Napoleone, grandiosità e follia nella biografia romantica di Chateaubriand

La recensione di Renato De Robertis: "Chateaubriand è storico di squisita razza intellettuale"

Napoleone

Ritrovarsi nel film della rivoluzione. O nel “sordo brontolio” dei  cannoni a Waterloo. E chi racconta tutto raccoglie voci per farci entrare nella rivoluzione lurida di sangue. Chi scrive è François-Renè de Chateaubriand, anima del Romanticismo francese, testimone delle passioni bonapartiste in “Storia di Napoleone” (Iduna, 2020, con prefazione di Gabriele Sabetta). Per i lettori delle grandi biografie è un’occasione per scoprire una narrazione di cui si sono perse le tracce. Ed è questo un libro che si aggiunge al giacimento letterario di memorie che da Giulio Cesare giunge a Ernst Jünger. Chateaubriand è storico di squisita razza intellettuale: ecco la sua ricostruzione dei meccanismi isterici rivoluzionari ed ecco la “vegetazione rivoluzionaria che spuntava vigorosamente sullo strato di letame innaffiato dal sangue umano.”  Lo scrittore inoltre vuole tracciare le battaglie. Le insegue con realismo, precedendo  così la narrazione tolstojana di Austerlitz e Borodino. Allora si legga la “Ritirata”, appaiono soldati bruciati dal ghiaccio, “le dita violacee e rigide”, i capelli “irti di gelo” e “gli abeti mutati  in cristalli immobili”, con gli  “sciami di corvi” che seguono  “questa ritirata di cadaveri.”

La biografia su Napoleone, edita da Iduna

Tale vigore narrativo è Romanticismo. Ossia consapevolezza del perenne conflitto tra l’individuo e la Storia.  Oltre a ciò, attrae la lettera di Napoleone, generale ventottenne, che comanda un esercito disperato, straccione, eppure vincente. Ritornano le parole del “genio stesso della guerra disceso tra noi”, il quale umilia gli eserciti imperiali ed entra nelle grazie dei politici parigini;  a questi invia i quadri rinascimentali razziati in Italia, con tanto di lettera di accompagnamento.

Un individuo può costruire le civiltà, scuotere gli ordini. Nietzsche elogia Napoleone per aver sottomesso “il mercante e il filisteo.”  Da Manzoni a Hegel, l’Ottocento è abbagliato dal signore francese della guerra, dal giovane generale che fa sparare sulla folla nel 1795. Signori, questa è la storia: la sua gloria, la sua bassezza. Comunque, speriamo che a nessuno venga in mente di abbattere le statue di Napoleone.  Di certo il militare ambizioso o il politico scaltro conosce bene l’umano vizio, accusa il voltagabbanismo di sempre, i bonapartisti diventati fedeli ai Borboni in una notte.

Leggere Chateaubriand per ascoltare un nobiluomo: egli non si sconfessa, resiste ironicamente, scrive la famosa frase, «Io sono monarchico per tradizione, legittimista per onore, aristocratico per costumi, repubblicano per buon senso.» Desideriamo sottolineare il senso della storia alimentato da una biografia appartenente alla civiltà del Romanticismo.  La quale fa emergere l’esprit du temps, le stagioni della gloria o i giorni dell’ossessione, quando “L’imperatore si era trasformato in un monarca  di vecchia  razza  che si arroga tutto, che non parla se non di sé…” Chateaubriand ricostruisce la sua epoca tracciando riassunti, dipingendo battaglie, osservando i fatti.  È questa la sapienza di un commentatore realistico, acuto,  mai infatuato della parola libertà. È questa la narrazione dedicata ad un genio rivoluzionario, diventato monarca, che “rasentava la follia, ma i suoi sogni erano ancora quelli di uno spirito  grandioso.”

Poi le pagine dedicate all’assedio di Mosca sono poesia tragica. Sono epica. Con i saccheggi, i soldati di fango, gli scheletri, i tamburi abbandonati, gli animali sbranati, le fiamme che ingoiavano la città e l’imperatore che s’illude ancora di conquistare un’altra città, Pietroburgo,  o l’imperatore che lascia “dietro a sé l’enorme incendio delle sue inutili conquiste.”

Dopo viene il tempo delle sconfitte e Waterloo entra nella memoria di Chateaubriand. “Che cosa fu la battaglia di Waterloo” è il capitolo  che rappresenta una grandiosità spaventosa.   Qui disegna la carica dei corazzieri francesi scagliati contro un muro di scozzesi, con il “Viva l’Imperatore” che risale sulla piana.  Lo storico scrive e quasi respira l’aria del paese belga dove venticinquemila francesi perdono la vita.  La sua ricostruzione non dimentica nulla.  Persino la frase famosa “La Guardia muore e non si arrende” è indagata  per concludere che la celebre espressione è solo “un’invenzione che nessuno osa più sostenere.”

Nell’introduzione di Gabriele Sabetta viene approfondita l’identità politico-culturale di Chateaubriand, il suo essere fedele alla monarchia e nello stesso momento essere “della stessa razza dei Napoleone  Bonaparte”, ossia “stessa passione, stessa brillantezza, stessa malinconia.” Per acquisire una mirata definizione storica, l’imperatore francese rimane l’uomo “arido di ardente fantasia, impaziente nella volontà, incompleto e incompiuto” eppure  “l’ultima delle grandi esistenze individuali.”

François-Renè de Chateaubriand, “Storia di Napoleone” Iduna Edizioni, pagg. 469, euro 24.00

Info: associazione.iduna@gmail.com

Renato de Robertis

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