rischi di mettere a repentaglio la credibilità dell’intera istituzione. Antonio Ingroia, candidato premier di “Rivoluzione Civile”, si è sentito chiamato in causa e ha ricordato come già Giovanni Falcone fosse aspramente criticato dai suoi colleghi magistrati per i suoi rapporti di collaborazione con la politica. Apriti cielo. Ilda Boccassini ha deciso di intervenire, con una durissima dichiarazione affidata al telegiornale di La7: “Come ha potuto Antonio Ingroia paragonare la sua piccola figura di magistrato a quella di Giovanni Falcone? Tra loro esiste una distanza misurabile in milioni di anni luce. Si vergogni”. Così, di punto in bianco, senza una ragione apparente.

Sia chiaro: nessuno vuole prendere le difese di Ingroia. Non sappiamo che farcene di un magistrato che ha condotto indagini delicatissime sui rapporti tra mafia e politica con una faziosità sconcertante, che ha abbandonato l’incarico affidatogli dall’ONU in Guatemala per fare coming out (politico, s’intende) e candidarsi alle elezioni, che denota uno spessore politico-culturale di livello neandertaliano. Ci spaventa e ci inquieta che fino all’altroieri abbia potuto decidere dei nostri beni e delle nostre vite – e potrà tornare a farlo in futuro – uno che propone sequestri preventivi per i cittadini sui quali gravi il pur minimo indizio di evasione fiscale. Pare di essere tornati ai tempi del Terrore giacobino: anche allora – era il settembre del 1793 – la “legge dei sospetti” decretò l’arresto di tutti coloro, che in via presuntiva, potessero essere considerati “controrivoluzionari”.

Il comunicato della Boccassini, però, merita una riflessione critica. Come può un magistrato intervenire a gamba tesa sulle dichiarazioni – discutibili, ma legittime – di un candidato premier? Non si tratta di qualcosa di perlomeno irrituale? Diciamo la verità: finché Ingroia utilizzava il pataccaro Ciancimino per sparare addosso a Berlusconi, era celebrato come il salvatore della Patria. Quando ha cominciato – come si suol dire – a uscire dal recinto, a interessarsi alle telefonate del venerato maestro Napolitano, a candidarsi alle elezioni rischiando di far perdere Bersani, è diventato il nuovo mostro da distruggere. E si incaricano di farlo i suoi stessi colleghi, ingelositi dal successo del pubblico ministero siciliano e soprattutto indignati dal suo mancato allineamento all’ortodossia del Partito e della Magistratura democratici.

Così, gli stessi che fino a ieri hanno soffiato sul fuoco dell’uso politico della giustizia, oggi si improvvisano pompieri. Quelli che da anni alimentano la caccia all’Evasore, trasformato in nemico metafisico, oggi si preoccupano per le proposte liberticide di Ingroia. Chi ha seminato vento, insomma, tenta ora di arginare la tempesta. È la “doppiezza” di togliattiana memoria che riaffiora, oltre a un certo atteggiamento “stalinista” che mal sopporta gli infedeli alla linea. Le questioni che una volta si affrontavano sfondando crani a Città del Messico, oggi si risolvono per interposta Boccassini, inviando rabbiosi comunicati al Tg di Mentana.

Come notato da alcuni commentatori, l’immaginario tolkieniano può servire a illuminare ulteriormente la questione. Nel Signore degli Anelli, dopo aver assistito a un tremendo scontro intestino tra orchi, Frodo commenta: “Questa è la mentalità di Mordor, Sam: e si è diffusa in ogni angolo del territorio. Gli Orchetti si comportano sempre in questo modo quando sono soli, e tutte le storie lo narrano. Ma noi non ne possiamo trarre molta utilità. Ci odiano ancora di più, e costantemente. Se quei due ci avessero visti, avrebbero smesso di litigare finché non ci avessero uccisi”. Non è il caso, insomma, di entusiasmarsi troppo per i distinguo di “Ilda la rossa”, né per la doppiezza del nuovo stalinismo in salsa piddina. Anzi, di questo passo ci toccherà forse fare il tifo per il povero Antonino, sperando che alla fine riesca a farli piangere.

Marco Mancini

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