“C’è ancora un domani” della Cortellesi e il successo del kitsch inconsapevole

Il film è sicuramente imbarazzante sotto molteplici aspetti: scrittura, dialoghi, soluzioni registiche

La locandina del film della Cortellesi

Alla fine ho visto, su Netflix, “C’è ancora domani”. Il film è sicuramente imbarazzante sotto molteplici aspetti: scrittura, dialoghi, soluzioni registiche (a cominciare dal fasullo e orribile bianco e nero digitale), macchiettismo involontario e non so quanti altri. Scene come quella del dolly con la Cortellesi e Marchioni coi denti sporchi di cioccolata e, sotto, un brano di Concato sono semplicemente ripugnanti per chiunque coltivi un briciolo di considerazione – senza necessariamente scomodare Daney o altri – per l’eticità dell’immagine. Che il successo enorme (in Italia) di “C’è ancora domani” sia un fatto sociologicamente assai rilevante nessuno lo nega, ma esso va appunto affrontato con gli strumenti della sociologia, magari soffermandosi su come oltre due decenni di fiction più o meno seriale partorita dalla tv generalista abbiano modellato il senso estetico del pubblico. Sotto il profilo cinematografico, però, siamo indiscutibilmente dalle parti del dilettantismo velleitario, del ruffiano e del kitsch non consapevole.

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Giuseppe Pollicelli

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