Socrates, infatti, conosciuto come “il dottore” per la sua laurea in medicina, “il filosofo” per il suo nome ed “il tacco di Dio” per le sue abilità in campo, è stato un personaggio straordinario per il mondo del calcio, essendo sempre rifuggito dall’ordine consolidato delle gerarchie politiche e calcistiche. Come quando, in pieno regime militare nazionale, da capitano del Corinthians, si rese protagonista della cosiddetta democrazia corinthiana: “Io non ci tengo ad essere un campione di calcio, ma un uomo democratico ed un brasiliano democratico”, frase che il filosofo scrisse nei suoi diari, è la chiave di volta per capire l’eccezionale autogestione dei calciatori e dello staff tecnico, che, non riconoscendo l’autorità dell’allenatore, con un sistema di votazioni determinarono le proprie sorti da soli per tre anni.
E’ questo il lato del calciatore brasiliano che vuole raccontare Calopresti nel suo film: il suo temperamento fuori dal comune, il suo carisma e la sua capacità di idealizzare tutto, anche l’Italia, che, pur lasciandogli ottimi ricordi, non fu forse mai durante il suo anno a Firenze quella che aveva immaginato. Il Belpaese degli anni ’80, in effetti, non era propriamente lo sfondo culturale e politico adatto perché un sedicente uomo di sinistra e anticapitalista potesse esprimersi umanamente e calcisticamente al massimo del suo potenziale. Tuttavia, il fatto che sia adorato ancora anche a Firenze, conferma le sensazioni di Calopresti, partito in questi giorni per il Brasile per intervistare vecchi compagni di squadra e amici di Socrates. Passerà da Belém e da Rio, poi terminerà la sua esperienza a Firenze, percorrendo per poi raccontare tutte le tappe della vita di un dottore che aveva formulato le sue diagnosi sul calcio e sulla società.
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