Ritratti. Carlo Borsani, eroe di guerra che sognava la pacificazione

Fu barbaramente ucciso dai partigiani nel 1945

Carlo Borsani

Carlo Borsani nasce nel 1917 a Legnano. Suo padre, operaio, è il segretario del partito socialista locale. Muore presto per un infortunio lasciando Carlo, ancora ragazzo, e la moglie in miseria.
La guerra sorprende Carlo Borsani durante il servizio militare. Sottotenente parte per il fronte greco. Qui nel marzo del 1941 viene ferito e sfortunatamente mentre lo portano nelle retrovie è nuovamente colpito, uccisi i barellieri. Creduto morto riesce invece a riprendersi dalle innumerevoli ferite ma perde la vista, diventa cieco. Viene decorato con la medaglia d’oro.
Rientrato a Milano si iscrive alla facoltà di Lettere e pubblica poesie. Negli anni successivi si occupa del benessere dei mutilati, ottiene l’erogazione della pensione per gli invalidi del lavoro, in ricordo anche di suo padre. L’armistizio per il Borsani è un tradimento e si schiera con la Rsi e la Patria.
Mussolini nel 1943, a Rocca delle Caminate, prima di ritirarsi a Salò lo nomina presidente dell’associazione mutilati e invalidi, nel Direttorio del Partito. Il Duce è appena stato liberato dal maggiore SS Otto Skorzeny dal Gran Sasso, dove era detenuto.
Nel gennaio del 1944 Mussolini, non contento del giornalismo esistente, ordina che si pubblichi il nuovo giornale “La Repubblica Fascista” per esprimere l’ortodossia della RSI. Il primo direttore sarà il cieco di guerra, medaglia d’oro, Carlo Borsani. Purtroppo, dopo soli sei mesi viene esautorato in quanto giudicato “morbido”.

Pur portando il massimo rispetto a Mussolini vagheggiava una specie di “incontro” con le parti avverse, l’utopia di pacificare gli italiani per alleviarne le pene. Per questo viene scalzato da Farinacci e Pavolini che non ammettevano deroghe.
Gli eventi precipitano. La mattina del 25 aprile 1945 Borsani, cattolico fervido, viene ricevuto dal cardinale Schuster, tutti sono convinti che il prelato interverrà per salvarlo. Ma Carlo è conscio delle tragiche ore e afferma: “No, non è vero che tutto è finito: dobbiamo ancora morire”. E rifiuta l’offerta di un comodo espatrio.
Non si sa se il cardinale sia intervenuto o meno ma Carlo Borsani verrà assassinato senza processo, unica sua colpa i discorsi tenuti, aitante con gli occhiali neri, nei quali esortava a difendere la Patria.
Il 27 aprile viene prelevato da alcuni partigiani dall’istituto oftalmico e chiuso nei sotterranei del Palazzo di Giustizia. Il 29 dopo una rapida identificazione nel tribunale del popolo, situato nelle scuole di Viale Romagna, lo portano a piazzale Susa. Non possono gioire dello sgomento della vittima per la raffica a causa della sua menomazione di non vedente, devono accontentarsi di un colpo alla nuca.
Il suo corpo viene caricato su un carretto della spazzatura con al collo un cartello: “ex medaglia d’oro”, e scarrozzato per le strade come un macabro trofeo. Ed era già chiaro come questi vincitori nel futuro sarebbero stati contro quei valori che mettevano alla berlina. Ed erano l’eroismo militare, e la poesia perché Borsani era anche un fine poeta.

Suo il verso:

“è una lacrima il mondo, che pietoso l’infinito raccoglie nel suo nulla”.

Nei mesi scorsi l’Anpi ha denunciato la comparsa di una targa abusiva a piazzale Susa, dedicata al gerarca fascista Carlo Borsani. E ha espresso il suo sdegno.

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Gianfranco Andorno

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