StorieDi#Calcio. Pietro Michesi il romano de Roma che castigò la Lazio (col Catanzaro)

“Da tifoso della Roma il goal realizzato con la maglia giallorossa del Catanzaro alla Lazio, all’Olimpico di Roma, il 6 febbraio 1977”

Pietro Michesi

Classe 1950, Romano de Roma, Pietro Michesi pur non avendo indossato la maglia giallorossa della squadra del cuore, quella della sua città, ne ha vestito un’altra giallorossa, quella del Catanzaro con la quale, da centravanti esperto e navigato, si è tolto non poche soddisfazioni militando in Serie A.

La sua è stata una strana carriera calcistica: sembrava condannato alla gavetta a vita quando, all’improvviso, è accaduto l’imprevedibile.

Michesi, quali furono i primi passi da calciatore?

“Cominciai a giocare nelle squadre giovanili della mia città, Roma, la Borgata Finocchio del quartiere Casilina, in seguito la Bettini Quadraro”.

Come avvenne il primo trasferimento ad Arezzo, in Serie C, nel 1967?

“Alcuni osservatori dell’Arezzo vedendomi giocare mi segnalarono alla società aretina. Fatto un provino venni dirottato alla squadra Primavera. A metà anno ero già titolare in prima squadra”.

Nel 1968-69 l’Arezzo venne promosso in B. Come venne costruito quel successo?

“Fu costruita una squadra per vincere il campionato. Calciatori esperti come Rumignani, Galuppi, Vezzoso, Gudini, Monticolo, fecero la differenza risultando determinanti per la promozione”.

Nel 1969-70 vi fu un trasferimento, sempre in C, al Brindisi.

 “Ebbi una discussione con il vice presidente dell’Arezzo che se la prese a male. Mi consigliarono di andar via e così venni trasferito al Brindisi”.

Come andò con il Brindisi?

“Sfiorammo la promozione in B con l’allenatore brasiliano Vinicio. Entrai in polemica con il tecnico in quanto, nonostante i goal che realizzavo durante gli allenamenti, nelle partite di campionato schierava in attacco il trentasettenne Sciarretta. Facevo goal, ma avevo delle discussioni con Vinicio. Ci beccavamo a vicenda.

‘Non sarà mai calciatore’, mi diceva Vinicio. ‘Tu non sarai mai allenatore’, controbattevo. Nella polemica intervenne il presidente Fanuzzi che, apprezzando le mie qualità, mi cedette in prestito al Civitavecchia sottolineando: ‘Tu non sarai venduto’.  E così finii in Serie D, al Civitavecchia”. 

Addirittura in D, Campionato 1970-71.

“Visto che dovevo fare il militare, fu Luciano Moggi a portami a Civitavecchia”.

Dopo cosa accadde?

“Terminato il servizio militare potevo rientrare a Brindisi, ma visto che c’era ancora Vinicio venni ceduto in prestito al Matera, in Serie C, Campionato 1972-73”.

In quel campionato tre furono gli allenatori che si alternarono alla guida del Matera: Mancinelli, Veneranda, Di Benedetto.

“Realizzavamo tanti goal, ma ne subivamo tanti, ragion per cui vi fu quell’alternarsi alla guida tecnica della squadra”.

Personaggio di spicco del Matera fu il presidente Franco Salerno, imprenditore, senatore democristiano dal 1972 al 1992, nel 1979-80 Sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel Governo retto da Francesco Cossiga. Visti i molti impegni, il senatore Salerno riusciva a dedicarsi alla squadra?

“Il presidente Salerno aveva una capacità imprenditoriale straordinaria. Persona, seria, eccezionale sotto tutti punti di vista, riusciva a conciliare tutti gli impegni di cui deteneva le responsabilità. Fece di tutto per tenermi al Matera, ma avendo il Brindisi sborsato 50 milioni – una cifra enorme per quei tempi – all’Arezzo per la mia cessione, il desiderio del presedente Salerno non poté essere soddisfatto”.

Giungiamo al ritorno a Brindisi, in Serie B, torneo 1973-74.

“Vi fu la possibilità di fare il grande balzo in A, cosa che toccò a Franzoni ceduto alla Lazio e non a me che rimasi al Brindisi”.

In quell’annata si alternarono in panchina tre allenatori: Gianni Di Marzio, Raffaele Pierini, Egizio Rubini. Ci traccia un profilo di Gianni Di Marzio?

“Gianni Di Marzio era un ottimo allenatore, aperto al dialogo ed innamorato del suo mestiere. Proveniva dalla cosiddetta gavetta avendo cominciato dalla Serie D e dalla Serie C. Aveva una conoscenza completa del calcio dal punto di vista tecnico e tattico. Conosceva a fondo buona parte dei giovani talenti italiani. Con lui il Brindisi mise in evidenza un ottimo calcio. Ricordo due mie doppiette realizzate rispettivamente al Bari nel novembre 1973 ed al Parma il successivo mese di dicembre; la squadra si posizionò nei piani alti della classifica tanto da raggiungere il I posto. Purtroppo, in quel periodo, un incidente d’auto coinvolse Di Marzio e la moglie scompaginando il tutto”.

Nella stagione successiva, Campionato 1974-75, avvenne il trasferimento al Brescia, in Serie B.

“Mentre volgeva al termine il campionato con il Brindisi, la squadra fu colpita da drammatico evento: la morte improvvisa, per crisi cardiaca, del presidente Franco Fanuzzi avvenuta in un albergo romano nel maggio 1974. Fu una grande perdita. La presidenza venne assunta dal figlio, Mimmo, che mi cedette in comproprietà al Brescia”.

Con le rondinelle ebbe modo di conoscere due promesse del calcio italiano.

“Ricordo le due promesse del calcio rivelatesi in seguito dei veri talenti: Alessandro Altobelli ed Evaristo Beccalossi. Erano bravi come calciatori e caratterialmente. Altobelli proveniva dal Latina, mentre Beccalossi fece il balzo dalla Primavera del Brescia in prima squadra”.

Dopo Brescia, c’è il ritorno al sud, a Catanzaro, Campionato di Serie B 1975-76, con Gianni Di Marzio allenatore.

“Fu un anno strepitoso in quanto il Catanzaro venne promosso in A classificandosi al II posto. La società acquistò me e La Rosa quali riserve di Palanca e Piccinetti.  Giocando da titolari io e La Rosa realizzammo complessivamente quattro goal; Palanca fu il capocannoniere della squadra”.

Che ricordo ha di Catanzaro?

 “Catanzaro come ogni città aveva i suoi pregi ed i suoi difetti. Il tifo era strepitoso e non credo sia venuto meno ancora oggi. Quando si tornava a Catanzaro, a distanza di anni, i tifosi non dimenticavano quanto un giocatore aveva fatto per la squadra. Quanto ai luoghi, un vero e proprio incanto era la costa jonica con la frazione di Copanello”.

Quando si parla del Catanzaro di quegli anni, è d’obbligo menzionare il mitico presidente, Nicola Ceravolo.

 “Un grande presidente, la forza della Calabria, un Catanzaro perfetto nelle finanze. Un presidente sempre disponibile, sempre presente nelle partite in casa ed in trasferta, perfino in quelle difficili”.

Venendo alla A, Campionato 1976-77 non si può fare a meno di ricordare il famoso match del 6 febbraio 1977, Lazio-Catanzaro.

“Non potrò mai dimenticare quel 6 febbraio 1977, il giorno più bello della mia carriera calcistica. Ebbi una triplice soddisfazione. Io, tifoso della Roma, con la maglia giallorossa del Catanzaro realizzai il goal della vittoria ai rivali laziali per lo più allenati da quel Vinicio con il quale, nel periodo trascorso a Brindisi, era stata una continua e reciproca polemica come ho avuto modo di raccontare”.

Ci racconta quel goal della vittoria?

“Realizzai il goal intorno al 15° minuto del primo tempo. Vi fu una punizione per noi al limite dell’aria di rigore laziale. Improta mi passò la palla ed io feci partire un potente rasoterra che colpì il palo alla sinistra del portiere laziale Pulici distesosi per evitare il goal. Nel rimbalzo la palla, dopo aver colpito la coscia dell’estremo difensore laziale finì in rete. Una bella soddisfazione per me romanista”.

Però, in quell’annata, il Catanzaro retrocesse in B.

“Non partimmo male. Poi, a causa degli incidenti verificatisi a Torino a fine ottobre 1976, dove perdemmo contro la Juventus 3-0, avemmo il campo squalificato. Comunque fino a metà del torneo non eravamo spacciati anzi, ce la potevamo giocare la permanenza in A. Una serie di sconfitte ci portò verso la retrocessione”.

Dopo quell’annata sfortunata, vi fu il trasferimento a Chieti, in Serie C, Girone B, Campionato 1977-78.

“Mi volle in prestito, al Chieti, l’allenatore Giammarinaro che, però, non portò a termine il campionato”.

Campionato 1978-79: ritorno in A di nuovo a Catanzaro. 

“Accadde che durante un’amichevole Chieti-Ascoli terminata 2-2 fui attenzionato dall’allenatore Carlo Mazzone. Proprio Mazzone mi volle con sé al Catanzaro di nuovo in A”.

Un ricordo dell’allenatore Carlo Mazzone.

“Il più forte di tutti. Fu l’unico a praticare la zona quando nessuno osava farlo. Persona schietta e sincera, usava il tipico linguaggio del pane al pane vino al vino. Molto corretto, aveva il pregio di dire le cose in faccia. Infatti, se la domenica avevi giocato male, non aveva alcuna difficoltà a dirti, il martedì, alla ripresa degli allenamenti, ‘hai fatto schifo’”.

Come andò quell’annata in A, con il Catanzaro?

“Andò bene in primo luogo perché il Catanzaro si salvò”.

Vi ricompensò con qualche premio il presidente Ceravolo?

“Era parsimonioso, attento al bilancio, quanto al premio niente di qualche liretta in più”.

Insomma, un ottimo campionato.

“Avevamo un’ottima squadra. Fra i pali si distingueva il portiere, Massimo Mattolini, che si era fatto le ossa nella Fiorentina, un vero professionista che morirà a soli 56 anni. La difesa si basava sui due centrali, Turone e Sabadini. In attacco ricordo Palanca, un bravo ragazzo che non si è mai montato la testa; era venerato dai tifosi come lo è tuttora. Era quello un calcio famigliare che ci dava tante soddisfazioni. Giungemmo perfino in semifinale di Coppa Italia dove ci scontrammo con la Juventus alla quale demmo filo da torcere. Ci picchiarono come martelli ed alla fine vinsero loro perché, pesce grosso mangia pesce piccolo”.

Siamo alla fine degli anni Settanta e c’è ancora un cambio di casacca.

“Avendo sposato un’aretina ed avendo avuto due figli, uno nato ad Arezzo, l’altro a Catanzaro, non avevo altra scelta e così ritornai ad Arezzo, in Serie C, per l’annata 1979-80. Fu l’ultima a livello agonistico. Potevo andare a Messina, ma se la famiglia non ti segue non vai da nessuna parte. Inoltre, essendo afflitto da due ernie del disco, giocavo poco restando fermo a lungo. All’epoca non c’era il laser e così fui costretto a lasciare il calcio all’età di 30 anni”. 

E dopo?

“Ci stabilimmo a Roma, lavorai in banca ma, avendo partecipato quando ero a Catanzaro, al corso di allenatore con Orazi e Boccolini, ebbi modo di seguire alcuni ragazzini”.

Quali sono stati i suoi maestri?

“Luciano Moscatelli e Benito Donati, allenatori della borgata romana. Mi venivano a prendere da casa per gli allenamenti, dopo mi accompagnavano al ristorante dove lavoravo”.

Quale il momento più bello?

 “Da tifoso della Roma il goal – di cui ho fatto cenno prima – realizzato con la maglia giallorossa del Catanzaro alla Lazio, all’Olimpico di Roma, il 6 febbraio 1977”.

Il momento più brutto?

“Quando ho smesso. È stata dura. Ero a casa e, quando arrivavano le 14,30, orario di inizio delle partite, ricordavo gli anni in cui scendevo in campo motivato e carico di tensione. Mi mancava da morire…sono stati sei, sette mesi duri”.

Del calcio di ieri cosa le piace ricordare?

L’agonismo accentuato, la determinazione, le marcature a uomo”.

E del calcio di oggi?

“È un calcio all’acqua di rose. Non a caso ho sempre apprezzato un calciatore vecchio stampo come Chiellini”.

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Michele Salomone

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