Focus. Il Piano Mattei e l’orizzonte mediterraneo del governo Meloni

La prospettiva italiana guarda ad abbassare verso Sud il baricentro delle politiche energetiche europee

Enrico Mattei

Si è concluso da pochi giorni il tour di Giorgia Meloni in alcuni paesi del Nord Africa, come l’Algeria e la Libia, mentre il Ministro degli Esteri Tajani si soffermava per alcuni giorni in Egitto. Il Presidente del Consiglio si è fatto accompagnare da alcuni suoi ministri, quali appunto Antonio Tajani e Matteo Piantedosi e dall’Ad dell’Eni Claudio Descalzi, quasi a voler rafforzare l’idea che queste sue “incursioni” sulla costa meridionale del Mediterraneo rappresentino una pregnante continuazione dell’azione di Enrico Mattei.

La strategia

Da un esame anche superficiale di questa strategia emergono chiari elementi di continuità col progetto matteiano, uno per tutti: quello di abbassare verso Sud il baricentro delle politiche energetiche europee. Allo stesso tempo è comune, data la vistosa presenza dell’Eni, la natura di questi colloqui che interesseranno non solo i critici aspetti dell’approvvigionamento energetico in pendenza delle ristrettezze dovute al conflitto ucraino-russo ma anche altri scambi commerciali ed altri tipi di investimenti. 

Uno degli investimenti più significativi e “strategici” per l’Italia (ma in questo caso anche per l’Europa stessa) è quello della realizzazione, ad opera di Terna, di un cavo sottomarino lungo 970 km, ad una profondità che giungerà fino agli 800 metri, per trasportare energia da Tunisi a Roma; insomma una sorta di «ponte energetico sottomarino, in corrente continua, che unirà l’Europa al Nord Africa», come lo ha definito Giovanni Vasso su “L’Identità”. Si tratta di un’opera che costerà 850 milioni di euro per trasportare 600 megawatt in corrente continuata. Sia al finanziamento che alla gestione dell’opera, in puro “stile matteiano”, parteciperanno l’Italia, attraverso Terna, e la Tunisia a mezzo di Steg che è l’operatore energetico tunisino. Questo è un altro tratto comune tra la strategia del governo “Meloni” e quella messa in campo a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta da Enrico Mattei: trattare direttamente con gli stati produttori di fonti energetiche e con le loro compagnie pubblico-statali, Steg, per la Tunisia, Sonatrach per l’Algeria e Noc per la Libia.

In Libia

Anche in Libia l’investimento previsto, ed inaugurato con la sottoscrizione comune di alcuni trattati commerciali, è consistente e significativo. Si parla di circa 8 miliardi di dollari, finalizzati a realizzare “Strutture A & E”. Secondo l’esperto Stefano Graziosi si tratta di «un progetto che punta ad incrementare la produzione di gas per il mercato interno libico, oltre ad assicurare l’esportazione di volumi nel Vecchio Continente». Insomma risposte ai bisogni energetici italiani insieme a progetti di sviluppo da mettere in campo per i paesi del Mediterraneo. Tutta la strategia, messa in campo da Giorgia Meloni, ha come primo effetto quello di una tremenda rivincita sulla Francia che, nel 2009, con Sarkozy, aveva destabilizzato la Libia, scacchiere nel quale la presenza italiana era preminente. Gli accordi con Tunisia ed Algeria non ricoprono una valenza meno dirompente, essendo stati questi paesi tradizionalmente posti nella sfera d’influenza francese. Tutti ricorderanno il cinico sorrisino del presidente francese rivolto al nostro capo del governo. Oggi, in queste condizioni, sarebbe impensabile che un Macron possa rivolgere a Giorgia Meloni il medesimo sprezzante sorrisino a mezza bocca.

“Grande tattica”?

Se questi, grosso modo, sono gli elementi comuni, quali, invece, gli aspetti che differenziano i due approcci? Secondo Carlo Pelanda, studioso di geopolitica d’estrazione filo-atlantista, quella di Giorgia Meloni, a differenza di quella messa in campo da Enrico Mattei, non è una vera e propria “strategia”, bensì una sorta «Grande tattica». In questo disegno tattico di ricostruzione dei rapporti e delle relazioni con i paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, l’Italia non avrebbe contro gli Stati Uniti, come ai tempi di Mattei. Anzi, gli Usa spalleggerebbero, almeno in questa fase, il tentativo italiano. 

Le potenze nord-europee, invece, avrebbero ben donde di che lamentarsi per questo abbassamento del “baricentro energetico” nel cuore del Mediterraneo: Germania, Francia, Danimarca e Norvegia sarebbero tutt’altro che contente e liete dell’iniziativa meloniana. Scrive sempre Pelanda: «Per inciso, parte della stampa italiana ha letto nel riferimento del governo a Enrico Mattei ‒ che negli anni Cinquanta condusse una politica di indipendenza energetica dell’Italia anche creando una forte frizione nel Mediterraneo con i produttori statunitensi di carburanti fossili e con la Francia per il sostegno (sostanziale) all’indipendenza dell’Algeria ‒ una volontà di portare questa “necessaria unilateralità” verso una divergenza con l’Ue e gli Stati Uniti. Tale interpretazione […] appare una forzatura infondata: Roma agisce in condivisione di informazioni ed intenti con l’America, anche perché senza questa forza alle spalle sarebbe negozialmente più debole.» 

Il movimentismo mediterraneo

Anche altri osservatori hanno rilevato i critici e delicati effetti che il  “movimentismo mediterraneo” di Giorgia Meloni riscontrerà sull’altra alleanza internazionale nella quale siamo come Nazione coinvolti e cioè l’Unione Europea. Secondo Claudio Antonelli, commentatore di politica estera de “La Verità”, «La scelta di usare il nome del fondatore dell’Eni per battezzare il progetto di rilancio dell’Italia energetica implica l’accettazione di qualche effetto collaterale. Enrico Mattei perì in aereo per via delle sue scelte avverse alle cosidette sette sorelle. Stavolta gli effetti collaterali sarebbero probabilmente meno cruenti, ma comunque pericolosi per la stabilità del nostro Paese. A mettersi di traverso saranno le nazioni del Nord Europa, Norvegia, Danimarca e anche Germania non sembrano disposte ad accettare che l’equilibrio energetico si sposti nel Mediterraneo.»

Anche questo scenario non è del tutto inedito e richiama analoghe dinamiche verificatesi ai tempi di Enrico Mattei. Quando “il Principale” decise di realizzare l’oleodotto che da Genova – Pegli doveva trasportare il greggio proveniente dall’Algeria ad Ingolstadt in Baviera, via Svizzera, aveva un suo disegno strategico: quello di fare della Baviera “l’hub energetico” del Nord Europa abbassando il baricentro di queste attività dalla linea Rotterdam – Amburgo (sul Mare del Nord) in Baviera (centro Europa) che egli considerava come il meridione della Germania. Trovò alleati ad opporsi a questo suo disegno: Usa, Inghilterra, Francia e Paesi Bassi che realizzarono una sorta di oleodotto parallelo che congiungeva Marsiglia con i porti del Mare del Nord. Una conseguenza deleteria del fallimento di questo disegno matteiano fu che la “borsa” del gas e del metano (il TTF che stabilisce e ratifica i prezzi di questa decisiva fonte di energia all’ingrosso) ancora oggi risiede ed è operante in quello scacchiere.

Per concludere questa disamina dei punti in comune tra l’impegno di Enrico Mattei nel Medio Oriente e quello attuale di Giorgia Meloni vi è da dire che il manager e fondatore dell’Eni era consapevole della necessità e dell’utilità di coinvolgere anche gli Usa nel suo approccio e nelle sue relazioni con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Nel famoso colloquio che ebbe con Averel Harrimann, consigliere del presidente Kennedy, all’Hotel Excelsior il 10 marzo 1961, fece presente che la politica americana di determinata contrapposizione ai paesi produttori del Medio Oriente e l’alleanza con le ex potenze coloniali di Francia e Inghilterra, stava regalando quei paesi all’influenza e all’egemonia della Russia sovietica e comunista, sostenne altresì che l’Italia, per la sua posizione nel Mediterraneo e l’immagine che di essa avevano quei paesi, poteva giocare un ruolo essenziale nel ricostruire su nuove basi il regime dei rapporti di questi con gli Usa. 

“Il colonialismo è finito”

Si era però sempre scontrato col netto e secco rifiuto del governo statunitense, condizionato ed influenzato in tal senso dalle grandi compagnie petrolifere. Egli arrivò ad affermare testualmente: «Se è vero, come è vero, che il colonialismo è finito, bisogna attuare una politica di maggiore collaborazione con i produttori. Se non lo faremo subito e bene noi occidentali, lo faranno altri…l’Africa pullula di russi, di polacchi, di cecoslovacchi, di cinesi. Se i governi e le grandi industrie occidentali non capiranno ciò, l’Africa guarderà altrove.»

Oggi con Giorgia Meloni, gli americani, consapevoli dell’influente presenza di russi e cinesi in questo contesto geopolitico nonché dell’alleanza che si sta cementando tra Russia e Cina ad oriente, dagli Urali al Pacifico, sembrano aver appreso la lezione matteiana e spalleggiano e sostengono l’Italia in funzione anticinese ed antirussa nella ricostruzione di relazioni economiche, diplomatiche e politiche utili per tale finalità. Si tratterebbe anche di un modo di “compensare” l’impegno “ultra atlantista” dell’Italia nel conflitto ucraino-russo. Vi è un rischio ovviamente nella sponsorizzazione americana di questi processi: quello di allontanarci definitivamente dall’Europa. Attraverso gli incontri bilaterali con Francia e Germania di queste settimane il presidente del Consiglio si adopererebbe per scongiurare questo rischio. Sia chiaro l’Unione europea non ci piace affatto ma non si può “buttare a mare, insieme all’acqua sporca (la Ue) anche il bambino (l’Europa)”.

@barbadilloit

Leonardo Giordano

Leonardo Giordano su Barbadillo.it

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