L’Italia nella “generazione del ‘70”. La “generazione del ’70” in Italia/2

Seconda parte del focus del professore Brunello Natale De Cusatis sul dialogo tra gli uomini di cultura (e non solo) portoghesi e italiani

Molti scritti di Ramalho, da As Farpas a Pela terra alheia e a Figuras e questões literárias, contengono numerosi riferimenti all’Italia – un Paese che lo scrittore portuense ha avuto modo di visitare e percorrere da Nord a Sud. Tali riferimenti non si limitano solo alla sua storia politica passata ed epocale, ma anche ai suoi luoghi e città, ai suoi usi e costumi, alla sua cultura, con ricorrenti richiami a nomi quali: Dante, Petrarca, Raffaello, Michelangelo, Leonardo, Giordano Bruno, Tiziano, Tasso, Ariosto, Macchiavelli, Galileo, Vico, Manzoni.

Sicché Roma è la «città eterna» per eccellenza, perché

«in nessun’altra parte s’assapora così tanto il migliore di tutti i piaceri insiti nell’istinto della nostra specie: il piacere di apprendere»,

perché è cosmopolita,

«offrendo ai viaggiatori di tutto il mondo che vi si riuniscono la sensazione egualitaria e fraterna che questa sia davvero la patria spirituale di tutti, la casa paterna del genere umano»,

perché

«di secolo in secolo, tramite tutte le vicissitudini della politica e tutte le evoluzioni del progresso, sulle successive e sovrapposte rovine di tutte le caducità, Roma continua a esercitare sugli uomini lo stesso sortilegio, la stessa affettuosa attrazione che aveva nell’antichità» [Flores de Roma, in Pela terra alheia, II].

Napoli, situata

«nel più grazioso golfo del Mar Tirreno», è la città che possiede un «incomparabile museo», con i suoi «mirabili affreschi pompeiani e i supremi capolavori della scultura greca». La Sicilia, con il suo «insulare fascino», che «supera qualunque luogo quanto alla conquista dello spirito», non è solo «il più meraviglioso giardino, il più ricco frutteto d’Europa, il più interessante museo architettonico del mondo intero», ma «è anche, e soprattutto, il più prezioso tesoro di figurazioni teogoniche, di tradizioni poetiche, di miti, di leggende, di suggestioni storiche» [Sicília (impressões de arte), Ibidem].

Nel novembre del 1873, ironizzando sulla recente creazione dell’Associação Católica do Porto e sulla propaganda fatta dai suoi «cavalieri» e «dame», accusati di proporre un cattolicesimo sterile e lontano anni luce dalle azioni e realizzazioni passate e presenti di altri Paesi europei, Ramalho va con la mente ai grandi artefici delle «maggiori opere prodotte dallo spirito umano» sotto l’impulso della fede cattolica, tra i quali cita Tommaso d’Aquino, Dante, Tasso e «il dolce e pacifico poeta» Manzoni.

Scrive Ramalho:

 

«I Promessi Sposi, il celebre romanzo, è stato ispirato, come il Genio del Cristianesimo di Chateaubriand e le odi religiose di Lamartine, da questa reazione cattolico-letteraria con cui i romantici degli anni ’30 hanno sopraffatto gli ideali filosofici del Settecento. Manzoni, però, servendo la causa cattolica come propagandista, e divenendo un esempio che avrebbe fatto da scuola a molti scrittori e poeti italiani, Manzoni, in primo luogo, aveva scritto a tale scopo dei libri adorabili […]. In secondo luogo, egli considerava l’idea religiosa come un elemento di emancipazione e rigenerazione per l’Italia, allora oppressa e ridotta in schiavitù. Infine, lo scopo principale di Manzoni non era quello di glorificare i sacerdoti, di irreggimentarli, armarli, metterli sul piede di guerra, come sta facendo l’Associazione cattolica portuense. Al contrario, Manzoni sapeva che i sacerdoti italiani del suo tempo erano, come Cantù li descrive, «ingordi, avari, stupidi e banditi». Il profilo ideale del cardinale Borromeo nei Promessi Sposi non è da intendersi come un ritratto, era l’istituzione di un nuovo livello di opinione, era un esempio, una lezione data dal modo delicato e gentile con cui il disgusto profondo aveva ispirato l’anima candida e onesta del pio scrittore» [As Farpas, II (2)].

 

Tuttavia, è certo che fu Antero a sentirsi maggiormente attratto dalla letteratura e dalla cultura italiana, nonché colui che fu più influenzato da esse, sia a livello poetico che in relazione al suo pensiero. Una prima conferma la si riscontra nell’Indículo della sua biblioteca, organizzata da Aristides da Mota su richiesta del Comune di Ponta Delgada [in José Bruno Carreiro, Antero de Quental – subsídios para a sua biografia] e nel quale, tra i tanti titoli che documentano le sue letture, ritroviamo: la Divina Commedia di Dante; la Gerusalemme liberata del Tasso; Tragedie e poesie di Manzoni; l’edizione francese Opuscules et pensée e il volume Poesie entrambi di Leopardi; un libro di Poesie italiane di diversi autori; Le mie prigioni di Silvio Pellico; I dialoghi sui massimi sistemi tolemaico e copernicano di Galileo; Principi di scienza nuova di Vico; Introduction à la philosophie de Hegel di Augusto Vera – un’opera fondamentale quanto ai primi approcci del poeta portoghese alla filosofia hegeliana. L’Indículo contiene anche una Grammatica storico-comparativa della lingua latina di Domenico Pezzi e il Nuovo dizionario francese-italiano e italiano-francese di Severino Ferrari, a dimostrazione dell’interesse avuto da Antero per la lingua italiana. Tale conoscenza e amore per l’italiano si evince da un riferimento in una lettera datata 10 marzo 1884 e indirizzata al siciliano Tommaso Cannizzaro (1838-1921) – poeta, saggista e traduttore, autore, in collaborazione con Giuseppe Zuppone Strani, del volume Antero de Quental – «Sonetti completi» (Messina, 1898) – in cui quasi lo rimprovera per avergli scritto in francese e non in italiano.

Giambattista Vico fu, probabilmente, il pensatore italiano che più influenzò la speculazione filosofica di Antero, essendo presentato «come una sibilla di Virgilio» per aver intuito che

 

«l’uomo è il suo stesso creatore. Sovrano sforzo del genio! Tutti coloro che sono venuti dopo, Hegel, Michelet, non hanno fatto altro che confermare l’intuizione meravigliosa del grande italiano. Il poderoso spirito di libertà e vita, che anima il Settecento, sembra incarnarsi in quell’uomo misterioso, che, nel comunicare l’alta formula della filosofia del suo tempo, comunica anche quel che è alla base della ragione di tutti i tempi: l’affermazione dell’io umano» [Espontaneidade].

 

D’altra parte, non si deve dimenticare che a partire dal discorso De nostri temporis studiorum ratione (1708), Vico difende una posizione contraria al razionalismo cartesiano entro i limiti di un anti-apriorismo sostanzialmente di ispirazione baconiana, in cui i diritti della fantasia e della memoria e, pertanto, della «spontaneità», sono presupposti indispensabili, con l’affermazione, per il tramite dell’ispirazione poetica stessa, di un dettaglio importante che legittima l’interesse di Antero per il pensatore napoletano.

Ma sono presenti altri nomi di pensatori italiani negli scritti filosofici di Antero. Tommaso d’Aquino, da lui considerato uno dei precursori del pensiero moderno,

«formulò nella gigantesca Summa, se non una vera sintesi, quantomeno la riduzione a un’unità sistematica delle tendenze delle varie correnti dello spirito medievale, più o meno confuse o armonizzate nel suo sapiente eclettismo» [Tendências gerais da filosofia na segunda metade do século XIX].

Giordano Bruno fu tra coloro che contribuirono, anche se solo in «abbozzi e preannunzi», affinché la scienza e la speculazione si mostrassero come pilastri indispensabili «per l’organizzazione sistematica del pensiero moderno in tutte le sue determinazioni» [A filosofia da natureza dos naturalistas]; così come Pietro Pomponazzi e Girolamo Cardano, veri «filosofi-profeti» poiché «filosofavano per ispirazione», e soprattutto Galileo, poiché grazie a lui, Keplero, Newton, Cartesio, Leibniz e Bacone, «la concezione moderna dell’universo, ancora vaga e inconsistente nel XVI secolo» sarebbe diventata «stabile come forza e legge» [Tendências gerais da filosofia na segunda metade do século XIX].

Passando all’ambito letterario italiano, Dante fu, di certo, l’autore più letto da Antero in gioventù quando era studente a Coimbra [cfr. (Carta) A Carolina Michaëlis de Vasconcelos (7 agosto 1885)] e uno dei più citati tra gli autori stranieri. In alcune epigrafi della sua poesia egli ricorre alla Divina Commedia – questa «meravigliosa trilogia» in cui Dante «aveva travasato […], insieme alle torture del pensiero, i dolori della sua anima angosciata» [Esbocetos biográficos]. Nel 1861 inizia il suo primo libro in versi, Sonetos de Antero, con il terzetto «O voi, che avete gl’intelletti sani, / Mirate la dottrina che s’asconde / Sotto il velame degli versi strani» (Inferno, IX, vv. 61-63). Nello stesso anno, fa precedere la poesia Per amica silentia lunae dalla citazione «Guardai in alto…» (Idem, I, v. 16).

Nel 1863, nello scegliere per il suo secondo libro in versi il titolo Beatrice, ricorre all’epigrafe «Io sono Beatrice» (Idem, II, v. 70). Nel 1865, nelle Odes modernas, inserisce una poesia intitolata Secol’ si rinnova (Purgatorio, XXII, v. 70). Oltre alle opere citate e al sonetto Beatrice, apparso per la prima volta nell’omonima raccolta, altre composizioni poetiche di Antero sono di chiara ispirazione dantesca, quali: Na primeira página do “Inferno” de Dante [1861]; Dante – Divina Comédia [1862], una parafrasi in 16 versi di quattro terzetti del Purgatorio (VI, vv. 76-87); il sonetto Divina Comédia, inserito nel 4° ciclo [1874-80] dei Sonetos completos, ciclo nel quale Oliveira Martins, nello scrivere la prefazione alla raccolta, aveva rivelato «linee di statue incorporee … [di]… nitidezza dantesca», ossia, un tipo di poesia in cui, come in Dante, l’«immaginazione» del poeta azzorriano si accompagna all’«intelligenza» e al «sapere», consentendogli di «vedere chiaramente quel che per il comune degli spiriti sono solo concezioni dell’intelletto astratto».

Nella poetica di Antero sono facilmente rilevabili echi dell’opera di Foscolo e Leopardi, anche perché la sua crisi filosofica ed esistenziale trova una risonanza, seppur lontana, nei due poeti-filosofi italiani. Difatti, il conflitto o l’opposizione tra l’Antero che sente e l’Antero che pensa ha molto dell’inquietudine che affligge Foscolo e Leopardi, autori da lui emblematicamente inclusi tra i grandi rappresentanti della poesia egotistica:

«gli ultimi di una razza condannata a scomparire e i quali, sentendo la ferita interiore da cui sfugge loro la vita, interrogano inquieti l’orizzonte e, piangendo o ruggendo, si siedono sul ciglio della strada e attendono la morte» [A poesia na actualidade].

Con Foscolo condivide identiche tensioni derivanti da una alternanza continua, sia nella vita che nell’opera, tra sentimentalismo e riflessione filosofico-sociale, scetticismo e ricerca di valori assoluti e universali; tensioni che in Foscolo si esplicitano nelle sue due anime, quella passionale e quella razionale, sintetizzate, rispettivamente, nella figura di Otis – la cui ultima tragica scelta sarà la stessa di Antero, ovvero, il suicidio – e nella figura di Didino. Leopardi si approssima ancor di più al poeta azzorriano per il tramite della conoscenza filosofica cui entrambi ricorrono allorquando affrontano la cupa realtà della vita, l’esistenza di un pessimismo esasperato, nonché un identico permanere nella disperazione, in un equilibrio, non di rado imperfetto, tra illusione e meditazione, emotività e razionalità.

Quel che ritengo, tuttavia, particolarmente significativo in tutto questo interesse di Antero per la cultura italiana è il suo pressante e mai sazio desiderio di tenersi informato sulle ultime novità. In questo gli fu molto utile l’amicizia, anche se solo alimentata epistolarmente, con Tommaso Cannizzaro. Difatti, oltre alle lettere, entrambi si scambiarono, tra il 1883 e il 1889, offerte di libri, propri e di altri autori, nonché informazioni e impressioni inerenti agli eventi culturali dei rispettivi Paesi.

Antero ebbe così l’opportunità di conoscere e apprezzare, per il tramite del poeta siciliano, le opere di alcuni esponenti, più o meno famosi, della cultura italiana epocale, quali il Francesco d’Assisi di Ruggero Borghi e quattro dei cinque volumi de «Il libro dell’amore». Poesie italiane raccolte e straniere raccolte e tradotte del poeta veneziano Marcantonio Canini. Quanto a quest’ultimo, dai precisi riferimenti fatti da Antero in alcune sue lettere, è certo che tra i due ci fu, nel corso del 1888, almeno un breve scambio epistolare di cui, ad oggi, ancora non sono stati rinvenute tracce [cfr. la lettera A Fernando Leal (4 settembre 1888) e tre delle lettere A Tommaso Cannizzaro (22 dicembre 1888; 10 aprile 1889; 15 maggio 1889)].

Ma Antero fu anche un promotore della letteratura italiana del suo tempo presso amici e conoscenti, lamentandosi di come il Portogallo fosse quasi una provincia o un feudo della Francia in termini letterari e culturali e, quindi, editorialmente poco sensibile alla pubblicazione di traduzioni di opere italiane. A Cannizzaro, che gli aveva chiesto di intercedere presso qualche editore portoghese per la pubblicazione di un romanzo della Neera, scrisse il 29 maggio 1888:

 

«Quel che occorre con la letteratura italiana è, del resto, quel che si registra con tutte le altre letterature (perfino con quella spagnola!): quasi s’ignora che esistano, mentre non c’è studente liceale che non vada in giro oggigiorno con Zola, Daudet e tutti quanti: i compendi stessi in molte delle cattedre d’istruzione secondaria e superiore sono francesi».

 

Completamente opposta era la situazione che, alla fine del XIX secolo, andò disegnandosi in Italia in relazione alla cultura portoghese epocale. Qui, grazie soprattutto all’interesse e alla diffusione fatta da Joaquim de Araújo, console a Genova, nonché ai significativi scambi e all’invio di libri che hanno coinvolto Antero, Cannizzaro, lo stesso Araújo e molti altri esponenti della cultura dei rispettivi Paesi, è emersa una pleiade di lusofili che si sono impegnati tramite un’intensa attività di traduzione nel dare a conoscere opere di scrittori e poeti portoghesi. Questo fu il primo e importante passo verso la divulgazione di una letteratura sconosciuta al grande pubblico italiano, forse ad eccezione di Camões. L’elenco dei loro nomi è lungo. Oltre ai già citati Cannizzaro e Canini, ricordo: Prospero Peragallo (poeta e famoso iberista e uno dei più assidui collaboratori italiani della rivista «Nova Alvorada» di Famalicão); Antonio Padula (critico napoletano e famoso camoniano); Emilio Teza (allora direttore della Biblioteca Marciana di Venezia, nonché filologo e indianista, amico di Carolina Michaëlis de Vasconcelos e autore di un interessante studio sul portoghese dell’isola di Ceylon, con il titolo Indoportoghese); Giuseppe Cellini (famoso miniaturista e pittore romano, che risiedette, dal 1889 al 1892, in Portogallo, prima a Lisbona e poi a Oporto, dove lavorò con João Oliveira nella decorazione del Palazzo della Borsa); Giuseppe Zuppone Strani (poeta e autore con Cannizzaro – come già riferito – della traduzione del Sonetti completi);  e molti altri meno importanti, quali Domenico Milelli, Clelia Bertini Attily e Giuseppe Calvia.

È interessante notare come i suddetti lusofili si siano occupati, pur se in misura diversa, di Antero. Un autore che fu ai suoi tempi – prima e subito dopo la sua morte – l’autore portoghese più apprezzato e tradotto in Italia dopo Camões. Per verificarlo è sufficiente sfogliare l’Ensaio de bibliografia anteriana di Joaquim de Araújo [in Antero de Quental. In memoriam, pp. I-XCVI (pp. LXVIII-LXX, LXXV-LXXIX)] e le Notizie bibliografiche degli scritti in prosa e in verso di Antero de Quental e intorno al medesimo di Tommaso Cannizzaro [in Antero de Quental, Sonetti completi, pp. 269-352 (pp. 303-306, 309-311, 320, 332-333)], che documentano le decine di traduzioni realizzate, anche in vari dialetti italici.

Per quanto concerne gli altri maggiori esponenti della generazione del ‘70 solo Eça de Queirós ebbe nell’Italia dell’epoca la stessa ricettività, seppur post mortem. Il primo romanzo di Eça tradotto in Italia è stato A relíquia [«La reliquia» – romanzo. Rocco Carabba, Lanciano 1913]. Nell’arco di circa vent’anni vi sono state le traduzioni di O mandarim [«Il mandarino». Romanzo. Rocco Carabba, Lanciano s.d.], A illustre casa de Ramires [La illustre casa dei Ramires. Franco Campitelli, Foligno s.d.], A cidade e as serras [«La città e le montagne». Romanzo, due traduzioni: La Nuova Italia, Firenze s.d.; U.T.E.T., Torino 1937] e O crime do Padre Amaro [La colpa del prete Amaro. Mondadori, Milano 1935]. Posteriormente, dal dopoguerra ai giorni nostri, Eça ha continuato a essere tradotto in Italia, a differenza di Antero. Questi, senza alcuna apparente giustificazione, tra il 1898 (anno della pubblicazione dei Sonetti completi nella traduzione di Cannizzaro e Zuppone Strani) e il 1991 (anno della pubblicazione di una nuova traduzione, a mia cura, dei Sonetti) sarà, in Italia – esclusi alcuni sporadici e lodevoli tentativi di mantenerne viva la memoria – praticamente votato all’oblio.

 

(Fine)

Leggi la prima parte

 

Bibliografia consultata             

 

Opere:

  1. a) QUEIRÓS, Eça de: Cartas de Inglaterra e Crónicas de Londres. Edição «Livros do Brasil», Lisboa s.d.; Prosas barbaras, Edição «Livros do Brasil», Lisboa s.d.
  2. b) ORTIGÃO, Ramalho de: As Farpas. Livraria Clássica Editora, Lisboa s.d.: voll. II, III e V; Figuras e questões literárias. Livraria Clássica Editora, Lisboa 1945: vol. I; Pela terra alheia. Livraria Clássica Editora, Lisboa 1949: vol. II.
  3. c) QUENTAL, Antero de: Beatrice, Imprensa da Universidade, Coimbra 1863; Cartas I. [1852] – 1881 [e] Cartas II. 1881 – 1891. Organização, introdução e notas de Ana Maria Almeida Martins. Universidade dos Açores/Editorial Comunicação, Lisboa 1989; Odes modernas. Livraria Internacional/Eugénio Chardron, Porto/Braga 1875, 2a ed.; Os sonetos completos. Por J. P. Oliveira Martins. Livraria Portuense, Porto 1890, 2ª ed.; Primaveras românticas – Versos dos vinte anos (1861-1864). Imprensa Portuguesa Editora, Porto 1872; Prosas, 3 voll. Imprensa da Universidade/Edição e propriedade de Couto Martins, Coimbra/Lisboa 1923, 1926, 1931; Raios de extinta luz. Por Teófilo Braga. M. Gomes, Lisboa 1892; Sonetos – Editor Sténio. Imprensa Literária, Coimbra 1861; Sonetti completi. [A cura di] Tommaso Cannizzaro e Giuseppe Zuppone Strani. Tipi dell’Editore, Messina 1898; Sonetti. Introduzione, traduzione e note di Brunello De Cusatis. Novecento, Palermo 1991.

 

Bibliografia critica:

– BRITO, A. Ferreira de, Os lusófilos europeus e Antero de Quental. In «Congresso Anteriano Internacional [14-18 Outubro 1991] – Actas». Universidade dos Açores, Ponta Delgada 1993, pp. 97-106.

– CARREIRO, José Bruno, Antero de Quental, Subsídios para a sua biografia. Instituto Cultural de Ponta Delgada/Livraria Editora Pax, Braga 1981, 2a ed.: vol. II;

– DE CUSATIS, Brunello, L’Italia in Antero. Antero in Italia. «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. 3. Studi Linguistici», Perugia, vol. XXIX, nuova serie XV, 1991-1992, pp. 63-73;

– MIRANDA, José da Costa, Itália nas páginas de Ramalho Ortigão. Breves apontamentos. «Annali dell’Istituto Universitario Orientale – Sezione Romanza», Napoli, XXII, 1, gennaio 1985, pp. 89-97;

– ROSSI, Giuseppe Carlo, Eça de Queirós e a Itália. In Eça de Queirós no centenário do seu nascimento. Edições S.N.I., Lisboa 1950, pp. 67-82.

 

[Questo articolo – qui rivisto e suddiviso in due parti – è stato per la prima volta pubblicato in portoghese nella rivista cartacea «Nova Águia – Revista de Cultura para o Século XXI» (Sintra – Portogallo), N. 20 – 2° Semestre 2017, pp. 210-217.

Tutte le traduzioni dei testi dal portoghese sono a mia cura].

 

Brunello Natale De Cusatis

Brunello Natale De Cusatis su Barbadillo.it

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