Il Punto (di G. Del Ninno). Partiti svuotati, intellettuali in esilio: che fare?

Politica in disarmo, studiosi isolati anche in una stagione di rimescolamento delle posizioni. Come sia arrivati a questo?

Rissa in galleria di Umberto Boccioni

Ci siamo ritrovati in una sala del MAXXI di Roma, con pochi ed eletti amici, a sentir discutere di intellettuali e politica, a partire dai libri di Stenio Solinas (“Compagni di solitudine”, ristampato da Bietti a distanza di quasi un quarto di secolo dall’edizione di Ponte alle Grazie) e di Giorgio Caravale, storico e docente presso l’Università Roma Tre (“Senza intellettuali”, Laterza). Fra i pochi ed eletti amici, il neo-presidente della Fondazione MAXXI, Alessandro Giuli, e Riccardo Paradisi, giornalista di lungo corso. Proprio Giuli, nel saluto iniziale, si lanciava nell’iperbolico paragone di quel che sarebbe stato l’ordine pubblico fin nelle strade adiacenti, qualora al tavolo vi fosse stata la coppia “Ferragnez”.

 

Il fatto è che il peso e l’incidenza degli intellettuali, specialmente in questa nostra Italia, sono ridotti pressoché a zero, quasi come la credibilità dei politici, visti come una sorta di male necessario, che però si cerca d’ignorare nei limiti del possibile. Eppure, questo incontro, moderato dalla giornalista de La 7, Alessandra Sardoni, è stato ricco di spunti interessanti, per chi presti ancora attenzione al discorso pubblico.

 

La storia dei rapporti fra intellettuali e politici è lunga e tormentata: Paradisi ricordava il viaggio a Siracusa di Platone, che voleva conquistare il tiranno Gerone alla causa della Repubblica dei filosofi e finì in prigione, e via via sono state evocate le figure del consigliere del Principe e dell’intellettuale organico, fino al pensatore solitario (e inascoltato) di oggi, categoria alla quale certo appartiene uno scrittore anticonformista e raffinato come Solinas; non meraviglia perciò che fra i suoi “compagni di solitudine” vi siano non già persone in carne e ossa, bensì figure esemplari quali Drieu e Céline, Hemingway e Malraux, Lawrence e Saint-Exupéry.

 

Ovviamente, si è parlato anche – visti i trascorsi di Stenio – di metapolitica, di superamento del crinale destra/sinistra, di egemonia culturale, quest’ultima di appannaggio incontrastato della sinistra (ebbene sì, a volte bisogna ancora utilizzare questa categoria) e ora – magari col favore (?) del governo di destra-centro – degli intellettuali di area pronti (?) alla riscossa. A questo proposito, proprio la moderatrice Sardoni ha fatto cenno alla giornata di confronti, intitolata addirittura “Stati Generali”, che ha riunito una settantina di intellettuali di destra, chiamati a esprimersi sull’immaginario italiano; ma nessuno del tavolo ha raccolto l’invito a sviluppare l’argomento.

 

Casa Balla

Il fatto è che a partire dalla solitudine di cui al libro di Solinas, sono stati trascurati alcuni aspetti della parabola di questi declassati protagonisti della scena pubblica: nei casi migliori, la ricorrente contrapposizione fra il politico e l’intellettuale deriva dalla discrasia temporale propria delle due funzioni: il politico che non sia illuminato statista, ragiona in vista delle prossine elezioni; l’intellettuale ha davanti a sé un orizzonte temporale ben più ampio. Intanto, molti di questi possono essere definiti pensatori in esilio, non già nel classico senso territoriale, come fu per Ovidio e Dante, bensì perché non si riconoscono nelle sensibilità, nei gusti, nelle parole d’ordine del loro tempo. Proprio per i tipi della Bietti, sta per uscire la versione italiana del libro di Alain de Benoist “L’exil intérieur”, mentre, sempre in Francia, ha suscitato notevole interesse il saggio di Régis Debray, “L’exil à domicile”, senza dimenticare l’ormai lontano “Esuli in patria” di Marco Tarchi, altra risorsa intellettuale di difficile classificazione (forse per questo, come altri, ignorato dagli organizzatori dei citati “Stati generali”). Di passata, facciamo notare la contraddizione insita in chi da un lato si sente estraneo alla società in cui vive e dall’altro affina strumenti di conoscenza e di ri-orientamento dei moti profondi in atto in quella società.

 

Ma torniamo al tema. Nel corso di uno dei suoi interventi, il prof. Caravale ha parlato, in un inciso, di partiti che non esistono più, e che, secondo noi, in realtà non sono scomparsi, ma hanno profondamente trasformato la loro natura, al punto da rinunciare al nome stesso: tra le principali formazioni politiche, ormai soltanto il PD ha conservato la definizione di “Partito”. Una tale trasformazione non poteva non avere influenza sul ceto degli intellettuali, più o meno vicini ai partiti (specialmente quelli che non solo governavano, ma gestivano un potere effettivo sulle università, sulle case editrici, sugli audiovisivi, sulla magistratura; una distinzione, quella fra “governo” e “potere”, che è stata ignorata da chi, al tavolo, ha sottolineato come, negli ultimi trent’anni, la “destra” abbia anche governato, dimenticando che mai è entrata nelle Stanze del Potere vero).

 

Oggi l’intellettuale appare isolato, a dispetto di questa o quella “liaison” con questa o quella cerchia di potere, che gli consente comunque di lucrare un premio letterario, una cattedra, un posto nel Consiglio d’amministrazione di qualche istituzione culturale. Del resto, il fenomeno rientra nel più ampio quadro dell’atomizzazione della società, a cui hanno fatto cenno un po’ tutti gli intervenuti; una società che non ha quasi più nulla di organico, dove sono praticamente sparite le classi e dove si è gradualmente rafforzato il principio della disintermediazione, mentre s’indeboliva quello della rappresentanza (fra gli esempi, la crisi dei sindacati e la disaffezione verso la politica). Si spiega anche con questa atomizzazione, con questa riduzione del singolo a monade, il quotidiano imperversare delle rivendicazioni volte al continuo ampliamento della sfera dei diritti individuali.

 

La prigione del politicamente corretto

Tramontate le ideologie, il “core business” dei partiti o di quel che ne resta si è concentrato sulla soluzione di problemi pratici – la crescita del PIL, il contenimento del debito pubblico, la gestione della sanità pubblica e via enumerando – funzione nella quale sono molto più utili e preparati i cosiddetti “tecnici”, che non a caso hanno governato l’Italia in questi ultimi anni (supplenti che hanno soppiantato i “titolari di cattedra”). In parallelo, gli intellettuali sono presenze evanescenti nel dibattito pubblico e non sono più in grado di fornire visioni a cui ispirare la politica (che di suo questa capacità l’ha smarrita da tempo). Insomma, se la politica si è immiserita nel quotidiano stillicidio dei sondaggi e siamo rimasti senza la guida morale degli intellettuali – “senza intellettuali” – a noi comuni mortali è rimasto l’orticello di casa, e agli spiriti eletti l’erbario jungeriano, dove convivere con fantasmatici “compagni di solitudine”.

@barbadilloit

Giuseppe Del Ninno

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