Ilva, vivere e morire per l’acciaio. E la politica appare sempre più irrilevante

Vivere e morire per l’acciaio. E’ questo il motivetto che risuona tetro dalle cronache di Taranto. E il corto circuito che si è innescato, con i primi provvedimenti giudiziari che chiudono alcuni spezzoni produttivi dell’Ilva, certifica l’incapacità della politica italiana di trovare soluzioni mediate, di superare e comporre i conflitti tra interessi contrapposti. E il protocollo firmato nel pomeriggio a Roma è un tentativo tardivo e speriamo non infruttuoso di evitare lo stop per le cookerie.

Produrre acciaio senza avvelenare un territorio e i suoi bambini: è questa la sfida drammaticamente in corso in Puglia. Coniugare sviluppo e lavoro a Sud. In una ottica ecologicamente sostenibile. Niente di tutto questo è stato fatto. Nichi Vendola e Raffaele Fitto sono allarmati comprimari di una vertenza che hanno preferito fosse risolta in Tribunale, mentre doveva essere affrontata di petto nei palazzi della politica.

I lavoratori, migliaia e migliaia in piazza e per le strade della città jonica, sono le vere vittime di questa classe dirigente, che al momento di “decidere”, si fa sempre trovare impreparata. A Taranto ogni famiglia ha avuto un lutto, un famigliare morto di tumore. E’ cosi’ anche per chi scrive. E immaginare lo stato d’animo con cui molti operai protestano contro la possibile chiusura degli impianti siderurgici, pur consapevoli degli enormi rischi per la salute che comporta lavorare in quei luoghi, non è un esercizio retorico. C’è chi per un posto di lavoro mette sul tavolo anche la materialità del proprio corpo. Il dramma italiano è anche questo.

Allora è giunto il momento di ripensare il nostro modello di sviluppo, senza dimenticare che l’industria siderurgica è strategica per uno stato come l’Italia. Aver proletarizzato una città gioiello come Taranto, in nome di una prospettiva operaistica tutta partigiana, si è rivelata una opzione fallace. Prima che i blocchi stradali e i cortei infiammino quel pezzo di Puglia che una volta si chiamava Magna Grecia, è necessario che i politici si rimbocchino le maniche per individuare una via d’uscita di ampio respiro, tutelando occupazione e diritto alla salute. In caso contrario, visto che le grandi scelte del paese sono assunte da ‘tecnici’ e magistrati, possono tranquillamente considerare il proprio compito irrilevante. Sì, irrilevante.

Michele De Feudis

Michele De Feudis su Barbadillo.it

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