Stati Generali del Cinema/1. Il ministro Santanchè: “Il cineturismo esalta l’appeal della Sicilia”

Si sono conclusi i tre giorni (12-14 aprile) della rassegna dedicata al grande schermo in Sicilia. Al Castello Maniace di Siracusa presente tutto il mondo del cinema per un confronto sul rapporto tra cinema e turismo. La prima parte del nostro racconto

Parafrasando una battuta dalla serie tv Boris, potremmo dire che non la ristorazione ma il cineturismo è l’unica cosa seria in questo Paese. Almeno così è stato decretato dagli Stati Generali del Cinema che in tre giorni a Siracusa hanno presentato, analizzato, progettato e – perché no- sognato il futuro di un cinema come volano del turismo. C’erano tutti nel secondo weekend di aprile al Castello Maniace, il fortilizio federiciano  intitolato al fiero condottiero Giorgio Maniace, il bizantino che nel 1038 aveva sottratto Siracusa ai musulmani.

La fiera bellezza delle croci e delle colonne della sala ipostila ha fatto da scenografia ai panel e ai tavoli tecnici su cui si è confrontato tutto il mondo del cinema. La scelta della location è sembrato il giusto controcanto alla fiera narrazione che la Regione Siciliana ha fatto del cineturismo. E siccome l’innocenza delle parole non mai è stata provata, cineturismo vuol dire connessione verticale tra due tra le industrie più significative del nostro Paese e della Sicilia, ospite del primo Verticale su cinema e turismo. L’isola è un set naturale e sarebbe troppo lungo elencare i film girati in Sicilia, uno per tutti quello ricordato da Sergio Castellitto (qui in veste di Presidente della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia) L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore. “Cinema è territorio” afferma Castellitto e questo è ciò che è emerso nel convegno voluto dalla Regione Siciliana e da Elvira Amata, assessore regionale per il Turismo, Sport e Spettacolo che hanno affidato la Direzione Scientifica al Taormina Book Fest di Antonella Ferrara. Presente ma solo come relatore in un tavolo tecnico il commissario di Taormina Arte Sergio Bonomo, fondazione cui fa capo Taormina Film Fest e in rappresentanza del neo direttore artistico Marco Müller. Gli Stati generali del cinema per l’assessore Amata sono il “manifesto del far cinema in Italia”. Un manifesto ricchissimo di presenze. Circa duecento tra registi (Gabriele Muccino, Neri Parenti, Paolo Genovese, Roberta Torre, Costanza Quatriglio, Piero Messina), sceneggiatori (Ilaria Macchia, Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli), distributori (Andrea Occhipinti di Lucky Red, Giampaolo Letta di Medusa Film, Andrea Romeo di I Wonder Pictures) e la schiera dei produttori: solo per citarne alcuni Luca Barbareschi (CEO di Casanova Multimedia) a Attilio De Razza (Tramp Limited) a Carlo Degli Esposti (Palomar). C’erano i presidenti delle Film Commission e i rappresentanti degli esercenti, i presidenti dei premi con in testa Laura Delli Colli (che ha regalato l’unico momento di acceso dibattito quando nello spazio dedicato alle sale ha intervistato Valerio Carocci, Presidente della Fondazione Cinema America) e Piera Detassis. C’erano le due figure centrali della Rai, il Direttore Generale Giampaolo Rossi e il Direttore di Rai Fiction Maria Pia Ammirati. Ma soprattutto c’erano le istituzioni culturali, oltre Castellitto, lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco (Presidente della Biennale, presente anche Alberto Barbera direttore della Biennale Cinema), Cristina Priarone (presidente di Italia Film Commission), e politiche. Il ministro Daniela Santanchè ha aperto la manifestazione. C’erano Manlio Messina, Federico Mollicone, oltre al sindaco di Siracusa Francesco Italia, visibilmente orgoglioso della scelta di Siracusa come sede del Verticale, e il Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani. Il convegno ha avuto tre direttive di riflessioni: Tax credit e finanziamenti, l’impatto della Intelligenza Artificiale, focus sulla Sicilia.

Il racconto della politica. Laura Delli Colli alla fine del panel da lei moderato ha ironicamente ringraziato i suoi ospiti per non aver pronunciato le parole piattaforma e narrazione. Benvenuta ironia, ma sono le due parole chiave del convegno. La narrazione affidata alla politica non ha disatteso le lapalissiane aspettative. Sia Santanchè sia Schifani hanno promesso l’impegno per aumentare i finanziamenti, sono state sciorinate le cifre dell’indotto dell’industria dell’audiovisivo sui territori. Sulla tax credit, ossia i crediti d’imposta per le distribuzioni internazionali di opere audiovisive o la riqualificazione o apertura delle sale cinematografiche, niente di nuovo se non l’invito di Igino Straffi (Gruppo Rainbow) a correggere la normativa. Andrea Occhipinti, a margine del convegno, ha smentito il ministro Santanchè sul tax credit, contestandone le cifre (solo 176 milioni di euro sui film contro i 700 milioni totali) ed evidenziando come spesso i documentari rientrano nel tax credit destinato ai  i film ma riconoscendo che i tax credit hanno attirato produzioni straniere. Sandro Pappalardo (Enit SPA) rielva il caso Matera che con il cineturismo è arrivata a 75mila presenze  “Sempre più turisti esteri scelgono l’Italia perché hanno visto un film ambientato nel nostro Paese“. Politico l’intervento di Luca Barbareschi che critica la legge “socialista” sui finanziamenti degli anni ’70 “ha aperto l’emorragia dei finanziamenti. La nostra identità culturale è forte, ma sono i budget non competitivi. La mia domanda è per Giorgetti: a noi interessa la narrazione italiana? Vi interessa che arrivi ai nostri figli?“. E rispondendo ad Attilio De Razza, che ha lanciato la proposta, detta male, di portare  come in Francia gli studenti al cinema per incrementare gli incassi, a fronte di “sala in sofferenza, tv non all’altezza e piattaforme con i remi in barca” e i limiti del tax credit , Barbareschi afferma “Portare i ragazzi a scuola è una visione del Paese, perché lo spettacolo dal vivo è educativo. Lo ha fatto la Germania prima della Francia. Lo stesso vale per il teatro”. L’eventizzazione è necessaria perchè spinge gli incassi e favorisce a lungo termine i finanziamenti. Così Federica Lucisano (Media Group) e Nicola Claudio (Presidente Rai Cinema) che puntualizza come la politica industriale deve puntare ai finanziamenti e insieme a creare un sistema culturale.  I presidenti delle film commission sono convinti della suggestione che i documentari o le fiction producono sull’interesse a visitare il territorio. A soffrire sono gli esercenti. Nicola Carocci:Il confine tra esercizio e distribuzione è saltato: il distributore detta le regole ed è sbagliato perché l’esercente deve decidere pubblico, orario e tempi di proiezione” e, dopo aver ricordato l’importanza dell’apertura del cinema Barberini a Roma e del cinema Troisi a Milano, apre finalmente la polemica “I bandi non posso essere i luoghi dove la politica mette le mani. Il cinema è l’industria che si basa sul finanziamento pubblico ma devono averlo tutti“. Interessante l’intervento di Davide Milani (Fondazione Ente dello Spettacolo) “Abbiamo avuto finanziamenti per una sala a Lecco, nei locali di una parrocchia, grazie a un complesso progetto. Avere una sala è un fatto culturale, perchè cinema non è un prodotto” e annuncia un film voluto dal Dicastero della cultura del Vaticano nel padiglione dedicato alla Biennale. Il convegno si chiude con un appello dei direttori dei festival di destinare alle loro manifestazioni una parte della tassa di soggiorno e con il ricordo di Vittorio Taviani da parte della figlia Giovanna Taviani oggi direttore artistico del Salina Film Fest.

Sullo sfondo restano le critiche di Federico Mollicone ai finanziamenti al film di Paola Cortellesi (in verità la nota dolens e non dolens del convegno tra detrattori più o meno velati e l’entusiasta produttore Mario Gianani e l’AD Fabio Lucisano che saluta i 600mila spettatori di “C’è ancora domani” in Francia) e le promesse di Schifani di migliorare le infrastrutture come ricaduta positiva sulla produzione e fruizione cinematografica. Più interessante l’auspicio del ministro Santanchè per la creazione di un indotto di maestranze funzionali al cineturismo. Molto di più del lapsus in cui è incappata sul regista di “Il Gattopardo”, su cui ci si è banalmente accaniti. Mentre se proprio polemica doveva essere che almeno sia quella di far notare lo scarso contraddittorio e una narrazione orientata su un’ottimistica quiete della speranza.

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Daniela Sessa

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