L’intervista. Nicolai Lilin: “In Tv “Le regole del gioco”, tra armi, carceri e arti marziali”

Dai romanzi alla televisione. Tatuatore, discendente delle antiche comunità criminali siberiane, cecchino reclutato con la forza e spedito in Cecenia a combattere una guerra disumana. E’ Nicolai Lilin, autore di numerosi romanzi di successo pubblicati da Einaudi, nei quali racconta una vita, la sua, fatta di scontri a fuoco e disagi interiori causati dagli orrori visti e a volte compiuti. A un mese dall’uscita del film tratto dal suo primo libro e girato da Gabriele Salvatores, “Educazione siberiana”, Lilin parla della nuova avventura che lo vede conduttore de “Le regole del gioco”, programma che andrà in onda dal 2 febbraio sul canale D-max e per conto del quale si calerà all’interno di varie comunità “opache” che vivono nel nostro paese.

Il prossimo mese arriva nei cinema il film tratto dal libro, “Educazione siberiana”. Si considera soddisfatto della trasposizione su pellicola?

E’ un lavoro bellissimo, girato con maestria da un grande regista come Salvatores e molto fedele al libro. Penso che sul mio giudizio pesi anche il fatto di aver collaborato attivamente alla realizzazione, specialmente in fase di sceneggiatura. Questo particolare mi ha permesso di seguire passo passo il progetto e di avere sotto controllo la realizzazione. In definitiva non posso che essere entusiasta del risultato finale. Da metà febbraio, poi, io, Salvatores e Malkovich inizieremo le presentazioni in giro per l’Italia.

Il 2 febbraio inizia il suo programma su D-max dal titolo “Le regole del gioco”. Com’è stata la sua prima esperienza televisiva?

Premetto che per descrivere il programma sia meglio non basarsi sul promo (Lilin sorride, ndr), forse troppo caricaturale. La televisione, per necessità di stile, porta a esagerare le cose e quindi per comunicare con tutti si deve essere molto stilizzati. A volte così tanto da non riconoscersi. Prima di quella di D-max, avevo già ricevuto tre proposte televisive. In una volevano che conducessi un talk show ritagliato su di me, la seconda proposta era quella di gestire un programma dedicato alla storia e la terza uno alla musica. Ma ho rifiutato subito tutte e tre le offerte perché l’idea di trasformarmi in un personaggio televisivo non mi attirava molto. Invece ho accettato di lavorare con D-max perché trovavo che avesse un format televisivo innovativo, dove fosse possibile condividere informazioni senza quel filtro di pregiudizi, della televisione canonica, che ti porta a pensarla come vuole lei, ancora prima di esserti fatto un’idea tua.

Il programma promette di essere un viaggio nelle zone d’ombra della nostra società. Cosa ci dobbiamo aspettare dalle quattro puntate previste?

La prima serie doveva essere quella più vicina alle mie esperienze personali, per permettermi di concentrarmi meglio sulla realizzazione del programma senza il peso dell’integrazione in ambienti nuovi. Nella prima puntata mi addentrerò all’interno del mondo delle armi. Chi le vende, chi le produce, chi le compra, chi ne fa uso e perché. Nella seconda andremo in carcere e vedremo come si sta dentro e quali sono le regole principali per sopravvivere all’interno. Per girare questa puntata sono stato tre giorni nel carcere di Viterbo, vivendo 24 ore su 24 con i detenuti. Nel terzo episodio entrerò nel mondo dell’Mma, le arti marziali miste. Questa sarà la puntata più forte perché si è conclusa con un incontro di campionato risoltosi in un bagno di sangue. Cercheremo di capire cosa spinga uno studente universitario a prendere la borsa da ginnastica e andare in palestra tutte le sere a farsi massacrare e a massacrare di botte qualcuno. L’ultima punta, invece, si incentra su un’accademia privata dove operatori speciali di polizia e esercito si addestrano sulle tecniche professionali di guerriglia.

La cosa che l’ha colpita di più all’interno di questi “mondi”?

Il fatto che a rimanere affascinati dai vari tipi di violenza siano maggiormente le persone che nella vita quotidiana sembrano più pacifiche. Questo secondo me ci dice qualcosa della nostra società.

L’Europa ha condannato l’Italia per le condizioni delle sue carceri. Lei ha vissuto direttamente esperienze detentive. Pensa che l’Ue abbia fatto bene ad assumere questa posizione?

Sicuramente, anzi, era ora! La politica si occupa esclusivamente delle proprie beghe interne, lasciando germogliare situazioni terribili. Il problema del carcere è il sovraffollamento che esaspera chi è recluso e chi ci lavora. Nonostante il condannato sia un criminale, non può trovarsi in una prigione medievale. Pagare per un crimine è un conto, ma non si deve compromettere la dignità umana. Questo perché altrimenti, anziché rieducare, si riconsegneranno alla libertà individui peggiori di quando sono entrati.

Quello nel carcere di Viterbo è stato il suo primo contatto con un mondo criminale che non fosse quello russo?

No, appena arrivato in Italia ho lavorato come investigatore e come infiltrato per una agenzia privata. Ho avuto a che fare con il mondo delle bande di motociclisti ma, se devo essere sincero, mi sono parsi dei figli di papà che cercano di impressionare le vecchiette scimmiottando i loro omologhi americani. Vogliono far credere di essere più criminali e più pericolosi di quelli che sono, insomma. Quelle, invece, che mi hanno fatto più paura e che in quel periodo ho avuto modo di seguire, sono state le sette. Sono pericolose e lo Stato non se ne cura per nulla. Oggi , poi, con i disperati e i rovinati dalla crisi, ingrassano. Ti offrono un mondo perfetto in offerta speciale ma in realtà ti fanno a pezzi, ti portano via i soldi e ti sfruttano.

Progetti futuri?
Sto scrivendo tre libri. Il primo parlerà della questione cecena affrontandola però in chiave più politica. Voglio analizzare la storia di quei posti cercando di mostrare come la convivenza pacifica tra mussulmani e cristiani fosse d’ostacolo agli interessi dei servizi segreti russi e dei fondamentalisti islamici. Nel secondo racconterò la storia di una mia bisnonna di origini ebraiche in cui viene descritta la nascita delle organizzazioni criminali ebree, nate anche per resistere all’antisemitismo e, infine, il terzo, sarà un romanzo canonico che tratterà temi crudi come la pedofilia e il traffico umano.

@fedecallas

Federico Callegaro

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