Calcio. Le trappole della Dea, l’Atalanta vince a Liverpool e perde con l’Hellas

In Europa fa faville, in campionato zoppica ma quella della Bergamo calcistica resta una grande favola

25 novembre 2020 la banda di Gasperini segna un’ennesima tappa storica per il club e per il calcio italiano: espugna Anfield Road, stadio ostico per chiunque e fino ad allora teatro di sole sconfitte e pareggi per i club italiani, eccezion fatta per i fantastici 4. Questi altri 4 club sono il Genoa (1991-1992 in Coppa Uefa), la Roma (2000-2001 in coppa Uefa), la Fiorentina (2009-2010 in Champions League) e l’Udinese (2012-2013 in Champions League). Non è un caso che tutte le squadre che abbiano fatto l’impresa ad Anfield, lo stadio dei sogni e della magia, del “You’ll never Walk alone” fossero squadre guidate da uno spirito di unità, da un agone quasi ancestrale e da una voglia di scendere in campo per dimostrare il proprio valore, ineguagliabili. Nessuna squadra che vada a Liverpool, con un minimo di supponenza o con la certezza di poter vincere, riuscirà mai a fare risultato, è una specie di maledizione, o, per meglio dire, una consacrazione del bel gioco e del puro fútbol, che viene ripagato in un luogo quasi mistico, un tempio del calcio come Anfield.

Così, l’Atalanta reduce da una brutta sconfitta in casa, in cui sembrava essere un burattino alla mercé del puparo Liverpool, si è presentata in maniera sfrontata sulle sponde del Merseysisde. Non ha rinnegato i propri principi ed è scesa in campo riproponendo il suo solito canovaccio: gioco a tutto campo, pressing a uomo, marcature asfissianti, ripartenze e quel pizzico di estro che eleva la pura applicazione tattica ad opera d’arte. In una serata in cui il tempo sembrava essere appeso e sospeso nel ricordo di chi ha innalzato il calcio ad un qualcosa di superiore, di chi ha fatto del proprio genio la penna con cui vergare i campi di gioco, di chi ha avuto sempre il coraggio di essere Davide e non Golia, l’Atalanta da Davide, sconfiggeva Golia. Le azioni che le hanno permesso la vittoria sono le stesse oleate e ben preparate in 3 anni di fatiche. Palla che viaggia veloce da un interprete all’altro, azione diretta verso una fascia e cross sull’altra, in cui l’inserimento o del terzino opposto o del trequartista/interno di centrocampo va a chiudere verso la porta, avventandosi famelico di gol. Così prima Ilicic e poi Gosens hanno domato i sogni di gloria dei Reds. Perentorio 2-0 e sorriso ritrovato in Europa per la banda di Gasperini e specialmente per lo sloveno, che non poteva desiderare un momento ed un posto migliore in cui rinascere.

0-2, pochi giorni dopo, stesso risultato ma protagonisti diversi. Essersi guadagnati la fama di squadra di primo livello nel calcio che conta non è bastato a domare l’Hellas Verona, complice anche la supponente disattenzione che tormenta i nerazzuri in questo avvio di campionato. Così l’Atalanta tra le proprie mura subisce una sonora sconfitta senza possibilità di replica. Il Verona sta dimostrando di valere la sua classifica ricordando proprio il gioco proposto dalla dea qualche anno fa: sbarazzino, coraggioso, pronto a proporre sempre un calcio offensivo e a sfidare a viso aperto ogni avversario (così si giustificano i pareggi meritati contro Milan e Juventus). Non è infatti un caso che il loro allenatore sia Juric, cresciuto sotto la guida del Gasp in quella Genova sponda rossoblù che proprio in quegli anni e con quell’allenatore diventò grande. E così tra similitudini, corsi e ricorsi storici, questa volta, Davide diventa Golia arrendendosi ai colpi di fionda, in un duello tra innovatori del calcio italiano. I gialloblù fanno la partita e non sbagliano niente, o quasi, portando a casa meritati tre punti ed anche il sorpasso in classifica (Verona 15 punti e Atalanta 14), affossando e frustrando le ambizioni atalantine (ora 8° posto).

Tuttavia cadute di questo tipo non devono deprimere un ambiente in grado di compiere grandi imprese, possono sempre capitare, specialmente se sei alle prime armi nella gestione della doppia competizione. D’altro canto, in un campionato imprevedibile e furibondo come quello di quest’anno bisogna evitare di perdere terreno, perché il treno per il quarto posto è un treno ad alta velocità e può facilmente fuggire via. La maturata consapevolezza internazionale, i nuovi acquisti e le solite certezze di gioco sono dalla loro, paiono così essere la vanità e la sufficienza gli ostacoli da superare per ritrovare costanza di risultati.

Le notti stellate europee spesso fanno più gola delle piatte serate italiane in stadi vuoti, in cui l’eco della rete gonfia è il pensiero più auspicabile, ma si sa, sono proprio le banali e piatte serate ad essere il viatico per le ambizioni extranazionali. E l’Atalanta stessa ne è una dimostrazione avendo sovvertito a suon di gol, impegno e lucida follia le solite classifiche stilate nelle redazioni dello Stivale ai primi settembre. Essere una dea può essere un vantaggio, ma non deve rischiare di essere la propria condanna.

Stefano Coropulis

Stefano Coropulis su Barbadillo.it

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