Anni di piombo. Telese, direttore di ‘Pubblico’: “Impossibile una memoria condivisa”

Gli anni di piombo nella cultura italiana restano ancora un terreno minato. Ogni nuova pubblicazione o pellicola può riaprire vecchie ferite. Dopo le polemiche generate dalle grossolane imprecisioni nella storia di “Uno studente di nome Alessandro” di Enzo de Camillis anche il film “Sfiorando il muro” di Silvia Giralucci, presentato al Festival del Cinema di Venezia, ha ricevuto critiche dall’intellettuale Maurizio Cabona, pubblicate sul magazine Barbadillo.it e poi riprese dal blog Fascinazione (“un documentario in prospettiva socialdemocratica”). Per Luca Telese, direttore del quotidiano Pubblico – in edicola da martedì prossimo – e autore di “Cuori Neri”, il libro più venduto in Italia sulla memoria dei caduti missini e nazional-rivoluzionari negli anni di piombo, “è impossibile giungere a una memoria “condivisa”, anche se con il mio libro c’è stato un rilevante passo in avanti verso una memoria “comune”, mettendo fine a disinformazione e mistificazioni”.

Perché il dibattito sugli anni settanta resta sempre scivoloso in Italia?

Gli anni di piombo non sono stati mai metabolizzati, ma rimossi dal nostro immaginario.

L’ultima polemica è legata al film di Silvia Giralucci.

L’ho visto a Venezia. E’ un film molto bello, maturo, composto e insieme emozionante.

Per Maurizio Cabona non racconta la storia del padre della regista, Graziano Giralucci.

Non condivido questa posizione: un parente non ha l’obbligo di raccontare solo la vicenda del suo congiunto. La forza di “Sfiorando il muro” è che parte dal suo lutto per allargarsi e raccontare il clima del tempo. L’autrice utilizza la memoria come chiave per capire la violenza degli altri. Incontra personaggi belli e folli, e alla fine questo esperimento può dirsi riuscito.

C’è un prima di “Cuori Neri” e un dopo. Cosa è cambiato nell’informazione e nella cultura rispetto a questi temi dopo il successo di questo libro?

E’ stato importante perché ha contribuito a far cessare le campagne di mistificazione che tendevano a rimuovere ogni responsabilità della sinistra negli omicidi dei ragazzi di destra. Ora registro un’attenzione differente, commerciale, scomposta, contraria o simpatetica. E una pioggia di pubblicistica sugli anni di piombo. Ho subito due assalti degli autonomi alle presentazioni del mio libro: avevano striscioni con scritto “Telese revisionista e sdoganatore di fascisti”. Erano proteste minoritarie. Perfino due reduci del tempo della sinistra extraparlamentare e delle Br, Oreste Scalzone o Paolo Persichetti, ritenevano che “Cuori Neri” raccontasse realtà non contestabili.

Il presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, auspicava “una memoria condivisa”.

E’ impossibile. Nel mio viaggio in quel periodo storico ho trovato pagine di memoria guerreggiata e antitetica. Non è realizzabile una condivisione di quei dolori. Si può contribuire a una memoria “comune”: non ti chiedo di riconoscere tutto quel che riguarda le mie vittime, ma di prendere atto di quello che è accaduto alla mia parte politica.

Raccogliere testimonianze e ricomporre il puzzle di storie rimosse può generare dei cortocircuiti.

Ai tempi avevo un’angoscia incredibile. Silvia Giralucci, invece, è una “vox media”: la madre aveva rimosso la morte del padre, perché non perdonava a suo marito di aver messo a repentaglio la vita per fare politica. Per Cabona è un tradimento la capacità di essere un ponte tra due eserciti nemici. Silvia non è né missina né antimissina: scopre a quattordici anni che suo padre era stato nel partito di Almirante trovando un volantino per terra. Non ha le scorie di una verità di parte. Non rifiuta questa identità ma se ne riappropria. Lei vuole che i ragazzi di destra commemorino il padre, e al loro cordoglio auspica che si unisca tutta la città. Si tratta di un fatto di sangue la cui entità non fu compresa: se fossero stati fermati in tempo gli assassini delle Br, un pezzo di storia d’Italia sarebbe stato diverso.

Persistono su argomenti così dolorosi steccati ideologici invalicabili?

Quando le Iene realizzarono l’intervista doppia a una mamma di un ragazzo destra e una di sinistra che avevano perso un figlio negli anni di piombo, Rina Carla, madre di Valerio Verbano, rifiutò di partecipare: “Valerio non vorrebbe”. Alla fine il servizio vide protagoniste Danila Tinelli, madre del leoncavallino Fausto, insieme a Maria Lidia Zicchieri, mamma del missino Mario. L’ultima domanda fu? “Cosa pensa di una mamma di un ragazzo di destra/sinistra?”. Entrambe risposero: “E’ come me”. Il rispetto del lutto dell’altro abbatteva il muro della differenza. E anche Rina Carla, dopo aver visto il servizio, disse che in futuro avrebbe partecipato ad una iniziativa simile.

C’è il rischio che questa narrazione possa edulcorare storie politiche incardinate su scelte ideali e dolori autentici di famiglie private dei propri cari?

L’esercizio della memoria è sofferenza. Una cosa diversa dal buonismo. L’ultima volta che vidi Rina Verbano mi disse: “Ho preso il porto d’armi”. Rimasi sorpreso. E lei mi disse: “Sono andata al poligono e ho imparato a sparare”. Le chiesi: “Perché?”. Mi rispose così: “Un giorno vedrò gli assassini di mio figlio e potrò scegliere se perdonarli o spararli”. Quell’arma è tutto. Alcune domande restano appese tutta la vita. Per chi ha un risentimento, la formula “vittima della violenza politica”, come nel caso della targa per Paolo Di Nella, può sembrare reticente. Ma questi ragazzi furono in realtà proprio vittime della violenza politica e ideologica.

* dal Secolo d’Italia di domenica 16 settembre 2012

Michele De Feudis

Michele De Feudis su Barbadillo.it

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