L’epilogo-flop di Trump non cancella le istanze dimenticate degli sconfitti della globalizzazione

E il sovranismo? Deve decidere cos’è e cosa vuol fare da grande: capire se è in grado di governare i processi in atto (compreso il Next Generation Eu)

Donald Trump

Il sovranismo non esiste, non almeno nell’immagine confezionata dai suoi detrattori. Non migliore, ma diversa. Per questo non può morire con le drammatiche sequenze di Capitol Hill. Non esiste perché non ha un testo di riferimento, una dottrina, un’organizzazione unitaria, un orizzonte comune (se non quello del contrasto a vario titolo dei fenomeni migratori). E neanche un leader mondiale. Chi ha creduto in Donald Trump si è dimenticato che i suoi motti erano cuciti esclusivamente e legittimamente alla sola America.  

Esiste semmai tutto il resto. La globalizzazione, con le sue utilità e i suoi rischi. Le sue bellezze e le sue esclusioni. Le sue opportunità e i suoi disastri. Esistono le organizzazioni internazionali, però sempre più in crisi, sempre meno capaci di risolvere emergenze e conflitti. A partire dall’Onu, passando dall’Oms, fino all’Unione europea. 

Esistono i mercati finanziari, i colossi del web, l’evasione fiscale e un ceto medio che negli ultimi trent’anni ha perso sicurezze su sicurezze. Esistono (anzi resistono) gli stati nazionali, sebbene malridotti e stanchi. Molti di questi non sono più nelle condizioni di risolvere da soli, e neanche in sinergia, quelle questioni che è nella loro mission affrontare. Equità sociale, inclusione, sicurezza, giustizia, educazione e salute.

L’assetto mondiale attuale non sta regalando felicità a tutti. Ad alcuni sì. Molti altri però sono sfibrati e impauriti. Prima ancora del Covid, la paura più grande era quella del futuro. Un male che viene da molto lontano e che lì rimarrà per tanto tempo ancora, ma acuito della pandemia. Ce ne siamo scordati perché l’agenda dettata dal Coronavirus si è rivelata assai più impertinente, tanto da spazzare via quella dicotomia – che in ultimo sembrava aver fatto breccia nel dibattito pubblico mondiale – tra i vincitori e gli sconfitti della globalizzazione. 

Le crisi finanziarie del 2007 e del 2011 stanno a capo di molte lacerazioni che hanno portato all’avanzata dei populismi di vari colori e specie. Perché è il populismo l’acqua entro cui hanno nuotato e nuotano le compagini sovraniste. Trump, per quanto riguarda gli Usa, è stato l’uomo che ha saputo interpretare questo sentimento. E lo ha fatto fino alla fine, cavalcando l’eccesso scivoloso di un risultato elettorale che ostinatamente non ha voluto accettare, scatenando la piazza del 6 gennaio. Un teatrino divenuto tragedia, anche a seguito di un’imbarazzante gestione dell’ordine pubblico che ha trasformato un’armata Brancaleone in un manipolo di sovversivi.   

I sondaggi dicono che la maggioranza dell’elettorato repubblicano non se la sente di condannare quanto accaduto a Capitol Hill. Un dettaglio sconcertante che dà forza alla postura trumpiana e che fa davvero paura, perché segnala come la rottura tra una parte dell’elettorato e le istituzioni democratiche americane sia sempre più insanabile. 

Gli studiosi del fenomeno populista mondiale hanno sottolineato come sia la richiesta di maggior democrazia a sancire la divaricazione tra i partiti tradizionali, ritenuti responsabili di più colpe, e una fetta sempre più cospicua del corpo elettorale globale. Trump avrebbe dovuto riallineare demos e democrazia, questa era la sua narrazione. Il risultato è un fallimento. 

Non si può dire che sia stata tutta colpa sua. Appena eletto, le città americane sono state messe a ferro a fuoco dagli oppositori. Per tutto il mandato, la questione del Russia Gate, rivelatasi poi inconsistente, ha innaffiato di veleno il dibattito. Oltre ai cortocircuiti della gestione Covid, l’ondata di proteste dei BLM è servita a divaricare ancor di più la nazione. Insomma, l’America era ed è lacerata. E i dem non hanno interpretato affatto la parte dei pompieri. 

I fatti del 6 gennaio hanno messo in ombra tutto ciò, un errore narrativo imperdonabile. Anche per questo il trumpismo va in panchina. Per il momento, almeno. Perché non è detto che scompaia completamente (con o senza Trump) dall’orizzonte politico. In fondo, le lacerazioni che hanno portato il tycoon alla Casa Bianca stanno ancora lì, esasperate. Anche il populismo mondiale è fermo lì, ammaccato e in attesa che il Covid possa concludere il suo assalto.

E il sovranismo? Deve decidere cos’è e cosa vuol fare da grande: capire se è in grado di governare i processi in atto (compreso il Next Generation Eu). E se è davvero per la difesa della democrazia, delle libertà e delle comunità. Senza questo chiarimento, inutile prenderne le distanze o difenderlo. Meglio guardarsi intorno. 

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Fernando M. Adonia

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