Cinema. “Santocielo”, se Ficarra e Picone mettono su famiglia!

Nelle sale il nuovo film di Ficarra e Picone con la regia di Francesco Amato. Tra polemiche e impegno il film sbaraglia tutta la tradizione del film di Natale. Il film schizza subito al botteghino con quasi 19mila spettatori la prima sera di programmazione

Mentre lo spettatore natalizio vaga con gli sci e i paraorecchie di pelliccia a Cortina alla ricerca di quel che resta del quarantenne cinepanettone dei fratelli Vanzina, nelle sale arriva “Santocielo“, il secondo film di Natale di Salvo Ficarra e Valentino Picone. Ed è tutta un’altra storia.

Meno male, dirà lo spettatore natalizio in cerca di sane risate, tante tantissime, e di un intreccio.  Ficarra e Picone dai villaggi della Palestina di “Il primo Natale” si spostano nella loro Sicilia, precipitando uno, Ficarra, nello sconforto di una richiesta di divorzio, l’altro biondocrinito dal Paradiso. Va da sé che il secondo mette incinto il primo. Questo è “Santocielo”, che al cinema dal 14 dicembre sta già scalando il botteghino, minacciando “Wonka” con Timothèe Chalamet.

Cosa, un uomo incinto? Griderebbero i benpensanti, con qualche punto interrogativo in più e tanto di occhi sbarrati e faccia schifata. E chi è stato? Il biondo Aristide. In un Paradiso, a metà tra la scuola di Atene e la fabbrica di cioccolato di Tim Burton – vedi l’ufficio smistamento preghiere-, l’assemblea di angeli e santi vota per redimere con un altro Messia un’umanità allo sbando, egoista e guerrafondaia. E Dio (Giovanni Storti in letterale grazia di Dio) accetta di mandare sulla Terra il volontario Aristide, angelo con aspirazioni canterine.  Fin qui la trama. Il resto lo si vedrà al cinema. Ficarra e Picone regalano due ore della comicità tutta loro, fatta di arguzia, di leggerezza, di eleganza, di impegno. Mai un tono fuori posto, nemmeno quando cedono alla battuta facile, mai una banalità nella sceneggiatura. Scritta insieme al regista Francesco Amato e a Fabrizio Testini e Davide Lantieri, la sceneggiatura è il banco saltato del pregiudizio, del familismo morale, della sottocultura dell’attuale arcitalianismo, così povero di spirito e tantissimo incarognito.  L’arcitaliano di oggi ha rovesciato persino Socrate: non sa di non sapere. E in questa beata e presuntuosa arroganza è pronto a credere che la terra sia piatta, che gli omosessuali siano contro natura, che le donne siano le uniche delegate ad amare un figlio, che i vaccini abbiano provocato la gravidanza di Nicola (Salvo Ficarra).

Paradosso e surreale sono i confini entro cui si muove “Santocielo”. Non è solo la trovata della gravidanza maschile, peraltro inserita nello schema di commedia degli equivoci del sapore beffardo che tanto sarebbe piaciuto a William Shakespeare, è soprattutto la sfilza di reazioni che essa innesca a creare il movimento comico, a trasformare in riso il dramma. Lo scarto dal reale al surreale resta invisibile allo spettatore grazie a una regia che rende normale ciò che il senso comune giudica anormale: la pancia di Ficarra è percepita allo stesso modo di quella della ex moglie Giovanna (Barbara Ronchi) e il bacio tra l’angelo Aristide e suor Luisa (Maria Chiara Giannetta) non fa scandalo.

Scandalo: forse è quello che Ficarra e Picone non si aspettavano dal film più delicato e commovente della loro carriera. Anche perché il Concilio Vaticano II c’è già stato, Papa Francesco regna sulla Chiesa e il duo comico gli ha rubato la battuta sul dubbio di un Dio che ci ascolta: ricordano gli zelanti commentatori di “Santocielo” che fu Francesco a gridare “Dov’è Dio?” nel 2016 e già lo aveva fatto papa Ratzinger dieci anni prima ad Auschwitz. D’altronde per citare Woody Allen “Dio, secondo gli ultimi libri di Mosè, è benevolo, anche se ci son ancora tante questioni di cui è meglio non si occupi

Il fatto è che “Santocielo” riflette con leggerezza non il tema dell’incarnazione o dell’autorevolezza di Dio (beh, fuma il sigaro, è un po’ opportunista e allora? In fondo siamo a sua immagine!) ma quello della necessità di una nuova umanità. Quella in cui la genitorialità, la famiglia, ogni altra forma di comunità sia costruita da, con e per amore. Come non vedere nell’opposizione tra la scuola cattolica dove insegna Nicola e il paesino di suor Luisa il simbolo di una alternativa alla società di disuguali? Come non sentire l’eco del modello Mimmo Lucano?

Una rete di immagini simboliche attraversa il film che, in qualche passaggio, soffre di una bulimia di messaggi. Ma. Ma il film è di Ficarra e Picone e loro sono due artisti di razza. Quello che nel film appare ridondante viene riscattato da un crescendo comico che divide in due il film. Il primo atto è un omaggio all’ironia di Woody Allen. Se Nicola e Aristide appaiono nevrotici e inadeguati, il personaggio della psicanalista  Giovanna è citazione superba. Nel secondo atto, invece, esplode il ficarrapicanesimo con i suoi attori, Mimmo Mignemi in primis e  il cameo di Manuela Ventura, con le citazioni western, con il contrasto furbizia/ ingenuità, con la risata d’impegno.

Santocielo”  è due ore di uno schietto discorso politico. Senza la retorica in bianco e nero di Paola Cortellesi e in dialogo con lo splendido “Misericordia” di Emma Dante.

 

 

 

 

E’ inutile ricordare, la risata è quanto di più rivoluzionario possa esprimere l’arte. Qui, in più tutto torna: il riso, sosteneva Michail Bachtin, è profondamente legato alla riproduzione, alla corporeità. Ficarra è incinto: meglio di così! Ma Bachtin parlava di riso carnescialesco “Il carnevale è la festa del tempo che tutto distrugge e tutto rinnova”: in pratica il progetto di Dio di “Santocielo”.

Natale uguale Carnevale? Questo sì che sarebbe blasfemia, cari Ficarra e Picone. Anche se con la genialata dell’insegna “Arancinto”, la blasfemia in terra di Sicilia è bella e servita.

*Santocielo di Ficarra e Picone

Daniela Sessa

Daniela Sessa su Barbadillo.it

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