Papa Bergoglio e la chiesa cattolica tra peronismo e neopopulismo

Le scelte del Papa si sono tradotte in otto Concistori, con i quali ha ridisegnato il Sacro Collegio a sua immagine e somiglianza

Papa Francesco

Premesso che non sono un teologo o un praticante (e neppure un credente o un aspirante vaticanista), ma un italiano del Piemonte, di idee liberal-conservatrici, orgoglioso del proprio passato, della propria identità cattolica, un agnostico che si ritrova, si riconosce come parte di quell’entità comune definita dai famosi versi manzoniani di Marzo 1821: “Una d’arme, di lingua e d’altare, di memorie, di sangue e di cor”, quell’identità complessa, sofferta, amata, a momenti persin ripudiata – eppur culla delle nostre radici, Heimat, terra degli antenati – penso che le vicende della Chiesa Cattolica ci coinvolgano non solo per la storia o  la cronaca o la politica, ma intellettualmente, sentimentalmente, al di là della fede. Un sentire forgiato lungo secoli durante i quali non esisteva vera separazione tra Chiesa e Stato, quando si cambiava talora di sovranità senza neppure saperlo; allorchè l’autorità più vicina era il parroco, un prete, un monastero od un convento, con umani pregi e difetti, non un carabiniere e tanto meno uno sbirro, un soldato, un giudice dell’Ancien Régime. Spesso il feudatario del luogo, che cambiava per ragioni ereditarie o venali, più che protettore ‘tosatore’ di sudditi…

Valutare, quindi giudicare più o meno propriamente, con indulgenza o severità, a torto o a ragione, la Chiesa di Roma, il suo modo di proporsi, le sue azioni più percepibili, con il suo Capo e tutte le sue mediazioni, è un nostro abito di italiani, anche perché quella Chiesa, fondata sulla tomba di San Pietro, sul colle Vaticano è, o ci sembra, ancora essenzialmente italiana, in quanto romana, costantiniana. Da quasi duemila anni essa non solo ci racconta le Scritture ed impartisce benedizioni e sacramenti, ma ne condividiamo in qualche modo vicende, travagli, consolazioni e destini. Con i contadini essa invoca a Dio la benedizione della pioggia durante le siccità, ad esempio, e ci congeda sul bordo della tomba. Quell’incessante ‘rythme campanaire’ ben descritto da Chateaubriand… Ciò oltre la circostanza che gli ultimi tre Pontefici siano stati stranieri, il che non avveniva dai tempi di Adriano VI, Adriano di Utrecht, successore di Leone X de’ Medici nel 1522. Tali ultimi pontefici non italiani sono stati assimilati, adottati, amati o criticati, e non solo in quanto vescovi di Roma, naturalmente.

Dopo le dimissioni di Ratzinger

Dal 13 marzo 2013, dopo le clamorose dimissioni di Benedetto XVI Ratzinger, è Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio (Buenos Aires, 17 dicembre 1936), 266º Capo della Chiesa cattolica e Vescovo di Roma, Successore di Pietro e Vicario di Cristo, 8º Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, Primate d’Italia, oltre ad altri titoli propri del Pontefice. Argentino, è il primo Papa proveniente dal continente americano ed il primo appartenente alla Compagnia di Gesù. ‘Mai così amato, mai così mal sopportato’ è stato definito. Vediamo per sommi capi chi è Papa Francesco (e non Francesco I, per sua volontà) e come ad alcuni di noi egli appare. 

Feci la sua conoscenza nell’Auditorium dell’Università Cattolica Argentina, a Puerto Madero, Buenos Aires, il 7 giugno 2003, durante un evento sul pensiero sociale di Giovanni Paolo II, organizzato dal prof. Piero Schiavazzi, allora anchorman di TelePace, la tv ufficiosa del Vaticano. Con gli interventi del cardinale Jorge Mario Bergoglio, Arcivescovo di Buenos Aires, di mons. Rino Fisichella, allora Cappellano del Parlamento, del Sottosegretario agli Esteri Mario Baccini; con la partecipazione, per amenizzare, tra altri, di Amedeo Minghi e della topmodel Valeria Mazza, di Rosario, Santa Fe, città nella quale allora svolgevo le funzioni di Console Generale. Nel 2003 il Ministero degli Esteri aveva, infatti, conferito a Schiavazzi l’incarico di curatore delle manifestazioni promosse in 40 città del mondo nel XXV anniversario del Pontificato di Papa Wojtyla. In tale cornice,  Bergoglio svolse la relazione sul tema: “Duc in altum, il pensiero sociale di Giovanni Paolo II”.

Anteriormente, ad un certo punto dell’evento, venne data la parola a Valeria Mazza, la prima modella ad essere ufficialmente ricevuta da un Sommo Pontefice nel 1998, quando contrasse matrimonio. Ricordando l’emozionante incontro, la bellissima Valeria si diceva convinta che le sue due maternità (ebbe poi altri due figli maschi) fossero anche dovute all’intercessione del Santo Padre al quale lei aveva confidato di voler essere presto madre. Mentre noi comuni mortali dalla platea ammiravamo soprattutto l’avvenente donna, l’Arcivescovo Bergoglio sbuffava infastidito, come una vecchia vaporiera! Forse non gli sembrava adeguato l’intervento della giovane, peraltro rispettosissimo e sobrio, temeva la distrazione dell’uditorio, eminentemente di maschietti i cui occhi erano concentrati sulla affascinante topmodel, forse il suo intervento principale ne subiva un piccolo ritardo, va a sapere, fatto sta ch’egli non celava la sua contrarietà. A me, lo confesso, il ‘cardinalone incazzoso’ produsse umanamente una imbarazzante sensazione. Alla fine gli fui presentato, assieme ad altri…

La famiglia Bergoglio in Argentina

Il 15 febbraio 1929, a bordo del transatlantico ‘Giulio Cesare’, arrivò a Buenos Aires la famiglia di Giovanni Bergoglio (nato nel 1884 a Bricco d’Aramengo, Alessandria), composta dalla moglie Rosa Margherita Vassallo e dal figlio Mario, di 21 anni, padre dell’attuale Pontefice. L’alessandrino e l’astigiano erano allora terre feconde di vocazioni sacerdotali. Tre fratelli del nonno paterno erano emigrati ed avevano fondato nel 1922, a Paraná, Entre Rios, un’impresa di lastre e piastrelle per pavimentazione, fallita durante la crisi del ’32. Jorge Mario Bergoglio nacque nel quartiere bonaerense di Flores, verso Lujan, il maggiore dei cinque figli di Mario (Portacomaro, Asti 1908 – Buenos Aires 1959), contabile, impiegato delle Ferrovie e di Regina Maria Sivori (1911-1981), nata a Buenos Aires da una famiglia originaria di Piemonte e Liguria. Studiò nel collegio salesiano di Ramos Mejía, si diplomò perito chimico, quindi iniziò a lavorare nel Laboratorio Hickethier-Bachmann.

“All’età di ventun anni, a causa di una grave forma di polmonite, a Jorge Bergoglio venne asportata parte del polmone destro. Il giovane decise, quindi, di entrare nel seminario di Villa Devoto. Nel 1958 cominciò il suo noviziato nella Compagnia di Gesù, trascorrendo un periodo in Cile; tornando a Buenos Aires per laurearsi in filosofia nel 1963. Dal 1964 insegna letteratura e psicologia a Santa Fe e Buenos Aires. Riceve l’ordinazione presbiterale nel 1969. È poi rettore della Facoltà di teologia e filosofia a San Miguel. Provinciale dei gesuiti nel 1973. Nel 1979 partecipa al vertice del Consiglio Episcopale Latinoamericano a Puebla de Zaragoza (Messico) ed è fra coloro che prendono le distanze dalla Teologia della liberazione. Nel 1986 si reca in Germania per un periodo di studio alla Facoltà di Teologia di Francoforte sul Meno, per completare la tesi di dottorato, ma non consegue il titolo. Nel 1992 Giovanni Paolo II nomina Bergoglio vescovo ausiliare di Buenos Aires e nel 1997 arcivescovo coadiutore. Succede alla medesima sede nel 1998, alla morte del cardinale Quarracino. Il 21 febbraio 2001 Giovanni Paolo II lo crea cardinale. Dal 2005 al 2011 è a capo della Conferenza Episcopale Argentina”.    (Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Francesco)

Jorge filo peronista

La famiglia Bergoglio pare fosse simpatizzante radicale ed abbastanza antiperonista. Jorge Mario Bergoglio aveva 18 anni quando il colpo di Stato militare del 16 settembre 1955 pose fine alla  presidenza di Juan D. Perón e lo demonizzò. Con Evita. Dirà Papa Francesco in un’intervista: 

“Nunca estuve afiliado al partido peronista, ni siquiera fui militante o simpatizante del peronismo. 

Afirmar eso es una mentira. Tampoco estuve afiliado a ‘Guardia de Hierro’, como dijeron algunos. 

Repito, la presencia de esa agrupación en la universidad y mis escritos sobre la justicia social llevaron a que se dijera que soy peronista. Pero en la hipótesis de tener una concepción peronista de la política, ¿qué tendría de malo?” 

(“Una década de conversaciones con el Papa Francisco”. Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, El Pastor: Desafíos, razones y reflexiones de Francisco sobre su pontificado, Buenos Aires, Vergara, 2023; (https://www.perfil.com/noticias/actualidad/el-pastor-el-libro-que-explora-en-los-10-anos-del-html)

In effetti esistono varie affinità tra il pensiero di Papa Bergoglio e la dottrina peronista, che si ispira alla Dottrina Sociale della Chiesa – che ebbe origine con la Rerum Novarum di Leone XIII Pecci  nel 1891 – attraverso la mediazione dell’esperienza dell’Italia fascista, cara all’allora colonnello Perón. 

Sul pensiero politico di Francesco, ha scritto Aldo Duzdevich (Pergamino, Buenos Aires, 1955, giornalista, politico, ex guerrigliero montonero) che il Pontefice ha in varie occasioni dato piste che negli anni ’70, nell’inferno di quell’Argentina insanguinata, egli aderì alla ‘Teologia del Popolo’: 

” Entre los años 69 a 73 nace en Argentina la Teología del Pueblo (TdP) como una rama autónoma de la Teología de la Liberación (TdL). La TdP toma la opción preferencial por los pobres de la TdL, pero se diferencia de ésta por no centrarse en la lucha de clases, sino las nociones de pueblo y antipueblo y las particularidades que toman las luchas populares. El principal impulsor de la TdL es el peruano Gustavo Gutiérrez; y el gestor de la TdP es el argentino Lucio Gera (ndr: nato in Italia). Así es como encontraron su conceptualización en la historia latinoamericana con categorías como pueblo y antipueblo, pueblos e imperios, religiosidad popular etc. Son los pobres quienes conservan como estructurante de su vida y convivencia la cultura propia del pueblo. Para Bergoglio la teología popular no es populismo, sino que considera al pueblo como sujeto de la historia, en contraposición a la TdL marxista que reserva ese privilegio al proletariado. Confía en la expresión de la fe sencilla, sobre todo del pueblo pobre que no sufre ninguna mediación culta o ilustrada que la desvirtúe”. 

           (Aldo Duzdevich, ¿Qué tiene de malo ser peronista?, 10.3.2023, in https://www.agenciapacourondo.com.ar).

Erano i tempi, tra l’altro, di Carlos Mugica e di Jorge Adur (assassinati nel 1974 e 1980), quest’ultimo cappellano dei montoneros. I quali nel 1967-68, in concomitanza con la II Conferencia General del Episcopado Latinoamericano a Medellín, con altri sacerdoti argentini fondarono il Movimiento de Sacerdotes para el Tercer Mundo, un’attività pastorale che confluì con la TdL e che, in ultima analisi, consisteva nell’indottrinare alla lotta armata ed alla rivoluzione gli emarginati delle villas miserias. Che diventarono, pertanto, curas villeros. Nel 2010 Bergoglio dovrà testimoniare (rischiando di venire imputato di complicità, dopo un umiliante interrogatorio) nel processo per lesa umanità di due curas villeros, i gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalics, sequestrati il 23 maggio 1976 a Flores (il golpe militare contro Isabelita fu il 24 marzo) e liberati 5 mesi dopo; su diretta richiesta del padre Bergoglio al Presidente Videla, secondo Duzdevich, autore di Salvados por Francisco (2019), con 25 testimonianze sull’azione umanitaria svolta in quegli anni dal Provinciale. 

(Cfr. Claudia Peiró, 23.3.2019, Durante la dictadura, Bergoglio arriesgó mucho más que los que lo critican, in https://www.infobae.com/sociedad/2019/03/23/aldo-duzdevich-durante-la-dictadura-bergoglio).

Chi scrive è vissuto piuttosto a lungo in Argentina, durante tre diverse missioni diplomatiche, tra il 1987 ed il 2005, e risiede stabilmente da anni nel confinante Uruguay (sua prima destinazione di servizio al principio del 1980). Dopo un’iniziale simpatia ha coltivato una crescente diffidenza verso il justicialismo, convertitosi col kirchnerismo di oggi, che ama Evita ed odia Perón, in un monumento alla cleptocrazia, arrogante e fallimentare.

L’attuale kirchnerismo

Il partito appare un guscio vuoto, il potere unisce i tanti diversi peronismi, l’unico scopo essendo, ovviamente, mantenerlo. Accennato alla ‘dottrina politica peronista’ attribuita a Papa Francesco (non ripudiata, anzi difesa) ed al suo legame con l’Argentina (persistente, attraverso suoi fiduciari, anche s’egli non ci è più tornato), pare opportuno ricordare l’articolo che Ernesto Galli della Loggia pubblicò sul Corriere del 9.5.2020, Una Chiesa poco politica:

“È un luogo comune notare il carattere profondamente politico del pontificato di Papa Bergoglio.  In verità, più che politico il suo appare un pontificato ideologico, e le due cose non sono la stessa cosa. Fin dall’epoca costantiniana la Chiesa ha sempre fatto politica, allo scopo di affermare o difendere i propri interessi e i propri valori. (…) il discorso pubblico di Francesco inclina a perdere ogni specificità di tipo religioso. L’appello alla giustizia sociale, alla difesa dei deboli e degli oppressi, ad una distribuzione più equa fra i popoli delle ricchezze naturali, l’invito a non manomettere irreparabilmente gli assetti naturali, è in sintonia con la sostanza del messaggio cristiano, ma questo messaggio risulta fortemente modificato nel suo significato complessivo per l’assenza di specificità di tipo religioso, definendo una frattura rispetto alla tradizione del magistero papale. Innanzi tutto i destinatari. Anziché genericamente agli uomini di buona volontà o ai ‘governanti’, il Papa ama sempre più spesso rivolgersi a soggetti vittime di situazioni negative, ai popoli, ai movimenti popolari, ai migranti, alle vittime”. 

      Altro elemento di frattura sono i contenuti non confessionali del discorso, per Galli della Loggia:

“la Dottrina Sociale della Chiesa si connotava per una posizione di centro tra capitalismo liberale e statalismo socialista. Viceversa, il discorso di Bergoglio, insieme ad una marcata noncuranza nei confronti della vicenda culturale dell’Occidente e ad un’ostilità chiarissima per il capitalismo e per gli Stati Uniti, esprime una forte simpatia per la dimensione dell’iniziativa spontanea dal basso e per l’autoorganizzazione popolare; l’avversione conseguente per tutto ciò che sa di ufficiale, di istituzionalizzato, come l’auspicio di una sorta di economia natural-comunitaria a base egualitaria, di cui è espressione esemplare la proposta avanzata di recente da Francesco stesso di un non meglio specificato «reddito universale». Il messaggio evangelico e il richiamo al depositum fidei cattolico tendono ad essere messi sullo sfondo fino a svanire, nella diffusa assenza in quel discorso di qualunque esortazione alla necessità del pentimento e della conversione od a scoprire il senso cristiano della vita e della morte. È così che alla fine esso, privo di una significativa innervatura religiosa, resta solo un discorso ideologico, di una ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico, simile ad altri in circolazione nel terzomondismo o nel frasario di ogni ONG”. 

 (https://www.corriere.it/editoriali/20_maggio_09/chiesa-poco-politica-9230-11ea-9f60-1b8d14bed082.shtml)

    

Risultano a mio avviso esagerati, indigesti i peana non solo apologetici, ma smaccatamente encomiastici di Antonio Bonanata, che recentemente celebrava I dieci anni che han cambiato la storia:

“Un decennio di riforme di governo, viaggi, incontri. Amato e osteggiato, ha sempre agito col suo stile all’insegna di grandi temi: cura del Creato, Misericordia, fratellanza. Una figura di vero leader e non solo di autorità religiosa e spirituale. Il Papa è l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato. Da qui il profondo desiderio di ‘una Chiesa povera, e per i poveri”.

Coerentemente con tale lettura sinistrorsa e ‘progressista’, a mio modesto avviso banalmente  trionfalistica,  faziosa, di fatto noncurante della missione apostolica della Chiesa pietrina, proseguiva:

“Terminata il 31 dicembre 2022, l’insolita coabitazione tra i due Papi è proseguita nel segno della reciproca stima e della grande considerazione di Bergoglio per Ratzinger, a dispetto delle voci malevole, dei semi di zizzania sparsi dentro e fuori il Vaticano da una supposta fazione ‘ratzingeriana’ (reazionaria) contro una fantomatica fazione ‘bergogliana’ (progressista). Ratzinger per anni è stato messo da una parte della Chiesa a fargli da contraltare. Bergoglio ha saputo gestire il passaggio evitando sia di farne un santo, sia di passare come il suo ‘liquidatore’. La vicinanza di Ratzinger ha consentito a Bergoglio di proseguire lungo la via verso una completa riforma della Curia e della struttura di governo della Chiesa, riforme in parte avviate dal predecessore dopo lo scandalo Vatileaks, la fuga di notizie e il furto di documenti. E così, Papa Francesco si è mosso verso una completa riorganizzazione della Congregazione per la dottrina della fede. Qui si è sentita tutta la sua modernità: diverse Chiese nazionali sono state costrette al mea culpa, rivoltate come calzini (…) ha varato la riforma della Curia, aprendo ai laici cariche prima appannaggio di religiosi. La riforma dello Ior, l’accorpamento di alcuni dicasteri, il progressivo riconoscimento del ruolo delle donne in posizioni chiave: insomma, Francesco cerca di attuare una Chiesa che abbia al suo centro Cristo e non le logiche del potere umano. Una Chiesa improntata alla vera sinodalità”.

L’ incensamento,  magnificazione,  panegirico, toccano lo zenith quando Bonanata accenna al:

“Giubileo della Misericordia (2015) che ha evidenziato una naturale predisposizione dell’animo, riscontrabile nelle molteplici declinazioni che si possono dare a questa virtù: dal bando mondiale della pena di morte all’accoglienza degli omosessuali, pur peccatori. Uno dei focus dell’azione pastorale di Papa Francesco è stato quello di andare alle periferie del mondo, nei luoghi più remoti, là dove le minoranze non hanno voce, sono perseguitate e private dei più elementari diritti. In Canada, incontrando le popolazioni dei nativi americani, perseguitate e vittime di violenze atroci, il Papa si è recato a pregare nei loro luoghi sacri per ‘risanare le ferite del cuore, terribile effetto della colonizzazione’. Sono passati dieci anni, un tempo relativamente breve durante il quale il primo Pontefice gesuita della bimillenaria storia della Chiesa ha plasmato di sé, delle sue scelte e del suo stile l’intera comunità cristiana, un popolo immenso e variegato: due miliardi e mezzo di persone che dai più lontani confini della Terra guardano alla propria guida, a quel Vicario di Cristo che continua a ispirarli”. (https://www.rainews.it/articoli/2023/03/papa-francesco-dieci-anni)

In modo meno laudativo lo storico Daniele Menozzi, professore emerito alla Normale di  Pisa, autore de Il papato di Francesco in prospettiva storica, (Morcelliana, 2023) ha sottolineato:

“A dieci anni dall’elezione di papa Francesco si moltiplicano interpretazioni contraddittorie sul suo pontificato: mentre i circoli tradizionalisti vi rilevano devianze dottrinali ai limiti dell’eresia, gli ambienti progressisti denunciano un sostanziale immobilismo rispetto alle richieste di cambiamento. Un’analisi basata sul metodo storico-critico consente di delineare le caratteristiche del suo papato. Irrimediabilmente tramontato il progetto di ricostruire un regime di cristianità, il pontefice sollecita tutti i battezzati, laici e pastori insieme, ad individuare le modalità di un nuovo annuncio del Vangelo e ne indica la fondamentale cifra interpretativa, suggerita dai segni dei tempi: la figura fraterna e misericordiosa del buon samaritano”.

(https://www.morcelliana.net/pellicano-rosso/4585-il-papato-di-francesco-in-prospettiva-storica.html)           

Per alcuni Bergoglio è un gesuita fino alle midolla, quelli dei ‘riti cinesi’ e del Paraguay, tipico. Ed i gesuiti si sentono ‘la Chiesa’. Perchè riescono a far eleggere in poche settimane l’arcivescovo di Buenos Aires al posto del cardinale Scola e di chi stava con lui. Direttamente, senza più delegare ad altri come ai tempi del cardinal Martini. Poi gli altri possono dissentire. Ma a loro, i gesuiti, interessa il potere, non l’ortodossia, perché loro credono di essere sempre e comunque l’ortodossia, cioè il bene della Chiesa. E, quindi, si permettono di essere disinvolti, di destra come Pietro Tacchi Venturi – intermediario non ufficiale, ma non meno autorevole, fra Palazzo Venezia ed il Vaticano prima del 1929, consigliere del Duce – o di sinistra come Bergoglio. A seconda delle circostanze e dei vantaggi…

Per altri Papa Bergoglio darebbe visibilità ad una ‘Chiesa profonda’, abitata dalla sinistra ecclesiastica in battaglia contro il sovranismo, percepito alla stregua di un pericoloso nemico: un deep State vaticano che starebbe spingendo per una revisione complessiva della struttura gerarchica ecclesiale, con accenti posti su quello che i conservatori definiscono ‘stravolgimento dottrinale’. E la presenza crescente di un laicato di sinistra, liberal, ecologista, cui il pontefice guarderebbe con gran interesse e che rappresenta uno degli elementi di frattura all’interno della Santa Sede. Papa Francesco insiste nel volere “una chiesa povera per i poveri” nella quale “i pastori devono avere l’odore delle pecore”. Postulato discutibile. Interpreta però un malessere del benessere, il denaro diventato quasi l’unico generatore simbolico di valori, l’utile prioritario rispetto a ciò che è vero e giusto, ma ne dà una interpretazione populista o post-comunista, un’attenzione ossessiva ai poveri, agli ‘ultimi’ (almeno a parole), ignorando che il mercato, il capitalismo hanno le loro pecche, ma han tolto dalla miseria milioni di persone. Come rilevava Domenico Cacopardo in Italiaoggi del 10 gennaio ’23:

“A febbraio 2017, papa Francesco, all’incontro con i Focolarini, denuncia il carattere idolatra del capitale e la sua ipocrisia: il denaro è importante perché da esso dipende il cibo, la scuola, il futuro dei figli, ma diventa idolo quando rappresenta il solo fine dell’uomo, di un’impresa o di un sistema. È dunque idolatra il capitalismo, quando fa della ricerca del profitto il suo unico scopo. È ipocrita quando crea gli scarti, ma poi cerca di non farli più vedere. Parole che denunciano la non conoscenza di due secoli di storia dell’Occidente, della sua crescita sociale ed economica, e denunciano altresì una formazione propriamente peronista con la gravissima, inaccettabile appendice (o presupposto) che la volontà dei popoli rispecchia la volontà di Dio. Demagogia pura che è stata ed è strumentalizzata dai nemici dell’Occidente, di cui Papa Ratzinger era invece un difensore (…) il Vangelo ordina «date a Dio ciò che è di Dio e date a Cesare ciò che è di Cesare», il che significa che il Vangelo postula una sfera di autonomia della politica ed un’autonomia della Chiesa, e mai pone il problema generale dello sfruttato e dello sfruttatore. Quindi, le parole di Francesco, quando se la prende con il capitalismo non sono parole del Vangelo”. 

(https://www.italiaoggi.it/news/francesco-doveva-andare-a-kiev-2589331)

Ratzinger, uomo di vasta e profonda cultura, voleva dialogare con l’intelligenza laica. E salvare la Cristologia dal relativismo. Bergoglio ci rinuncia dal basso della teología popular: gli basta il ‘popolo povero senza mediazioni colte’ (la plebe ignorante da manipolare a piacimento, avrebbero chiosato un tempo i massoni). Ha scritto Francesco Boezi sul Giornale del 23.12.2018: Quella profezia di Ratzinger sulla scomparsa dell’Europa:                    

“Joseph Ratzinger aveva previsto la fine della civiltà occidentale. Lo stesso ‘tramonto’ di Oswald Spengler, ma secondo una chiave squisitamente teologico-filosofica. Una Chiesa cattolica, che non sarebbe stata più così influente, per numero di fedeli e peso specifico, come un tempo. La ‘profezia’ risale al 1969. Il teologo tedesco non poteva conoscere il suo destino. Poi il suo principale interesse di pontefice è stato quello di traghettare la Cristologia  oltre questa fase storica, scongiurando il rischio che venisse deformata dal relativismo. ‘Siamo dentro una profonda crisi della Chiesa’ aveva scandito da una radio tedesca. Una Chiesa destinata a diventare sempre più piccola. Un’enclave costretta a ripartire dalle origini perché priva della capacità di attrarre un mondo secolarizzato, con i cristiani rassegnati a rappresentare una ‘minoranza creativa’: sposare la causa della modernità sarebbe abiurare il Credo”.  (http://www.occhidellaguerra.it/quella-profezia-di-ratzinger-sulla-scomparsa)

Marcello Pera, già presidente del Senato, è stato un interlocutore privilegiato di Papa Benedetto XVI. Nel 2004 Pera è autore con l’allora cardinale Joseph Ratzinger del libro Senza radici, sulla questione delle radici cristiane dell’Europa. Nel saggio, che contiene le due relazioni di Pera e Ratzinger sull’argomento, si denuncia il decadimento morale dell’Europa impoverita dal rifiuto delle sue radici cristiane e minacciata dal terrorismo islamista. In un’intervista rilasciata alla Stampa dopo il no irlandese, nel 2008, al Trattato di Lisbona, che rafforzava l’Ue, Pera, definitosi sempre un non credente – “conservatore sui valori da mantenere e liberale sulle riforme da fare” – identifica il Papa, sulla scia di Joseph de Maistre, come unico riferimento possibile per il Vecchio Continente. Nel libro Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica (Milano, Mondadori, 2008) Pera condanna il relativismo e l’incertezza culturale della società contemporanea; sviluppa il tema della vera identità dell’Europa da ricercarsi nella forza etica e sociale del cristianesimo. Secondo Pera, la religione cattolica non può essere una convinzione privata o tradizionale: l’impegno del cattolico deve essere presente nella coerenza del suo comportamento etico. Il cristiano si deve impegnare in tutte le sfere della vita civile e istituzionale, prestando la sua attenzione ai problemi di tutti i cittadini ed alla solidarietà sociale. Intervistato dal Corriere del 12.8.2015, dopo l’attacco del Presidente della CEI, mons. Nunzio Galantino, corifeo di fiducia del Papa, ai ‘piazzisti da quattro soldi che, pur di raccattare voti, dicono cose straordinariamente insulse contro l’accoglienza agli immigrati’, Pera si dice allarmato perchè ‘l’attacco di Galantino è ideologico’. La sua posizione gli ricorda la Teologia della Liberazione: 

“A scuola ai miei nipotini non insegnano più una preghiera. Che paese sarà questo? Cosa resterà della nostra identità e tradizione? Che si aiuteranno gli altri? Mi sembra un po’ poco. Se riduciamo il cristianesimo a teologia politica dei diritti allora non mi pare così coerente poi parlare di dialogo con l’Islam. Dov’è lì la cultura del diritto degli altri? Vogliamo forse dire che ‘i quattro straccioni leghisti’ creano meno problemi di qualche miliardo di islamici”.

Massimo Borghesi ha dato alle stampe nel 2021, Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon ed “ospedale da campo” che, pur politically correct,  contiene alcuni elementi interessanti: 

“Il Papa ha molto chiara l’idea che la cristianità è finita. Non possiamo più presupporre un mondo cristiano. Il mondo di oggi non è, in Occidente, anticristiano. È più semplicemente non-cristiano e questo per la semplice ragione che non ha più conoscenza del contenuto della fede, di Gesù Cristo. Lo conosce come una figura del passato, non come una realtà presente. I cattolici conservatori da un lato continuano a rivendicare un mondo cristiano che esiste solo in mondi chiusi e, dall’altro, accusano la secolarizzazione come causa della perdita della fede. In realtà questa fede, soprattutto tra i giovani, non è mai iniziata. Con la caduta del comunismo, nel 1989-1991, la Chiesa ha dimostrato meno attenzione per la questione sociale, così i cattolici si sono trovati collocati in una posizione conservatrice, in antitesi alla sinistra post-marxista la quale trova anch’essa la sua legittimazione non più sul terreno sociale, ma su quello post-moderno della difesa individualistica di valori liberali. Il fronte cattolico conservatore non comprende il Papa, la sua critica ad un modello economico-sociale tecnocratico, che è alla genesi della mentalità individualistica. Dagli anni ‘90 la Chiesa è come in costante ritiro, preoccupata per la propria sopravvivenza. Un cattolicesimo come riserva indiana, senza poter indicare punti positivi, luoghi di intersezione”. (http://www.massimoborghesi.com/il-papa-sa-che-la-cristianita-e-finita)

Recentemente, lo scorso 17 dicembre, Marcello Veneziani ha pubblicato su La Verità un articolo su La svolta benedetta di Papa Francesco, nel quale afferma, tra l’altro:

“Mi pare più prudente ed equilibrato, Papa Bergoglio, che ieri ha compiuto 86 anni, più Santo Padre e meno presidente di ONG, più cattolico e cristiano rispetto al ‘papulismo’ ecologista e umanitario che lo ha caratterizzato finora. Se dovessi datare la svolta e farla coincidere con un fatto simbolico, direi che tutto questo cambiamento si avverte da quando è su una sedia a rotelle, per via dei suoi problemi di deambulazione e di salute. Si sentono meno dichiarazioni che compiacciono lo spirito del tempo, cioè ispirate alla filantropia umanitaria più che alla concezione cristiana, o che privilegiano l’attenzione e il dialogo con i non cristiani rispetto ai cristiani, con i non cattolici rispetto ai cattolici. Sarebbe bello pensare che Papa Francesco abbia fatto un bagno d’umiltà e si sia riconciliato con la tradizione e i suoi predecessori, ma anche con il suo ruolo di guida pastorale e spirituale. Il Papa negli ultimi mesi parla di pace, come i suoi predecessori; ma questo non piace a molti che fino a ieri lo esaltavano perché vedono in questa sua insistenza quasi una colpevole equidistanza rispetto a Zelenski ed a Putin, tra la Nato e la Russia. Il difficile momento della cristianità nel mondo, la percezione di declino della civiltà cristiana e di decadenza della Chiesa cattolica, ci sono tutti e vanno ben oltre questo pontificato. Ma quel che fino a ieri ci sembrava una resa al mondo, un cedimento allo spirito del tempo, assume ora tratti diversi. Quante volte ci siamo rivolti polemicamente al Papa, restio a fronteggiare l’ateismo dominante. Ricordando quanti in seno alla Chiesa, richiamandosi alla tradizione cattolica e cristiana, contestarono il Pontificato ai tempi del Concilio Vaticano II e anche dopo. Rischiando lo scisma con il Vescovo Marcel Lefevbre”. (www.marcelloveneziani.com/articoli/la-svolta-benedetta-di-papa-francesco)

Potrei dirmi d’accordo con Veneziani, pur convinto che ‘il lupo perde il pelo, ma non il vizio’. Voglio ora introdurre un altro elemento. Il prof. Piero Schiavazzi, vaticanista di Limes e Huffington Post, uno dei massimi esperti di geopolitica vaticana, asseriva il 9 novembre 2021 su La Voce di Newyork: 

“I papi possono essere progressisti o conservatori, ma tutti avvertono il dovere di consegnare al successore una Chiesa più forte, al centro del mondo, nella Storia, che oggi è ad Oriente, nel Mar Cinese. Francesco deve andare là dove la Chiesa cresce demograficamente ed economicamente. A conferma della continuità vaticana, già nell’Esortazione Apostolica ‘Ecclesia in Asia’ (1997), Papa Wojtyla spiegò che nel primo millennio la Croce fu piantata in Europa, nel secondo millennio nelle Americhe, nel terzo millennio verrà piantata in Asia. E Francesco per andare a Oriente vuole recuperare una purezza evangelica scevra dall’ancoraggio occidentale attraverso la mediazione greco-romana. Il Cristianesimo come lievito che si scioglie in altre civiltà, rompendo con la civitas christianas (che non attecchirebbe in Asia), e che si presenta in Cina col solo Vangelo, predicando una religione abramitica che funga da minimo comune denominatore valido per tutte le nazioni del mondo. La fratellanza abramitica è la concezione di un’epoca storica che precede la democrazia”.

(https://lavocedinewyork.com/lifestyles/religioni/2021/11/09/piero-schiavazzi-su-biden-in-vaticano-il-papa)

Ha scritto Biagio Maimone sul Giornale Diplomatico del 12 marzo 2023, dopo il viaggio del Papa nel Bahrein, sull’inaugurazione de ‘La Casa della Famiglia Abramitica’ ad Abu Dhabi a febbraio:   

“Essa racchiude, in un unico sito, una Moschea, una Chiesa e una Sinagoga, edificate per vivere accanto, nel rispetto reciproco delle proprie differenze religiose. Costituisce il primo frutto del Documento ‘Sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, sottoscritto da S.S. Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi. Che sancisce che tre religioni diverse, pur mantenendo il loro credo religioso e, pertanto, la propria identità, possono coesistere su un unico spazio, ossia su un unico territorio, facendo del dialogo il fulcro della loro coesistenza pacifica. La Casa Abramitica rappresenta un simbolo di pace, che Papa Francesco ha voluto mostrare al mondo intero quale esempio di coesistenza delle differenze, le quali hanno la possibilità di interagire, in modo costruttivo, attraverso il dialogo (…) Similmente, il popolo russo e il popolo ucraino possono istituire un dialogo non solo religioso, ma anche economico e sociale. Nessuno dei due popoli perderà nulla di ciò che gli appartiene, anzi trarrà benefici dalla Pace. L’Ucraina senza perdere la propria identità potrà concorrere a costruire un mondo migliore se accoglierà l’appello pacifico di benessere e civiltà”.

(https://www.giornalediplomatico.it/casa-abramitica-da-documento-su-fratellanza-umana-per-pace.htm)

Lo scetticismo appare di rigore, non tanto sulla retorica della ‘religione abramitica’, che non si capisce che frutti concreti potrà dare al cristianesimo o all’Europa, quanto sulla ‘politica cinese’ avviata dal Vaticano. Scriveva infatti giorni fa, il 9 aprile, sul Giornale Nico Spuntoni:  Quello ‘schiaffo’ di Pechino che mette il Papa in difficoltà. La designazione unilaterale di monsignor Giuseppe Shen Bin a Shangai fa traballare l’accordo provvisorio tra Cina e Roma caldeggiato da Papa Francesco:

“Un presule di ritorno dall’Asia aveva confidato che la Chiesa cattolica in Cina è in una gabbia: c’è solo da stabilire quanto essa sia grande. Lo schiaffo arriva quattro mesi dopo la protesta di Roma per un’altra nomina non concordata, quella di Peng Weizhao come vescovo dello Jiangxi, con tanto di giuramento a ‘guidare attivamente il cattolicesimo ad adattarsi alla società socialista’. Questa prima forzatura di Pechino era avvenuta dopo la proroga dell’accordo provvisorio tra la Santa Sede e la RP Cinese sulla nomina dei vescovi. Accordo che ha provocato grandi fibrillazioni all’interno della Chiesa, visto come un cedimento e che, dall’altra parte, non si intende rispettare. Si poteva capire che per la scelta dei vescovi ci si affidasse all’iniziativa dei rappresentanti delle diocesi e, quindi, con la longa manus dell’Associazione Patriottica a cui le autorità cinesi obbligano i cattolici ad iscriversi e che procede alla nomina di vescovi in contrapposizione con quelli nominati da Roma. L’accordo firmato per la prima volta nel 2018 includeva un ultimo avvallo del Papa alla designazione dei candidati. Il caso Shangai dimostra che le autorità cinesi non si fanno problemi”.

(https://www.ilgiornale.it/news/vaticano/schiaffo-pechino-papa-vescovo-nominato-senza-informare.html)

Possiamo accantonare per un momento tutti i discorsi, le analisi, più o meno vere o stucchevoli, sulle lotte nella curia fra gesuiti ed Opus Dei, negli episcopati tedesco ed americano; sulle possibili dimissioni di Francesco, alla luce del recente ricovero al Policlinico Gemelli; sorvolare sul papale accanimento ‘falce e martello’ contro i tradizionalisti ed il latino, l’altra faccia dell’uomo estroverso ed accattivante; dimenticare i suoi facili demagogismi pauperistici (oltre le scarpe nere o i fantozziani trasferimenti in Fiat 500!).

La circostanza che da un secolo, fuori dell’Occidente è sorta una ‘narrativa gandhiana’, molto critica verso la civiltà occidentale, considerata separata dall’etica e quindi in fase di inesorabile decadenza, che tocca la Chiesa cattolica in primo luogo, e che certo Papa Bergoglio non riuscirà ad esorcizzare. Sorvolare pure sulla cattiva stampa del suo predecessore, uomo di fine pensiero privo di una grande comunicativa pubblica, da non pochi attaccato come reazionario, mentre i veri ‘tradizionalisti cattolici’ lo annoverano, al contrario, tra quei papi che, dopo Pio X, favorirono il ‘modernismo’, non opponendosi frontalmente ad esso, compreso Pio XII. Papa Pacelli venne poi calunniato, osteggiato dalle strutture politiche e culturali del PCI in quanto decisamente anticomunista, concedendo a De Gasperi il miracolo delle elezioni del 18 aprile 1948, la vittoria della Dc e la sconfitta del Fronte Popolare di Togliatti e Nenni. Tale stampa non a caso è stata sempre fredda con Giovanni Paolo II, il gigante polacco che ha contribuito alla sconfitta del Comunismo sovietico ed ha combattuto la marxista Teologia della Liberazione. Lì troviamo una spiegazione del favore del campo progressista (che normalmente non frequenta le chiese) per il Pontefice attuale, al di là di contingenti delusioni. 

Ciò tutto detto, rimane ora l’interrogativo di fondo, già affrontato, tra gli altri, da Antonio Grana, vaticanista de Il Fatto Quotidiano, che ha pubblicato, nel 2021, Cosa resta del papato. Il futuro della Chiesa dopo Bergoglio. Un’inchiesta che si addentra nelle Sante Stanze alla ricerca di risposte:

“Il papato è ancora un’istituzione valida o è ormai percepita come del tutto anacronistica? E soprattutto: esso è ancora riconosciuto a livello planetario, e non solo all’interno della stretta geografia cattolica, come indiscussa autorità morale? È evidente che le fazioni, quella progressista delusa per le mancate aperture del pontificato di Francesco, quella conservatrice che vuole un ritorno al regno ratzingeriano, e quella bergogliana che vuole proseguire l’opera riformatrice del Papa latinoamericano, si stanno già organizzando per non farsi trovare impreparate nel momento in cui inizierà la Sede Vacante”. (https://www.tsedizioni.it/shop/cosa-resta-del-papato)

Le scelte del Papa si sono tradotte in otto Concistori, con i quali ha ridisegnato il Sacro Collegio a sua immagine e somiglianza. Con un record di 88 Paesi rappresentati nel Collegio Cardinalizio, oggi composto da 123 cardinali elettori e 100 non elettori, ultraottantenni. Un conclave, in ogni caso non troppo lontano, ed il futuro prossimo della Chiesa, monarchia assoluta e teocratica, che resta  imprevedibile ed imperscrutabile: forse vi si gioca la sopravvivenza della cattolicità, ciò che ne rimane.

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Gianni Marocco

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