L’intervento. Che significa credere alla scienza al tempo del Covid?

«L’umano sfugge alla ragione fisico-matematica come l’acqua dal canestrino», osservava il filosofo spagnolo Ortega y Gasset

Coronavirus

In un articolo apparso su La verità del 9 agosto 2021 e intitolato «Ma pure i tifosi della linea dura mostrano che la card non serve», il giornalista Francesco Borgonovo riporta le dichiarazioni di vari virologi, mettendo in rilievo che quegli stessi scienziati, che lui definisce “talebani delle restrizioni”, in realtà non credono all’efficacia sanitaria del lasciapassare “verde”. 

Ma non su questo faremo delle osservazioni, bensì sulla dichiarazione di Massimo Clementi (tanto per cambiare si tratta di un virologo), riportata en passant a fine dell’articolo, secondo cui: «I ragazzi credono nella scienza e riescono a essere scevri della cultura dei genitori quando questi hanno idee diverse». A questo proposito Borgonovo, non a torto, chiosa: «Capito? Si compiace del fatto che si creino spaccature nelle famiglie sul vaccino, con i giovani che obbediscono allo Stato ignorando i genitori». 

Ma c’è molto di più. È proprio sicuro l’illustre virologo che i giovani che corrono in massa a vaccinarsi credano nella scienza a differenza degli ultrasessantenni, tra cui si contano un bel po’ di recalcitranti e scettici? O piuttosto i giovani lo fanno per non essere esclusi dalla vita sociale che la mancanza del lasciapassare cosiddetto verde produce? E non è vero piuttosto il contrario di quel che dice il dottor Clementi, e cioè che sono le persone d’età più matura ad aver creduto, e a credere, malgrado tutto, nella ragione tecnico-scientifica? Solo che la loro fede si è, per così dire, intiepidita, non è più viva e indiscussa come un tempo, soprattutto dopo i grossi progressi di Seveso e Bhopal, di Chernobyl e Fukushima, delle isole di plastica negli oceani e del clima impazzito.  

E poi. Che significa credere nella scienza? Non è forse questo un pregiudizio, il pregiudizio scientista? Non è, come nota il filosofo ecologista Rutilio Sermonti, «l’orgogliosa convinzione che la ragione umana possa abbracciare tutta la realtà e manipolarla a suo piacimento, l’accettazione del principio che all’uomo sia tutto  lecito purché riesca a farlo»?  Non è insomma il pregiudizio, smentito dai fatti, che solo la scienza può salvare l’uomo? 

Del resto chi davvero sa cos’è il metodo scientifico, che si fonda sulla revisione costante dei propri postulati e risultati, non può poi a cuor leggero pretendere la fede nella scienza. La scienza non ha nulla di preciso da dire sulle grandi questioni umane. «L’umano sfugge alla ragione fisico-matematica come l’acqua dal canestrino», osservava il filosofo spagnolo Ortega y Gasset.  Ecco il vero motivo per cui la fede nella scienza a partire dagli anni Trenta del Novecento ha cominciato a vacillare ed oggi si è convertita da fede viva, da prospettiva a partire dalla quale si vive e si pensa (com’è stato dagli inizi del mondo moderno nel 1600 fino ai primi anni del Novecento), a fede inerte, ad abitudine, a fede che si trascina stancamente perché non si è ancora affermata nel mondo una nuova prospettiva vitale. 

Forse i giovani hanno ancora una residua fede nella ragione tecnico-scientifica, ma è una fede ridotta ad essere fede nelle sue utilizzazioni. Non è questione di verità, ma di utilità. Se avessero davvero fede nella scienza, come nel medioevo fu la fede religiosa a spingere a quell’impresa “folle” che furono le crociate, i giovani dovrebbero dar subito retta all’allarme lanciato dagli scienziati dell’IPCC nell’ultimo rapporto sul clima e scendere in piazza per rovesciare tutti governi del mondo che ancora perseguono la crescita economica. 

 

Sandro Marano

Sandro Marano su Barbadillo.it

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