La piccola compagnia del tutto sui generis si troverà a convivere, non senza incidenti gustosi, all’interno di un vecchio faro. Nella storia intervengono poi due assurdi carpentieri e una bambina. Tutt’insieme decidono di restaurare il faro e trasformarlo in un albergo. Fin lì la favola è carina. Anzi: comunica un senso di solidarietà umana del tutto possibile, nonostante le differenze caratteriali dei personaggi. Poi, però, arriva l’ingrediente che guasta il film: il “predicozzo” moralista che divide il mondo tra nuovi buoni e futuri cattivi. Ovvero: lo “spretato” celebra inaspettatamente, durante l’inaugurazione dell’albergo, il matrimonio fra le due donne. Un gesto che provoca l’indignazione di un prete in talare e la riprovazione dei presenti. Un finale che stona come una campana. E non solo per la soluzione forzatamente politically correct. Ma anche per la fusione, mal riuscita, tra generi cinematografici diversi. Comicità e morale, sorrisi e amarezze, possono convivere, ma ad un livello che – ci spiace – non è ancora quello di Papaleo. Se si cerca un esempio degno di nota e rispetto, si guardi alla saga di Mario Monicelli ( e Nanni Loy) Amici Miei. Tre pellicole che fanno piangere dal ridere e ridere per nascondere le lacrime.