Il punto (di M.Veneziani). Al Festival del libro di Parigi la cultura irregolare di Longanesi e Malaparte

Dopo ventun’anni l’Italia è tornata in questa settimana protagonista al Festival du Livre a Parigi, dedicato al tema Passions italiennes: l’avvento del governo Meloni ha garantito che non ci fossero solo intellettuali di sinistra

Marcello Veneziani, Beatrice Venezi e Pietrangelo Buttafuoco al festival del libro di Parigi

Dopo ventun’anni l’Italia è tornata in questa settimana protagonista al Festival du Livre a Parigi, dedicato al tema Passions italiennes. Un centinaio di scrittori italiani sono stati invitati, e l’avvento del governo Meloni ha garantito che non ci fossero solo intellettuali di sinistra. Era accaduta la stessa cosa nel 2002: c’era un governo di centro-destra e furono invitati scrittori di vario orientamento. Di quelle “passioni italiane” ne abbiamo parlato ieri al Salone parigino con Beatrice Venezi, in chiusura della settimana italiana, sul tema: “E vissero ribelli e scontenti”. Lei parlerà dei musicisti ribelli, io degli scrittori scontenti e imperdonabili, come intitolai due libri in cui scrivo di loro. Peraltro di ribelli e scontenti a Parigi e in tutta la Francia ce ne sono tanti…
Al Festival del libro vado in compagnia di sei fratelli maggiori per spiegare l’Italia e la sua vocazione allo scontento. Per la precisione sono: Curzio Malaparte, il D’Annunzio del giornalismo letterario e delle polemiche civili; Leo Longanesi, il genio fulminante della scrittura breve e dell’intuizione lunga; Cesare Pavese, l’esule dalla storia nel mito; Flaiano, l’amaro osservatore della dolce vita; Leonardo Sciascia, il Voltaire al limone, illuminista al sole di Sicilia; Pierpaolo Pasolini, l’apocalittico comunista antimoderno.
Sei scrittori del novecento italiano, di estrazione diversa, di spessore e sensibilità diversi, qualcuno di destra, qualcuno di sinistra, tutti bastian contrari. Ma hanno alcuni tratti in comune. Per cominciare, non erano cortigiani, non erano partigiani, non erano organici, non spargevano ottimismo. Poi avevano un’altra cosa in comune: venivano tutti dalla provincia. Chi dalla profonda Sicilia, chi dal Friuli, chi dalle Langhe, chi dalla Romagna, chi dalla provincia toscana, chi dall’Abruzzo. Non è una coincidenza fortuita: gran parte della letteratura italiana è provinciale, e quanto più è locale nei suoi linguaggi, retaggi e paesaggi, tanto più è universale nei suoi sentimenti, temi e significati. A differenza della Francia, che ruota intorno a Parigi, l’Italia è un arcipelago di province attorno a una Capitale estinta secoli fa, già prima di diventare capitale. Le province italiane ruotano intorno al sontuoso catafalco, godibile perfino, che proviene dall’antica Roma, dall’Impero e dai secoli cattolici; medievali, rinascimentali, barocchi. La provincia in Italia è una categoria dello spirito.
Oltre che provinciali, un altro tratto accomuna i sei autori: erano perdutamente italiani. Non retoricamente, pomposamente o fieramente italiani, ma perdutamente italiani. Cioè criticamente, disperatamente, veracemente italiani. In ogni arcitaliano si nasconde un antitaliano, e loro in fondo furono sia l’uno che l’altro. Ma potremmo anche dire che in ogni rivoluzionario si nasconde se non un reazionario, quantomeno un conservatore. In fondo questo paese è il regno degli ossimori; e rivoluzionari conservatori, ciascuno a suo modo, furono i sei scrittori suddetti.
Il capostipite degli scrittori scontenti è nientemeno che Dante Alighieri. E’ il loro padre spirituale e caratteriale, morale e umorale; scontento del suo tempo, fondatore dell’Italia e primo antitaliano, amante della sua patria ma da esule sdegnoso; universale e pure così tosco, così “florentino”. Dante fu in guerra con la sua epoca nel nome della nostalgia e della profezia: nostalgia del Sacro Romano Impero e della civiltà dei padri; profezia del Veltro e dell’Italia che verrà.
Sarà per le dominazioni straniere, sarà perché siamo un paese cattolico e il meglio della vita verrà dopo, in cielo, più che in questa valle di lacrime; sarà perché abbiamo un acuto spirito critico e pratichiamo l’arte dell’ironia come distacco, denuncia e divertimento, passando dalla Ribellione al Cazzeggio, ma la modalità propria dell’italiano, e dello scrittore in particolare, è lo scontento. Quel broncio che si leggeva già nella faccia di Sciascia, avvolta nel fumo, o nel volto spigoloso di Pasolini con le lenti scure, nel disincanto mascherato da occhiali neri e baffi neri di Flaiano, nello sguardo malinconico di Longanesi, nel narcisismo tenebroso di Malaparte, per non dire della tristezza pallida e assorta di Pavese. Altri ve ne furono che condivisero quello scontento, quell’odioamore italo-provinciale: da Giuseppe Berto a Guido Morselli, da Indro Montanelli a Luciano Bianciardi, solo per dirne alcuni, ciascuno a suo modo.
Gli intellettuali sono scontenti, come le oche, secondo un paragone di Pasolini: ma la scontentezza, quando non è lagna, odio del mondo o alibi della propria indolenza, è principio d’intelligenza e motore di ricerca. Sia lode allo scontento creativo.
Gli scontenti summenzionati non sono i più grandi scrittori che abbia avuto l’Italia e non sono pensatori ma letterati; sono però i testimoni di un passaggio d’epoca, dalle passioni del primo novecento, e le guerre, ai disincanti del secondo novecento; e del passaggio dall’Italia antica, credente e rurale all’Italia moderna, cinica e mutante.
Si potrebbe compilare un vasto campionario della scontentezza, ma ci affidiamo a una battuta di Longanesi: “E vissero infelici perché costava meno”. Una folgorante sintesi dell’infelicità come avarizia di vita, paura di vivere e di esporsi, soluzione più facile per tirare a campare, senza spendere e spendersi troppo. Ma anche un breve scampolo di una più profonda filosofia dell’amarezza: gioie e dolori dolgono entrambi, ma in tempi diversi. Tanto vale…
Per finire, un piccolo cadeau ai libri, a Parigi e agli scrittori francesi. Diceva Paul Valéry che i libri hanno gli stessi nemici dell’uomo: il fuoco, l’umidità, il tempo e i propri contenuti. Com’è vero. Eppure c’è chi scrive col fuoco, chi scrive sull’acqua, chi scrive per l’eternità e chi ha solo forme, senza contenuti. In tempi e modi diversi, il libro e l’uomo sono entrambi mortali, e molti pure mortiferi.

La Verità – 23 aprile 2023

Marcello Veneziani

Marcello Veneziani su Barbadillo.it

Exit mobile version