Se la crisi economica trasforma gli europei in Zombie di Romero

Dal 2008 la crisi imperversa tra social network, tg, speciali televisivi, romanzi e non. Ci stiamo scoprendo più poveri, raggirati da una forza anonima e invisibile, individuando il capro espiatorio nella finanza, massima espressione liquida e immateriale di cui il comune mortale non sa cosa farne e come utilizzarla se avesse l’opportunità e capacità di manovrarla.

La crisi finanziaria sta avendo i suoi effetti nel mondo reale, cambiando nome in base a chi la denuncia:  i sindacati la chiamano aumento della povertà ossia distribuzione iniqua della ricchezza; i politici disoccupazione; le agenzie di rating A, AA, AAA;  i “compagni” puntano il dito contro il capitalismo maledetto e i “camerati” sono dispersi per il Paese, senza poi parlare dell’appena iniziata campagna elettorale per il 2013 che sta già disgustosamente imperversando facendosi un baffo della crisi.

E in tutto questo magmatico andirivieni di idee macinate e già sentite, il comune mortale continua a lavorare sotto una pressione fiscale, che coloro i quali godono di vitalizio, auto blu, concerti gratuiti, non hanno mai sentito.

Le crisi molto spesso,però, vengono anche provocate per dare una certa garanzia di stabilità sociale, per cui non si scatena alcuna rivoluzione dal momento che tutti sono impegnati nel tentativo di sopravvivere più che di lottare, sforzo giustificato dal fatto che a casa c’è sempre qualcuno che ci aspetta e non per la ripresa del Patria…

L’involuzione a cui assistiamo richiama le pellicole di George A. Romero,  la trilogia La notte dei morti viventi (1968), continuata con  Zombie (1978) e conclusa con Il giorno degli zombi (1985). In questa cornice malmessa si realizza, come una profezia della Sibilla Cumana, la canzone dei “Sottofasciasemplice”: “…e intanto fuori dall’Europa, come in Zombie di Romero, arrivano le masse senza soldi né lavoro. E poi da tutti i continenti che avete derubato, imbottito di stronzate e poi abbandonato, le masse impoverite ingannate dall’astuzia di chi ha fatto del mercato la sua unica giustizia…”.

Gli zombi di George A. Romero sono la critica sociale del regista stesso all’umanità dell’epoca: gli zombi nel film infatti non sono il prodotto di un rito voodoo, come vuole la tradizione, ma una conseguenza della sconsideratezza umana. Senza anima, vita e pathos gli zombi ripetono gesti meccanici, rituali e fissi che nel film di Romero hanno l’acme nella scena in cui si dirigono tutti, senza motivo alcuno, verso il centro commerciale – il non luogo per eccellenza-, denunciando così quello che il regista stesso prefigurava all’epoca.

Oggi con le stesse azioni meccaniche senza pathos si ripetono. Ci si dirige nei propri posti di lavoro con il dubbio di esserci anche nei mesi a venire. Si chiama “flessibilità del lavoro”. Eresia definirla precarizzazione: pare sia davvero stimolante cambiare lavoro nella propria vita, ammesso che vi siano  lavori da poter fare…

E allora si materializzano i vampiri, i creditori, che, nella migliore delle ipotesi, bussano alla porta per riscuotere il mutuo di cui il comune mortale si è fatto carico per la casa,  l’auto, il matrimonio. Sarà pronto a pagarlo?

Se non credete a mostri, fantasmi, zombie e lupi mannari risulterà ardita questa interpretazione della quotidianità… invece niente è più pericoloso di ciò a cui non si crede. Secoli fa Charles Baudelaire scalfì gli animi con Les fleurs du Mal raccontando la versione estremizzata dell’amore, morte e sentimento religioso, adesso ci resta solo una versione alla Dylan Dog della vita…

*Dopo la lettura suggeriamo l’ascolto di  Come mai, sottofasciasemplice

 

Ester Binetti

Ester Binetti su Barbadillo.it

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