Focus. Fenomenologia dei mercenari moderni nel conflitto Russia-Ucraina

Giorgio Ballario analizza il ritorno dei "contractors" sulla scena bellica nonché il racconto dei media

Mercenari sul campo

A detta di molti la guerra tra Russia e Ucraina ci ha riportato indietro al Novecento: invasione di terra, limitato uso dell’aeronautica militare, tecnologia ridotta al minimo (d’accordo… missili, droni, ma poco altro), conquista delle città quartiere per quartiere e di contro, da parte ucraina, difesa del territorio che privilegia la guerriglia rispetto alle battaglie campali. Un tuffo nel secolo scorso, insomma. E ancor più nel passato se teniamo conto che nei due schieramenti militano ormai migliaia di mercenari di varia nazionalità, come del resto è sempre accaduto nelle guerre sin dall’antichità: l’esercito punico di Annibale, ad esempio, scese verso Roma con migliaia di fanti iberici e celti e frombolieri maiorchini, truppe decisive nella vittoria del lago Trasimeno.

Si legge la parola “mercenario” e subito la memoria va all’epopea del Congo, della Nigeria e dell’Angola degli anni Sessanta e Settanta, a personaggi straordinari e romanzeschi come Bob Denard, Mike Hoare e Jean Schramme, ai tanti reduci della Seconda guerra mondiale finiti a combattere in Africa per soldi e qualcuno anche per ideali. Poi, nei decenni più vicini, abbiamo imparato a conoscere il fenomeno del “contractors”, cioè dei mercenari ripuliti dalla vecchia denominazione e inquadrati in multinazionali della guerra al seguito degli interessi americani (come Blackwater, ora Academi) e anche russi (il famoso gruppo Wagner).

Arruolamento disordinato

Ora la guerra in Ucraina riporta in auge la figura del mercenario, anche se dalle informazioni che filtrano dal fronte (e che sui giornali italiani sono quasi irreperibili) questi ultimi sembrano più simili all’Armata Brancaleone che non alle “oche selvagge” dei vecchi film sulla guerriglia in Africa. All’inizio della guerra era stato dato un certo risalto mediatico alla formazione di una “legione internazionale” a fianco dell’esercito ucraino, ma il massacro provocato da missili russi sul centro di addestramento di Yavoriv, vicino a Leopoli, zeppo di foreign fighters britannici, canadesi e persino brasiliani, aveva ben presto raffreddato gli entusiasmi. Eppure, l’afflusso in Ucraina di volontari stranieri continua senza sosta, anche se il livello non sembra dei più elevati. E tanto meno le motivazioni.

Con lo zaino verso la guerriglia

Ne dà conto il quotidiano argentino Clarìn, che racconta la storia di centinaia di volontari di Cile, Colombia, Perù e Messico partiti nelle scorse settimane per la Polonia e di lì finiti in Ucraina per arruolarsi nell’esercito di Zelenskij. Tony è volato da Lima dopo aver firmato un contratto al consolato ucraino che gli garantisce 2.500 euro al mese (una cifra enorme per il Perù), premi in denaro per la distruzione di mezzi armati nemici e infine il visto di residenza per rimanere in Ucraina, quando sarà liberata dagli invasori. Una volta arrivato a Leopoli, come altri peruviani, Tony ha passato il tempo girovagando da una scuola a un hotel economico senza mai poter cominciare gli addestramenti, tanto che alcuni suoi compagni, a corto di soldi, sono già rientrati in Polonia in attesa degli eventi. John, ex militare colombiano, spiega a Clarìn che stava aspettando di essere portato a Yavorivov quando il centro è stato bombardato: da allora aspetta insieme ad altri colleghi che gli dicano cosa fare, ma non arrivano notizie: “Non sappiamo cosa succederà, ci sono ragazzi di tutta l’America Latina e molti si stanno stancando, nessuno ci dice niente. Siamo venuti qui per combattere e poi per fermarci una volta tornata la pace”. La maggior parte di loro, fra l’altro, ha dovuto sborsare di tasca propria un migliaio di dollari per pagarsi il volo dal Sudamerica alla Polonia, perché il contratto non prevede le spese di viaggio. Ad altri il viaggio è stato pagato da ricchi ucraini radicati nell’Europa occidentale, soprattutto a Londra. 

Le testimonianze dei sudamericani in Ucraina

Probabilmente sarà lo stesso il destino dell’argentino Ignacio Làzaro Koci, 29 anni, ex militare intercettato nei giorni scorsi da Clarìn all’aeroporto di Buenos Aires in partenza per l’Ucraina. All’ambasciata di Kiev in Argentina gli hanno detto che andrà a combattere in una Legione straniera formata da volontari di 52 nazionalità, con le stesse condizioni degli altri mercenari: paga di 2.500 euro, premi per i bersagli colpiti, visto di residenza permanente in Ucraina.  Il ragazzo confessa di avere paura, ma di essere anche molto motivato perché ha sempre desiderato diventare militare di professione, anche se è stato difficile spiegarlo ai familiari rimasti a Buenos Aires. 

I siriani filorussi

L’euforia dell’arruolamento

L’ANSA racconta invece la storia dei volontari siriani che partono da Damasco per andare a combattere nelle file dei russi: in questo caso il “soldo” è parecchio più basso, appena mille euro (che tuttavia per loro è un ottimo stipendio), ma soprattutto li attende come ricompensa la concessione della cittadinanza di Mosca. Uno dei mercenari avvicinati dall’ANSA ha spiegato di aver fatto parte della milizia siriana dei Falchi del deserto, che ha combattuto a fianco dei russi nella guerra civile siriana, sciolta nel 2018. Da allora non ha più avuto un lavoro e ha avuto serie difficoltà a mantenere la famiglia, per questo motivo non appena è arrivata la proposta di arruolarsi con l’esercito russo ha accettato di corsa. L’uomo, con altri duecento ex compagni dei Falchi del deserto, è stato ingaggiato in Siria da un ufficiale russo: contratto di tre pagine in cirillico e la promessa che il salario verrà versato direttamente alle famiglie nel loro Paese.

I numeri dei mercenari nell’Est Europa

Secondo Gianandrea Gaiani, direttore della rivista Analisidifesa.it, sul versante ucraino potrebbero agire circa 12/15 mila foreign fighters (o per dirla meglio, mercenari), mentre sul versante russo sarebbero 30/40 mila, includendo appunto i siriani (16 mila), i contractors del gruppo Wagner e l’esercito privato di Kadyrov, il presidente ceceno fedelissimo di Putin. 

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Giorgio Ballario

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