Venezia. Leone d’oro alla carriera al regista conservatore Friedkin (di Maurizio Cabona)

william friedkinSono rari i cineasti conservatori a Hollywood, ma i due più importanti, Clint Eastwood e William Friedkin, hanno ricevuto il Leone d’oro alla carriera dalla Mostra d’arte cinematografica di Venezia. Merito di Alberto Barbera: era sua nel 2000 la decisione di premiare Eastwood, è sua la decisione di premiare Friedkin ieri. E, per restare tra conservatori, sua era stata anche la decisione di premiare Eric Rohmer nel 2000: fossero sempre così equanimi le grandi manifestazioni, non si vivrebbe in clima di terrorismo culturale, oltre che di repressione della libertà di parola.

Noto per L’esorcista, per Il braccio violento della legge (in originale The French Connection), per Vivere e morire a Los Angeles, Friedkin non aveva infatti partecipato alla Mostra con nessuno di questi film. Nonostante i cinque Oscar, incluso quello personale per la migliore regia, a Il braccio violento della legge, in quegli anni Friedkin era trasparente fino all’invisibilità per i selezionatori della Mostra. Ma non era l’unico: accadeva anche a Gualtiero Jacopetti, Sergio Leone e Dino Risi, tra i rari registi italiani di allora ad avere fama internazionale.

Per riparare l’errore, stasera la Mostra ha presentato il restauro de Il salario della paura, rifacimento di Vite vendute di Henri-Georges Clouzot. E anche in questa scelta si avverte un ulteriore intento risarcitorio, perché Il salario della paura fu preso sottogamba dalla critica e disertato dal pubblico. Noto al mondo  dal 1971 per Il braccio violento della legge, sei anni dopo Friedkin pareva già morto. Ma non lo era. Tra coloro che non avevano smesso di credere in lui c’era il conte Giovanni Volpi, figlio del fondatore della Mostra. Due anni fa, quando Friedkin presentava in concorso a Venezia Killer Joe, proprio Giovanni Volpi l’ospitava nella villa alla Giudecca. Lì ritrovavo Friedkin, che avevo conosciuto in occasione della sua “personale” al Torino Film Festival del 2003. Lasciava trasparire l’impazienza per certe domande dei giornalisti che erano, piuttosto, degli interventi. Io gliene feci una domanda di poche sillabe e ciò gli rese il sorriso. Se a domanda lunga Friedkin opponeva risposta secca, a domanda breve dava risposta ampia e cordiale. Al tipico modo d’essere americano, e anglosassone in genere, Friedkin unisce l’irascibilità e non solo coi giornalisti prolissi: i suoi collaboratori ne sanno qualcosa. Durante la lavorazione di un solo film gli è capitato di licenziarne settanta, cifra mai raggiunta nemmeno da Stanley Kubrick. Imparziale, Friedkin tratta gli attori noti come tutti gli altri. Gene Hackman vinse l’Oscar come protagonista per Il braccio violento della legge, ma per quel film Friedkin non lo voleva: voleva Jackie Gleason, magnifico caratterista di Soldato sotto la pioggia e Una faccia piena di pugni, però improbabile per le scene d’azione che costellano Il braccio violento della legge. La parte andò quindi a Hackman. Mal gliene incolse: la prima scena fu ripetuta trentacinque volte e nessuna delle trentacinque andò bene. Hackman avvertiva la sfiducia di Friedkin; che gli mentì, arrivando a dirgli che lo stimava moltissimo e che forse era stato lui, Friedkin, a sbagliare. Quando lo racconta, la sua dentatura lascia trasparire quel tanto di squalo che c’è in lui.

Ecco, per capire la persona di Friedkin, se non il suo cinema, certi dettagli contano per comprendere il miracolo compiuto da Shere Lansing, ex attrice (era in Rio Lobo di Howard Hawks, accanto a John Wayne), che è sua moglie da decenni, per aver resistito tanto, mentre notevoli tempre, come Jeanne Moreau prima e Lesley-Ann Down, resistettero pochi anni.

Un altro dettaglio. Dopo aver scartato un migliaio di ragazzine candidate al ruolo di indemoniata nell’Esorcista, Friedkin si sedette accanto alla dodicenne Linda Blair, in presenza della madre, e le chiese – in vista di una della scene più note del film, quella con uso insolito del crocifisso – se già si masturbasse. La Blair replicò: “Certo! E tu?”. La parte fu sua. E pazienza se la sua carriera cinematografica non fu delle più lunghe.

Maurizio Cabona

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