La Forza della Poesia. Pasternak poeta sciamano dell’animo umano

La rubrica di Sandro Marano è dedicata allo scrittore russo del cult "Il Dottor Živago"

Boris Pasternak

«E i giardini, gli acquitrini, i recinti,

e il cosmo che ribolle di bianche

grida – sono solo gradi della passione,

accumulata dal cuore di uomo.»

 

L’autore di questi versi, che costituiscono l’ultima quartina della poesia Definizione di creatività, è Boris Pasternak (1890 -1960), cantore appassionato dell’amore-passione e della natura che circonda l’uomo. Come negli artisti del Rinascimento anche per Pasternak l’uomo è un microcosmo in cui si rispecchia il macrocosmo. Il poeta «si trasforma in un vero e proprio sciamano grazie al quale gli elementi della natura tornano a parlare» e «le immagini d’amore spesso trascendono in metafore naturali, i gesti e i sentimenti degli amanti si confondono con il sentire della natura» (Marilena Rea). 

Emblematica è una delle poesie che figurano in appendice al romanzo Il Dottor Živago: 

«Mulinava la neve su tutta la terra, / in ogni dove. / Una candela ardeva sul tavolo, / una candela ardeva. […] Sul soffitto rischiarato / si stendevano le ombre, / incroci di braccia, incroci di gambe, / incroci della sorte. // E due scarpette cadevano / con rumore sul pavimento, / e a lacrime la cera dal lucignolo/ gocciolava sull’abito. // E tutto scompariva nella foschia nevosa / canuta e bianca. / Una candela ardeva sul tavolo, / una candela ardeva» (Notte d’inverno). 

Lo scrittore georgiano non caso, in un brevissimo discorso tenuto nel 1935 a Parigi, aveva dichiarato: «La poesia giace nell’erba, sotto i nostri piedi, e bisogna avere l’umiltà di chinarsi per scorgerla e raccoglierla». 

Il Dottor Živago

La fama di Boris Pasternak, Nobel per la letteratura nel 1958, è senz’altro legata al suo unico e grande romanzo, Il Dottor Živago, nonché alla magnifica trasposizione cinematografica del 1965 (diretta da David Lean con le memorabili interpretazioni di Omar Sharif nella parte di Yurij Živago e di Julie Christie nella parte di Lara e con la splendida colonna sonora di Maurice Jarre). Ma non va dimenticato che Pasternak fu anche uno straordinario poeta. 

Del resto, lo stesso romanzo è «un poema nel quale i personaggi rifiutano il rilievo del grande romanzo naturalistico per mostrarsi quali sono: foglie secche trascinate in vortice dal soffio di una grande tempesta» (Eugenio Montale). E Italo Calvino osservava: «Tra il Pasternak poeta lirico e il narratore del Dottor Živago c’è una stretta unità del nucleo mitico fondamentale: il muoversi della natura che contiene e informa di sé ogni altro avvenimento, atto o sentimento umano».

Se nella storia d’amore tra Yurij Živago e l’infermiera Lara rivive la bella storia d’amore che legò lo scrittore georgiano negli ultimi anni della sua vita a Olga Ivinskaja, nelle sue poesie Pasternak celebra la natura, che, lungi dall’essere una cornice alle azioni degli uomini, ne è uno degli ingredienti fondamentali. La sua presenza è quotidiana, familiare, evoca la trascendenza e si rivela nei versi: «Barcolla la barca nel petto assonnato, / i salici oscillano, baciano le spalle, / i gomiti, le gomene – aspetta! / A tutti potrebbe un giorno capitare! // E trarne diletto magari nei versi. Potrebbe voler dire: cenere di lillà, / trionfo di camomilla spruzzata nella guazza, /barattare con le stelle labbra e labbra. // Potrebbe voler dire accogliere il firmamento, / avvolgere tra le braccia Eracle il gigante, / potrebbe voler dire: tutto il tempo di una vita / sperperato una notte per il canto delle allodole» (Levando i remi). 

«Incontrare se stessi nel mondo»

La vita, che Ortega y Gasset nella sua filosofia assumeva a dato radicale dell’universo, Pasternak cercava di coglierla nella sua poesia. Non è forse un caso se entrambi, il filosofo spagnolo nel 1908 e nel 1911, e il poeta russo nel 1912, frequentarono a Marburgo, cittadella del neokantismo, i corsi di filosofia. Per Ortega y Gasset il fatto «di qualcuno che vede ed ama  e odia e cerca un mondo e in esso si muove e per esso soffre e in esso lotta, è ciò che da sempre si chiama, secondo il più umile universale vocabolo ”la mia vita”»; e se ci chiediamo cos’è la nostra vita, possiamo elegantemente rispondere: «è incontrare se stessi nel mondo ed essere in relazione con le cose e gli esseri del mondo» (in Che cos’è la filosofia?). E che cos’è la vita per Pasternak? È «un dissolversi / di noi stessi in tutti gli altri, / come offertici in dono» (Lo sposalizio). 

Quella passione che invita alle rotture

Scrive Pasternak nella splendida poesia Dichiarazione: 

«La vita è tornata, così, senza motivo / come allora che s’era stranamente interrotta. / E sempre i quella stessa strada antica, / sempre quello stesso giorno d’estate e a quell’ora. // La stessa gente e le ansie, le stesse, / e l’incendio del tramonto ancora acceso […] Togli il palmo della mano dal mio petto / noi siamo cavi sotto tensione. / Attenta, l’uno verso l’altra, ancora / saremo spinti inavvertitamente. […] Ma per quanto la notte m’incateni / con anelli d’angoscia, / più forte al mondo è la spinta a fuggire / e la passione invita alle rotture».

Al di là della guerra, della rivoluzione, del potere, c’è la vita, c’è la sua bellezza e il suo dolore, c’è soprattutto l’amore con quel che ha di misterioso, di inassimilabile dalla storia, di indecifrabile. E c’è la poesia. «Sembra che Boris Pasternak abbia voluto dirci che sì, la poesia resiste a ogni tempo, perché in lei si anima il grido umano primitivo, il sentire comune di strazio e bellezza, e nelle parole c’è la più viva testimonianza della condizione umana – qualcosa che va oltre le contingenze del tempo o del potere» (Giovanna Taverni in La poesia di Boris Pasternak). 

 

Sandro Marano

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