Estate 2016: avevo da poco iniziato a studiare il russo autonomamente e, per migliorare le mie allora tenui conoscenze linguistiche, decido di recarmi per un mese appositamente a Novosibirsk e non a Mosca o San Pietroburgo. Niente inglese, solo russo: questo è stato il mio motto. Nonostante le prime due settimane di sordità e mutismo, questa prima esperienza è stata per me fondamentale. Non a caso sono successivamente seguite tre distinte permanenze più o meno lunghe.
Novosibirsk: città fondata nel 1893 al centro dell’Eurasia che in circa 150 anni è diventata la capitale della Siberia e la terza città russa dopo San Pietroburgo. Città giovane e dinamica, crocevia fra Occidente e Oriente: ucraini, tatari siberiani, uiguri, cinesi, tagiki, uzbeki, kazaki e armeni sono le principali etnie presenti oltre naturalmente a quella russa. Lo stile architettonico predominante è quello socialista, gli spazi sono immensi, le temperature spaventano: sembra che un giovane occidentale non possa barcamenarsi in questo crogiuolo di novità e differenze. Non è così o, per lo meno, non lo è stato nel mio caso. Oltre all’infinito amore per l’Italia e gli italiani, confesso di aver per la prima volta ascoltato alcune canzoni di Celentano e Albano proprio in Siberia, non si può rimanere indifferenti a questa realtà.
La città divisa in due
Novosibirsk è divisa in due parti dal fiume Ob’, a detta degli abitanti la “riva” destra è quella economicamente più attiva e colta, mentre la “riva” sinistra è quella più statica e “criminale”. Per utilizzare un esempio tutto italiano: a destra i Parioli, a sinistra San Basilio oppure, perché nessuno si offenda, a destra Porta Lodovica e a sinistra Quarto Oggiaro. Io come al solito non mi sono fatto mancare niente e ho vissuto sia a destra sia a sinistra di quello che anche in inverno, nonostante sia totalmente ghiacciato, viene ostinatamente chiamato fiume. Mai nessun problema o, come dice la gente “di borgata” in Russia, “vsё po krasote” (tutto alla grande, tutto una bellezza). Tra l’altro, proprio uno dei più temuti quartieri della riva sinistra nei quali ho vissuto, Rastočka, è definito, per ragioni architettoniche, la “Firenze siberiana”. Non me ne vogliano i residenti ma io, sinceramente, da solo non mi sarei mai accorto di questa somiglianza. Dulcis in fundo è da far notare che grande parte di questa “Firenze siberiana” è stata costruita nel secondo dopoguerra da soldati tedeschi deportati in Siberia. Una Firenze siberiana di mano tedesca; oltre gli Urali tutto è possibile!
Repubblica Altaj
Inoltre, a soli 500-700 km da Novosibirsk, distanze che in Siberia sono degne di una veloce “scampagnata”, si trova la Repubblica Altaj. Ecco un altro panorama tutto siberiano fatto di steppe sterminate e natura selvaggia. Abitata dalla popolazione turcica degli altaj, alcune delle sue località più note, come per esempio Čemal e Belokuricha, costituiscono mete turistiche molto ambite. Se la popolazione autoctona soprattutto in inverno vive principalmente di sussistenza, l’economia regionale è basata sul turismo interno. Molto spesso il traffico automobilistico è interrotto dal passare di mandrie di buoi o di mucche: non perché questi animali siano considerati sacri, ma perché semplicemente la natura qui influenza ancora profondamente il ritmo della vita quotidiana. Nelle mie due gite non ho potuto fare a meno di notare la presenza di una specie animale a me fino a quel momento ignota: i burunduki.
All’occhio forestiero i burunduki appaiono come degli scogliattoli giallognoli “tigrati”. Un’altra piccola scoperta è stata la medovucha, una bevanda a bassa gradazione alcolica a base di miele.
La mia esperienza in Siberia, come ho già detto, mi ha segnato profondamente e non solo da un punto di vista personale. Prima di trasferirmi a San Pietroburgo, per me Russia era sinonimo di Siberia (o viceversa): steppe infinite, ricchissimi crogiuoli di popoli e culture, stile di vita non ancora occidentalizzato. Ciò che mi ha conquistato della Russia è stato proprio il suo essere altro, il suo essere qualcosa di diverso.
Nessuna overdose di consumismo
Capitalismo e consumismo hanno naturalmente già raggiunto anche la lontana Siberia, ma, per il momento, a mio parere non hanno ancora determinato quella “mutazione antropologica ed esistenziale” di pasoliniana memoria. Forse si tratta di vanità inconsistenti, velleitarie illusioni o addirittura stereotipi edulcoratamente mascherati: molti autoctoni potrebbero infatti obbiettarmi che in realtà questi sono i tipici pensieri di un occidentale annoiato, profondamente affetto da “spleen” e alla ricerca di un paradiso esotico e onirico che vellichi la sua giovane ma già consunta e nevrotica fantasia. Potrebbero anche aggiungere che è facile abbandonarsi a queste riflessioni quando a casa si dispone di tutte quelle comodità dovute al tanto vituperato capitalismo a cui ora anche loro vogliono accodarsi. In ogni caso, non arrischiandomi a nessuna risposta avventata, non posso negare che mi mette una profonda tristezza il fatto per cui molti turisti, oltre ai canonici tours per i centri storici più famosi, siano maggiormente attratti dai nuovissimi e abbacinanti centri commerciali, dalle festose discoteche e infine dagli sfarzosi ristoranti da stella Michelin. Quello che invece suscita in me interesse è un piccolo villaggio, qualche isba remota: questa è la mia Russia.