Giuseppe Sartori: “Il Teatro Greco? Uno spazio meraviglioso che ti accarezza”. Parola di Edipo

Intervista all’attore trevigiano, nella 57 ͣ Stagione della Rappresentazioni Classiche di Siracusa è protagonista di "Edipo Re" di Robert Carsen. E tornerà in scena in "Orestea" di Davide Livermore

Giuseppe Sartori

Ha questa cosa, Giuseppe Sartori, che ti fissa negli occhi e non sai se è per indagare chi sei o se per evitare di mostrare chi è. Come il suo straordinario Edipo che ingaggia con gli occhi la battaglia della sorte: volerli aprire così tanto da lasciarli chiusi per sempre. Solo che Giuseppe Sartori ha ceduto a Edipo anche il suo corpo: nervoso, asciutto, spogliato. Ceduto a un Edipo che mai si era visto al Teatro Greco di Siracusa. Straordinario, dunque, nel senso più filologico della recitazione. Basta cercare nell’archivio delle Stagioni Inda per capire come Sartori abbia scavato e scovato dal mito l’inaudita totalità del personaggio senza fare degli occhi la sola metonimia. Magari sarà stata la passione per le miniature “Quando non recito, disegno. Disegno miniature, perché mi rilasso e sperimento il massimo controllo”. Sarebbe bello vedere le sue miniature: chissà se si ispira agli insetti e i topi, più o meno vivi, delle sue foto su Instagram accanto a quelle di foglie, alberi e cemento e delle magliette sdrucite. Quindi, c’è un mondo oltre il palcoscenico. Eppure Giuseppe Sartori lo incarna, il palcoscenico. Ogni sua performance è nel segno della dedizione del corpo al teatro. Più di quanto la resa del corpo sia dentro la valigia di ogni attore.

Nella carriera di Giuseppe Sartori c’è la lunga esperienza con la compagnia RicciForte, cui approda nel 2009, dopo essersi diplomato alla scuola del  Piccolo Teatro di Milano. Per il Piccolo, mette da parte l’Università e lo studio della lingua cinese.  Si perfeziona alla Ecole des Maitres in Francia.

Molte le esperienze internazionali Ho avuto la fortuna di viaggiare per lavoro. Grazie alle tournee sono stato in parti di mondo che non avrei mai visto. Ricordo un bel progetto a Mosca nel 2012 con attori russi e poi l’esperienza con l’Ecole des Maitres: quattro attori di Italia, Belgio e Francia vengono diretti ogni anno da un regista di fama internazionale. Questo mi ha permesso di lavorare con attori di altra formazione”.  Nel futuro c’è “Milano con Giovanni Testori, poi Napoli con Alessandro Paschitto, un giovane regista con un suo testo alla Galleria Toledo,  e nel 2023 c’è la ripresa dello spettacolo “Peng” con la regia di Giacomo Bisordi, e a Genova e Torino con Coefore Eumenidi”.  E’ con la compagnia RicciForte che Sartori fa esperienze di teatro innovativo. Recita nel loro capolavoro “Macadamia Nut Brittle” e in spettacoli di forte impatto come  “Wunderkammer Soap” dove è una Didone en travesti, nudo in una performance di 25 minuti davanti al pubblico. Scendere la scala voluta per Edipo da Robert Carsen è però tutt’altra cosa. E’ quello che Jerzy Grotoski chiamava per l’attore “atto dell’anima tramite il suo organismo

 

Edipo Re è forse il testo più imponente della tradizione tragica: mette insieme il tema del potere, della verità, del rapporto con gli dei (Apollo) e il tema della ricerca di sé.  Robert Carsen te lo ha fatto incarnare, nel senso più vero del termine. Come ti ha scelto? Come avete creato questo Edipo?

“Carsen lo scorso anno era alla prima di Coefore Eumenidi. A novembre chiese di potermi vedere per il provino. Gli erano stati mandati una serie di attori ma lui s’è ricordato di Oreste e mi ha voluto vedere.  Abbiamo fatto due provini. Quando mi hanno comunicato che mi aveva scelto, sono stato felicissimo. Carsen è un uomo di una profondità umana e intellettuale veramente alta. E’ stato, perciò, molto attento e fedele al senso della vicenda e al fatto che tutto fosse preciso anche a livello di comprensione, di interpretazione e ha evitato la declamazione generica. “Edipo Re” è strutturata come un’indagine. Sono pochi i monologhi, poche le partenze liriche: ciò che succede è tutto molto concreto. Per quanto riguarda il personaggio di Edipo, le linee cardine fin da subito sono state: è uomo di potere, è distante ma il suo   potere è aperto, è una vicenda pubblica: porre l’attore in cima alla scala indica già a livello di prossemica questa apertura perché Edipo è un uomo le cui ombre sono anch’esse pubbliche. C’è, in questa regia, l’essenza della storia e la violenza della conoscenza e della verità su se stessi, e un’innocenza palese del protagonista. Soprattutto per quanto riguarda il finale, in cui più che il dolore e la disperazione vince l’assoluta dignità e la potenza dell’accettazione di un destino. Carsen mi raccomandava di stare attento alla linea sottile tra l’autocommiserazione e la dignità, attento a non cadere nel dolore facile da esprimere o nel piangersi addosso. E io  ho indagato cosa può significare per un uomo un fato di questo tipo”.

Quindi sei d’accordo sul fatto che finora la critica vi ha visto una Passione.

“L’immagine non è stata pensata, ma è chiaro che l’abito bianco insanguinato e la scala grigia richiamino un calvario. Il senso è anche nel momento in cui Edipo si autoesilia, perché è l’unico modo per far cessare la pestilenza che affligge Tebe; quindi, al di là della vicenda personale il sacrificio è necessario affinché il resto della comunità possa sopravvivere.

Quest’anno a Siracusa è l’anno di Giuseppe Sartori: Edipo e Oreste (la replica di Coefore Eumenidi e il 9 luglio tutta l’Orestea”). Robert Carsen e  Davide Livermore. Da una regia asciutta a una magniloquente, per due personaggi che hanno qualche tratto di similarità nel ritmo interpretativo

“Ringrazio per aver potuto lavorare con due grandissimi professionisti di gusto diverso e che presentano due sfide diverse: per me è solo un’occasione di crescita e di scoperta. Oreste e Edipo sono due personaggi piuttosto diversi. Entrambi si devono confrontare con la colpa, ma una colpa che nasce da situazioni opposte. Edipo non sa di averla, Oreste, invece, si macera perché sa che deve commettere quell’atto terribile e pagarne il prezzo. Le similarità sono in me: per quanto un attore cerchi di mettersi da parte vocalmente o per quanto si modifichi fisicamente, sono io lo stesso interprete. Quindi, se ci sono dei tratti comuni, è me che riconosci”.

Che attore è Giuseppe Sartori?

“E’ un artista che ha avuto l’impostazione classica propria della scuola del Piccolo, e dunque anche ha imparato l’importanza del movimento e della padronanza del corpo. Sono un attore che vuole sentirsi libero, libero di fare tutte le esperienze. Libertà come momentaneo controllo anche sull’ignoto”.

Con RicciForte è nata la tua nudità in scena. Doni il corpo e mostri disinvoltura e sicurezza nel giocarci. In Edipo la scena in cui il re scende nudo le scale, rosso di sangue è una forte e complessa. Ricorda il metodo di Ryszard Cieslak ossia sostenere il grido con il processo fisico.

“A dire il vero, in tutti gli spettacoli che ho fatto con RicciForte sarò stato in scena nudo poco più di 15 minuti, ma sono consapevole che a livello di immagine questa cosa colpisce. Per il resto, non sono uno sportivo, ringrazio i geni familiari per la forma ancora passabile. Né posso dire che, venendo dal Piccolo, faccio riferimento a un metodo: al Piccolo si ha pudore a parlare di metodo. Ci insegnano che ognuno è responsabile e deve tentare di capire cosa funziona per sé. Il corpo è la mia primaria fonte espressiva, poi ci sono la voce e l’intelletto. Molto lo scopro partendo dal corpo e lo traduco nelle battute. La parola per me è movimento, della mente e del corpo. Per Edipo è necessario: il personaggio inizia come uomo intero e passo dopo passo si disgrega fino a questa spoliazione totale, nonostante tenti fino all’ultimo di restare aggrappato all’idea di sé”.

Quanta autonomia e quanta disciplina deve avere un attore rispetto al regista?

“I registi sono la necessaria giuda in un mondo come il teatro che è tutto fuorchè democratico, nel senso che la vita di palcoscenico ha delle regole, una gerarchia e una disciplina imprescindibili. Parafrasando Peter Stein, c’è il regista che crea il percorso che porta al debutto e dopo c’è la responsabilità di chi sul palcoscenico ci sta.  Nel rapporto tra attore e regista fondamentale è la fiducia ed è bellissimo impegnarsi per far crescere sempre di più la cornice artistica di una regia”.

Scegli tu i registi con cui vuoi lavorare?

“Non tutti. Però, se penso al mio percorso finora ovvero Carsen, Livermore, Jacopo Gassmann, Bisordi, Paschitto, Costanza Macras (con lei ho fatto tre progetti di teatrodanza), devo dire che molto è stato voluto dal caso, anche se mi presento a un provino mosso da curiosità e stima. Anche i colleghi sono importanti”.

Per esempio, da chi hai imparato di più?

“Anna Gualdo è la collega da cui ho imparato di più. Era nella compagnia Ricci Forte ed è una grandissima professionista. L’ho incontrata che ero ventunenne e appena diplomato. Se penso alla prima parte del mio percorso, penso ad Anna”.

Com’è recitare nel teatro di pietra più antico al mondo?

“E’ uno spazio meraviglioso che in qualche modo ti accarezza. Quelle pietre ti suggeriscono la qualità fisica e vocalica. Nonostante la capienza, nonostante il muro di persone, nonostante il carico d’ansia mi sento a casa più qui che in un teatro al chiuso. Non so perché: forse sono le suggestioni nate dalla storia di cui è intriso. Ricordo lo stupore dell’anno scorso, quando l’ho calcato per la prima volta: quello spazio ha insegnato al mio corpo come porsi. Non ero mai venuto da spettatore né da attore, solo da turista in gita scolastica al liceo e in un periodo in cui non c’erano tragedie. Mai avrei pensato che sarei finito qui un giorno”.

Dopo l’ultimo applauso del 2022 in questo teatro, ti chiedono di tornare e scegliere il personaggio. Quale corpo vorresti essere?

“Ti rispondo con il gioco delle vocali. Sono stato Oreste, poi Edipo, allora Aiace o Ulisse? con la I della mia età solo Ippolito, ma forse non è più il tempo. Certo Aiace ha particolarità che si scostano dalle tragedie che ci sono arrivate. Chi direbbe di no? E ovviamente mi piacerebbe fare il terzo anno a Siracusa”.

Se Sartori dovesse dire cos’è per lui il teatro, risponderebbe?

“Il teatro è un lavoro. Eccolo: asciutto, essenziale, senza fronzoli. Come il suo Edipo”.

 

Daniela Sessa

Daniela Sessa su Barbadillo.it

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