La lettera. La crisi pandemica mette in ginocchio le piccole imprese, simbolo dell’intraprendenza italiana

La ricostruzione della crisi del settore firmata da Ferdinando Parisella, imprenditore laziale

La protesta dei ristoratori a Milano

La libertà. La vedo così. Se vi pare.

Piccole imprese. E in Italia sono oltre quattro milioni, con circa sedici milioni di lavoratori. Capito? Una caratteristica tutta italiana, nel bene e nel male. La vera spina dorsale della Nazione. Circa il 90% del totale delle aziende italiane tutte. Cosa rappresentano in effetti? La libertà. La libertà di intraprendere, cioè scalare montagne, quindi rischiare. E con i loro mezzi. Addirittura familiari. Cioè i loro azionisti e lavoratori al tempo stesso.

Sono piccole, anzi piccolissime. Tre, quattro dipendenti ognuna. Potere decisionale immediato. Ecco perché libere, libere, libere. Geniali a volte. Assolutamente straordinarie e capaci di intraprendere battaglie epocali con chiunque. Anche con i gruppi multinazionali. Comprese le piattaforme digitali. Questa è l’Italia, non da oggi, nel bene e nel male. L’unica libertà che non hanno, è quella di spostare le loro sedi legali in Olanda, Irlanda, Lussemburgo. Vallo a dire al ristoratore di Scheggino, nella Val Nerina in provincia di Terni.

E veniamo al mio “la vedo così”. Sì, c’è una novità in questo anno di “strana pandemia”. Questi signori, queste piccole imprese, da sempre divise, ora parlo di quelle delle ristorazione, dal mese di aprile si sono messe in moto, una sorta di “Quarto Stato” con gli abiti da chef e da camerieri. Nessuno se lo sarebbe mai aspettato, Governo degli abusivi in primis. Ma questi, invece, si sono messi in moto, si sono uniti per la prima volta, hanno iniziato a marciare su Roma, si sono organizzati al punto che oggi sono attivi in tutte le regioni italiane, una struttura vera e propria capillare e organizzata, completa di consulenti, addetti stampa. A cui si sono aggiunti albergatori, b&b, agriturismi, palestre, piscine e chi più ne ha, più ne metta. Comprese le loro filiere.

Hanno conquistato la visibilità dei media, con serietà pazienza e tenacia. Tutti li avete visti in piazza tante e tante volte. E li vedrete chissà quante altre volte. Incredibile, quelli che da giovani, chiamavamo i “bottegai”, sono in piazza da mesi. Strangolati, senza prospettive e ricavi non hanno avuto scelta. E loro, abituati ad agire, finalmente si sono messi in moto. Per la loro libertà, non solo d’impresa, ma nel senso totale del significato. Libertà. Libertà di lavorare. Libertà di non essere controllati come ai tempi della Stasi nella Germania comunista. Eccerto, di questo si tratta. Libertà di lavorare per la propria famiglia anche 14 ore al giorno. E cosa fanno in queste 14 ore di lavoro al giorno? Eccellenza.

Eccellenza e qualità della nostra Italia. Una filiera lunghissima che parte dal ristorantino di Asti o di Trevignano Romano e arriva fino al produttore di carne chianina di Arezzo, fino all’agricoltore di zucchine della campagna romana, fino al pescatore del mar Tirreno, e risale fino alle montagne di Norcia. Una catena infinita di migliaia e migliaia di piccoli, piccoli, ma da sempre agguerriti e che riescono addirittura ad esportare in tutto il mondo. Ad esempio il pecorino dop di Nepi. E i vini? Tutto e di più. Liberi, liberi, il mondo del fare.

Eppure a questo mondo del fare, si oppone, anche violentemente, il mondo dei garantiti. Cioè quello che finora non ha perso nulla. Fatelo un piccolo semplice conto degli ultimi dieci mesi. Fatelo per Diana. Fatelo un conto populista. Ahhh…uno che percepisce 600,00euro di reddito di cittadinanza, meglio di nullafacenza mese, fa 6mila euro. Un dipendente pubblico da 1.200,00euro mese, fa 12milaeuro. Un buon insegnante da 2.200,00euro mese, fa 22milaeuro. Un dirigente pubblico da 3milaeuro mese, fa trentamila euro. Un alto funzionario da 10mila euro mese, fa 100mila euro. Un parlamentare da 15mila mese, fa 150mila euro. Un giornalista Rai da 20mila mese, fa 200mila euro. Fino ai boiardi di stato che superano i 60mila euro mese, fanno 600mila euro. E potrei continuare all’infinito. Dall’altra parte i non garantiti, tutti, piccole imprese e loro lavoratori, invece nel baratro. Ma questi ultimi nella loro vita, non hanno mai avuto, voluto o concepito, contributi pubblici. Hanno solo lavorato per la libertà…e, se non riusciranno più a contribuire, con le tasse perché non possono più, anche l’altro mondo prima o poi, ne pagherà le conseguenze…a cominciare dai pensionati, di lusso compresi, tipo Giuliano Amato.

Non è più tempo di sofismi o controaccuse citando il famoso nero, che se è nero, gli scienziati del mondo dei garantiti, mi spiegassero come fanno a quantificarlo. Ridicoli. La libertà, il mondo del Fare, che per alcuni di noi fu da giovanissimi, una via obbligata. Senza lumi in paradiso. E so bene di cosa parlo. Tralascio, ma lasciando immaginare, che su questo tasto nessuno si senta assolto, capito “politici della mia area?” I piccoli borghi, come i piccoli di ogni cosa, sono le nostre infinite tradizioni, che il mondo ci invidia. E che quando siamo noi ad andare nel mondo, diventano successo d’impresa.

Ma perché dobbiamo essere obbligati a lasciare l’Italia? Perché? Io voglio restare qui e girare il mondo “chatwinamente”, come faccio da oltre cinquanta anni.

In conclusione dovete sapere che, tutta questa RIVOLUZIONE ROMANTICA, è partita da un ristoratore di Viterbo, ma tu pensa, dagli occhiali bianconeri, anche se lui è laziale, Paolo Bianchini e ha travolto tutta l’Italia, con il MIO Movimento Imprese Ospitalià. Sì ospitalità, il nostro Dna. In difesa della libertà, meglio delle libertà. Ecco perché non saremo MAI DOMI.

*Ferdinando Parisella 65 anni, che orgogliosamente deve oggi correre come ne avesse trenta. Alè.

Ferdinando Parisella

Ferdinando Parisella su Barbadillo.it

Exit mobile version