“Ultras Salerno. Un’altra storia”: viaggio nella comunità che si ritrova sui gradoni

Il saggio sulla tifoseria granata di Umberto Adinolfi, Dario Cioffi e Mario De Fazio, giornalisti "cresciuti a pane e curva"

La balconata degli Ultras Salerno

Qualche anno fa, in un post sui social, Mike Tyson scrisse una frase che, più o meno, suona così:

“se sui social fai il gradasso è perché non rischi che qualcuno ti dia un cazzotto in bocca”.

Con le debite proporzioni, quel post potrebbe essere sottoscritto come uno dei pilastri fondamentali della mentalità ultras, che attraversa le balconate d’Italia da Bolzano a Trapani, passando per Salerno.

Mentre il pallone rotola solo in tv, tutti si accorgono che il calcio non è più lo stesso da quando lo stadio è chiuso. Ci hanno provato in tutti i modi: sediolini colorati, cartonati, animazioni virtuali, videocollegamenti digitali col faccione dei tifosi nerd dalla loro cameretta, telecronisti ancora più agitati ed entusiasti del solito, cori preregistrati e battimani di sottofondo. Non ci è cascato nessuno. E solo a quel punto i padroni del gioco hanno deciso di arrendersi. La passione, tutto l’irrazionale che è il calcio, non si può replicare al computer o col playback. Hanno vinto (amaramente) gli ultras, dimostrando (e non avrebbero mai voluto, non così…) che avevano ragione a cantare, in ogni gradinata d’Italia, che gli unici a vincere sempre sono loro.

Lo stadio manca a tutti. Persino, o soprattutto, a chi ha preferito la poltrona e quella tv che trasmette immagini lunari. Fuori dalla retorica: l’irrazionalità delle tribune esultanti, borbottanti, cantanti rappresenta l’ultimo collegamento con la realtà di un mondo, quello dello sport, che pare viaggiare sempre più verso l’astrazione. Dalle vagonate di milioni al culto ossessivo delle Wags, la lontananza tra i protagonisti del futbol, calciatori e tifosi, non è mai stata così vasta come nell’epoca dei contatti ravvicinatissimi (e invadenti) del web. Se la “nuova normalità” di cui tutti parlano è questa, per il calcio non c’è altro futuro che quello del wrestling: meno sport, più intrattenimento magari con gli attori ingaggiati per riempire le curve, con ha fatto il Real Madrid qualche tempo fa.

Ci è voluta la pandemia, dunque, per scoprire quello che sapevamo già. Cioé che il pallone, fenomeno popolare per eccellenza, è uno degli ultimi baluardi interclassisti e, sicuramente, una delle ultimissime tracce rimaste per scrivere la storia delle comunità.

Lo dimostra un libro che è uscito di recente in Campania. Si intitola “Ultras Salerno. Un’altra storia” (edizioni Saggese, 155 pagine, 15 euro) ed è stato scritto da tre giornalisti salernitani cresciuti a pane e Curva Sud: Umberto Adinolfi, Dario Cioffi e Mario De Fazio ( nostro amico e prezioso collaboratore). Il volume, i cui proventi sosterranno il reparto di Pediatria dell’ospedale Ruggi di Salerno, passa in rassegna la storia del tifo sorto attorno alla Salernitana e racconta l’evoluzione di una città in cento anni di storia. Dai berretti di fustagno dei primordi fino alle trasferte in tutta Italia (e persino sul campo storico dello Stoke City per la mitologica Coppa Anglo-Italiana), dalle invasioni di campo alle mastodontiche scenografie che hanno dipinto, insieme alla Curva, il suo prestigio nel panorama ultras; le amicizie, i gemellaggi dentro e fuori i confini nazionali, le rivalità acerrime e gli scontri.

La curva Siberiano dello stadio di Salerno

E poi le gioie immense (pochissime) e le tragedie terribili (sempre troppe) che sconvolgono le esistenze della “tribù del calcio”: le pagine dedicate alla tragedia del treno di ritorno da Piacenza e quelle che aprono il libro, il racconto del funerale di Carmine Rinaldi “Il Siberiano”, non riguardano solo ed esclusivamente la vita e la storia di una comunità locale, per quanto prestigiosa e importante. Il lettore di fede granata si commuove ma chi all’Arechi non c’è mai andato manco in trasferta non potrà che leggere, nella storia del tifo salernitano, la storia di ogni tifoso di calcio, o meglio, delle comunità del tifo organizzato italiane, dall’Eccellenza fino alla Serie A. Le leggende antiche, la storia e i valori comuni al di là delle differenze che pure colorano l’impegno e la vita di curva: le ragioni di una militanza che spesso e volentieri – come si legge nelle pagine del libro – viene sentita addirittura più pressante e intensa, sotto il profilo ideale, di quella che si dedicherebbe alla politica.

Perché l’ultras è brutto e cattivo, il “violento” per eccellenza: come Mike Tyson e quelle sue parole donate al web. Ma dietro quella frase che i superficiali e gli interessati leggerebbero come una minaccia, su cui imbastire l’ennesima battaglia inutile su cui lucrare, c’è il richiamo a valori veri: come la responsabilità, l’umiltà, il disprezzo del clamore, il bene che si fa, meglio in silenzio. La mentalità prima delle chiacchiere, la “normalità” che non ha bisogno di essere aggettivata.

*“Ultras Salerno. Un’altra storia” di Umberto Adinolfi, Dario Cioffi e Mario De Fazio (edizioni Saggese, 155 pagine, 15 euro)

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Giovanni Vasso

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