Libri. “Football” di Desiderio, il calcio come inno e pratica della libertà

Da Platone a Crujff, da Sindelar a Eraclito da Efeso per capovolgere la massima di Sartre: la vita è metafora del gioco

Il calcio come inno e pratica della libertà: Giancristiano Desiderio fa le convocazioni e schiera in campo uno squadrone, da Platone (rigorosamente con la “10”) a Eraclito, tignoso mediano di rottura, il Ringhio della filosofia presocratica. In avanti l’estro semidimenticato di Matthias Sindelar, “cartavelina” austriaca che si oppose al nazismo prendendo a pallonate l’Anschluss e in panchina il (fortunamente) ritrovato genio di Arpad Weisz, uno dei (re)inventori del calcio che raccolse ovunque gloria e riconoscimenti che a nulla gli valsero contro l’orrore dell’Olocausto.

Per Desiderio tutta la storia del calcio è storia del gioco. E perciò “capovolge” la massima di Sartre. Secondo l’autore de La Nausea, il calcio è metafora della vita. Per l’autore di Football- Trattato sulla libertà del calcio (LiberiLibri, 135 pagine, 15 euro) è la vita a essere metafora del calcio in quanto questo è l’espressione più lucente del gioco. Che, per antonomasia, domina tutti e non si lascia possedere da nessuno.

La tesi di Giancristiano Desiderio è semplice eppure carica di conseguenze. Il pallone, come ci insegna Johan Crujff, è gioco che si regge sul tenere e dare la palla, dunque sul controllo e sull’abbandono. Si controlla la sfera per passarla, abbandonandola, all’ala che s’invola sulla destra, per disimpegnarla al difensore, per scagliarla in rete, persino per lanciarla – quando è necessario – in tribuna. Nel rapporto tra queste due azioni, appunto controllo e abbandono, si sviluppa il gioco che ispira e “cattura” i giocatori e lo fa in piena libertà, senza rispondere a nessuna altra logica che non sia la propria.

Il pallone, per dirla con un luogo comune, è rotondo e perciò rotola dove vuole. I cineasti lo sanno benissimo: il football, a differenza di altri sport, non è per nulla “coreografabile”. È impossibile organizzare la ripresa di un’azione dando l’impressione di una fase credibile di gioco. Ciò vale per i registi a cui servono pochi tocchi di palla per confezionare un film, figuriamoci quanto può valere per i dittatori che pretenderebbero di telecomandare il gioco a maggior gloria delle proprie sorti politiche. Basterebbe, tra le altre, una sola delle considerazioni che scrive Desiderio: la Germania è diventata una corazzata del calcio internazionale soltanto dopo la seconda guerra mondiale, la Russia non lo è mai stata davvero e ancora oggi non sembra riuscire a trovare una propria “via” al pur amatissimo gioco del futbol’.

Questa libertà del gioco a cui si sono potuti avvicinare soltanto gli ingegni filosofici più alti dell’umanità, è l’unica cosa che conta. Tutto il caravanserraglio mediatico, economico e anche politico che ruota attorno al calcio non è che una sua conseguenza. E, per quanto invadente e invasivo sia, non risolve in sé il pallone. Che appartiene a un’altra dimensione, quella del gioco. Non accetta padroni per quanto talentuosi o potenti essi siano.

 

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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