Roma. Fori imperiali, Marino riabilita la città prefascista mentre Marinetti scriveva…

futurismo-marinettiHa ragione Adriano Scianca, in chiusura del  suo intervento su “Marino e i Fori Imperiali pedonalizzati”,   a punzecchiare la nostalgia della Roma prefascista da parte del neosindaco della Capitale. Al di là delle polemiche contingenti,   la visione “pittoresca” della romanità, tutta pecore al pascolo, baracche e panni stesi (al punto che un grande viaggiatore dell’epoca  la definì  “la capitale della lavanderia”) cozza con l’idea della grande città  moderna e dinamica, per la quale il fascismo molto si spese, forte non solo di una visione imperial-tradizionale ma anche di quella  dimensione futuristica e modernizzatrice di cui Via dei Fori Imperiali è comunque una significativa espressione.

In linea con questi indirizzi, che, all’epoca, animarono dibattiti roventi, contrapponendo, anche all’interno del fascismo, l’ala conservatrice a quella “avanguardista” (altro che le polemichette suscitate dal neosindaco Marino…)  andiamo a leggere (in 28 ottobre 1922-1932 Era Fascista. Nel decennale della Marcia su Roma. Pensieri d’Italiani eminenti raccolti a cura di Paolo Orano, Casa Editrice Pinciana, Roma 1932)  quanto scriveva  F.T. Marinetti, il fondatore del futurismo, a proposito delle “grandiose  distruzioni e ricostruzioni stradali”, che avevano sconvolto la Roma dell’epoca:

“Interprete perfetto della nostra civiltà meccanica che vuole la massima velocità fusa col minimo tempo, il Duce impone a data fissa un’auto strada che da Piazza Venezia infilando direttamente la via asfaltata del mare faccia di Ostia l’ampio azzurro tubo di scappamento di Roma – motore d’Italia. Ma esiste Corrado Ricci rappresentante e testimonio di tutti gli eserciti di ruderi sepolti intorno a noi ! Il rombo e i polveroni aggressivi delle perforatrici e i trapani implacabili che in poche ore schiantano dei secoli massicci lo avviluppano, vorrebbero seppellirlo mentre egli curvo esamina dati e precisioni di testi latini.

Tumultare di vasti formicai esplosi. Crolli puzzolenti di casupole e palazzi stupiti di sentire operare chirurgicamente sotto. Ad un tratto. Alt ! L’ordine di sospensione balza da cento in cento metri; occorre fermarsi; rispettare; girare senza distruggere la colonna o la statua venerabile.

La folla degli operai circonda religiosamente e si sforza di ammirare per esempio la latrina del terzo scrivano pubblico che stillò la prima lettera d’amore della cuoca di Cicerone.

Le perforatrici fischiano però esigendo la linea retta della strada perché vi si corra più rapidamente senza degnare di uno sguardo la storica latrina.

Suona così giorno e notte, sotto le grandi lune elettriche, nella campana dei turni operai, la nuova legge fascista che disseppellisce un passato ammirevole non perché sia ammirato ma perché ammiri dal fondo dei secoli il veloce fascismo d’oggi e le sue fulminee realizzazioni”.

Altro che le pecorelle, le baracche,  i panni stesi, gli orti ed i vigneti della “metropoli paesana” tanto simile all’idea di un’Italia  museo, albergo e villeggiatura, “orizzonte ridipinto col blu di Prussia  per le lune di miele internazionali” – come stigmatizzava D’Annunzio.

Malgrado il tempo trascorso siamo sempre lì. A discutere non tanto di una strada, tracciata con non comune decisionismo ottant’anni fa, ma dell’idea che la sospingeva, del  cortocircuito modernità-tradizione che ha innescato.  Anche delle sue ragioni e contraddizioni, che non possono essere risolte, con un colpo di penna, dal burocrate di turno. Perciò quelle di Marinetti  sono parole che destano    ancora    curiosità e rispetto.  Al di là di ogni retorica. Di ieri e di oggi.

Mario Bozzi Sentieri

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