Il caso. Italia in “svendita” ai cinesi: lo dimostrano anche i siti specializzati…

italcina“Vedi il ristorante giapponese qua di fronte? Proprietà e gestione in realtà sono cinesi, sono arrivati un mese fa ed hanno acquistato l’attività con 150.000 euro in contanti. Se venissero anche qua da me credo proprio che cederei per molto meno.” Parole franche di un ristoratore toscano, uno di quelli che non diresti soffrire la crisi considerati i sempre numerosi avventori. Uno di quelli che però ti spiega con altrettanta franchezza che tasse e affitto del locale sono sempre più insostenibili.

E allora non resta che vendere, ma acquirenti italiani non se ne trovano, pochi hanno liquidità disponibile, difficilmente le banche concedono prestiti e molti temono il rischio imprenditoriale. Chi annuncia la vendita della propria attività e si rivolge ad agenzie e intermediari locali rischia così di attendere inutilmente per anni. Non restano che i cinesi, gli unici a pagare subito e in contanti sonanti.

Si spiega così il successo di siti come www.cinesichecomprano.com o del più affermato www.vendereaicinesi.it, dove è possibile pubblicare un annuncio in italiano, che verrà prontamente tradotto in mandarino, e mettere così in vendita i propri immobili, la propria attività commerciale, la propria società, i propri beni di lusso e finanche vino e mozzarelle. C’è letteralmente un Paese in svendita online: “Vendesi capannoni a 590 € al mq.”, “Bar – ristorante vendesi a 380.000 €”, “Occasione, mulino industriale a 550.000 €”, “Attrezzatura sexy shop automatico a 12.000 €”.

Un sito a metà tra un’agenzia immobiliare e un ebay rivolto unicamente ad acquirenti cinesi. Progettato e realizzato da due imprenditori italiani di Alba e dal loro socio (cinese di seconda generazione) che hanno fiutato il business dietro la crisi economica, ha raggiunto in pochi mesi un numero incredibile di contatti. Basta dare un’occhiata agli annunci pubblicati per comprendere la portata del fenomeno e basta sapere che in Italia sono più di 2000 tra imprenditori e professionisti che dal febbraio al maggio 2013 hanno venduto la propria attività ad acquirenti cinesi contattati soprattutto attraverso il web.

E se a Roma e Milano, che da anni subiscono la “colonizzazione” del dragone asiatico, spesso le attività commerciali rilevate dalla comunità cinese vengono trasformate in dozzinali negozi di chincaglierie, sempre tristemente vuoti, nei comuni medio-piccoli grazie soprattutto alla vendita online il fenomeno è relativamente recente e coinvolge anche bar e ristoranti storici.

Mentre i rampolli delle famiglie dell’alta borghesia italiana si recano a Shanghai per svolgere corsi di laurea o master post universitari e mentre note aziende italiane delocalizzano nelle periferie delle città industriali asiatiche, l’impero cinese si espande a macchia di leopardo nelle arterie dei centri urbani italiani e trova le porte spalancate.

Un fenomeno tanto realista quanto facilmente comprensibile se consideriamo che l’Italia è il quarto Paese europeo per peso fiscale, tra gli ultimi per incentivi alle imprese ed ha regolamenti urbanistici vetusti che non prevedono come altrove in Europa l’esistenza di Chinatown delimitate da regole e confini precisi in ogni città. La Cina è sempre più vicina, e non è una tigre di carta.

Eugenio Palazzini

Eugenio Palazzini su Barbadillo.it

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