All’epoca le storie di Conan il Cimmero ebbero successo perché narravano di un eroe piuttosto particolare, di fronte al quale i lettori rimasero e tutt’ora rimangono disorientati. La vita del barbaro è veloce, rincorsa da esseri mostruosi provenienti dai sogni più oscuri e agitati (non per niente Howard scrisse anche di Chtulhu), con guerre, nemici, donne, clima desertico e polare, civiltà scomparse e rovine colossali. E’ proprio il tema delle rovine, morali e materiali, quello che per la maggior parte del tempo tiene banco nelle narrazioni.
Conan combatte con la forza selvaggia del suo popolo e vince, perché è un “incivile” che disprezza le mollezze del progresso e della civiltà che, come viene spiegato in ogni storia della saga, corrompono immancabilmente chiunque e lo rendono debole. Conan non fa parte del mondo moderno in cui inciampa di continuo. Un mondo costellato dalle vestigia di antiche e grandiose civiltà, di cui i moderni possono solo depredare i tesori e combattere i mostri rimasti a guardia di essi.
Essendo il Cimmero insofferente verso le società evolute, ne rifiuta anche le autorità costituite, a meno che non riesca a comandare. Nello svolgersi delle narrazioni, lo si trova in lotta con le guardie delle varie città che lo rincorrono per imprigionarlo, oppure in fuga per non dover rispondere di qualche malefatta al cospetto del re di turno. Oppure lo si trova re e capitano egli stesso, alla guida di un esercito o di una ciurma verso scorrerie di ogni genere. Perché Conan non è certo un eroe ordinario. Ruba, ammazza e squarta senza troppi problemi, come il peggior ladro o mercenario, ma ha un fortissimo senso dell’onore. Mai prenderebbe una donna contro la sua volontà, mai tradirebbe la parola data e per aiutare un compagno d’armi si getterebbe contro il peggiore degli esseri usciti dal più profondo inferno.