Covid. Indini: “Abbiamo reagito in maniera sbagliata alla pandemia”

Esce il libro-inchiesta "Il Libro Nero del Coronavirus" scritto dal responsabile de ilGiornale.it insieme a Giuseppe De Lorenzo: "Sin dall'inizio si sono accumulati errori che ancora oggi stiamo pagando cari"

Ospedali al tempo del Coronavirus

Quando il Coronavirus arriva in Italia, semplicemente, dilaga. Miete decine e decine di vittime mentre chi fino a poco tempo prima tentava di minimizzare ora si rendeva conto dell’estrema gravità della pandemia. L’Italia si è fermata e commossa davanti alle immagini delle colonne di mezzi militari carichi di bare. Sui social diventavano tristemente “virali” i video che documentavano come le pagine dei giornali bergamaschi fossero letteralmente monopolizzate dai necrologi. Cosa è successo, solo pochi mesi fa?

Una bella e coinvolgente inchiesta giornalistica tenta di fare luce sugli avvenimenti, gli errori e la catena di fatti e responsabilità che ha portato al disastro Covid in tutto il Nord Italia. Ne abbiamo parlato con Andrea Indini, responsabile de IlGiornale.it e coautore, insieme a Giuseppe De Lorenzo, de “Il Libro Nero del Coronavirus”, edito da Historica- Giubilei Regnani.

 

Dove nasce l’idea e la voglia di investigare su quanto accaduto, nel nostro Paese, al tempo della più tremenda emergenza sanitaria degli ultimi anni?

“Lo scorso aprile, dopo aver pubblicato un’inchiesta su InsideOver, un’amica bergamasca che non sentivo dai tempi dell’università mi ha contattato su Facebook per invitarmi ad andare più a fondo. ‘Scavate ancora di più’, ci spronava. ‘Sicuramente non cambierà il nostro dolore – ci scriveva – non si tratta di cercare una vendetta o un qualche responsabile da mettere in croce, ma semplicemente sapere come è potuta accadere questa strage’. Quello che ci chiedeva era la verità. E lo faceva dopo aver vissuto ‘giorni tremendi a contare i morti’ nel proprio quartiere. Morti che non erano solo ‘anziani’ come alcuni minimizzavano al tempo. Perché ogni volta che dalla finestra sentiva l’urlo di un’ambulanza o vedeva incedere un feretro si chiedeva se fosse un volto amico che erano venuti a prendere. È stato allora che ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo iniziato a indagare. Non solo su Bergamo e la mancata zona rossa in Val Seriana, ma su tutto il Nord Italia che è stato travolto dal Covid.”

Cosa avete scoperto? Come e dove è iniziato tutto, in Italia?

“Quello che ne è venuto fuori è un vero e proprio ‘libro nero’. Sin dall’inizio si sono accumulati errori, sviste e ritardi che ancora oggi stiamo pagando cari. I silenzi del governo cinese sulle prime ‘polmoniti anomale’ scoperte sul finire dell’anno scorso hanno fatto perdere tempo prezioso. E altrettanto ne hanno bruciato i tecnici dell’Oms quando hanno taciuto della gravità della situazione in Cina. Il governo Conte, poi, si è fatto trovare totalmente impreparato: quando a gennaio il virus già circolava in Italia nessuno a Roma pensava a elaborare un piano per contenere i contagi. Non solo… quando l’hanno infine messo nero su bianco, lo hanno tenuto nascosto alle Regioni. Ancora oggi non è possibile sapere cosa contenga…”

 

Quale è stata la risposta delle istituzioni? All’inizio si tendeva a minimizzare, ha pesato (ed eventualmente quanto) quell’atteggiamento un po’ lassista che si è concretizzato, ad esempio, col famoso aperitivo sui Navigli?

“All’inizio ha regnato il caos. Il governo brancolava nel buio, quando venivano istituite le prime zone rosse. Ai primi di marzo, dalla task force lombarda, arrivavano già dati allarmanti. E non solo per i paesi della Val Seriana. Anche Brescia e Cremona non erano affatto messe bene. Eppure nessuno si prendeva la briga di chiudere. Anzi. C’era chi se ne andava in giro con le t-shirt ‘Milano non si ferma’ o chi postava compiaciuto selfie all’aperitivo o in pizzeria… poi, però, quando si è trattato di cercare un capro espiatorio hanno addossato la colpa agli industriali. Questi ultimi facevano solo il loro lavoro e chiedevano regole certe per rimanere aperti. Nel frattempo il governo perdeva tempo prezioso”.

 

Quando, dalla politica e dalle autorità sanitarie, s’è preso finalmente coscienza della gravità del problema? C’è stato un episodio in particolare?

“C’è un’immagine che nessuno di noi dimenticherà mai ed è quella della colonna di camion dell’esercito che attraversano Bergamo. I forni crematori della città non riuscivano più a star dietro ai corpi da cremare e così i militari hanno iniziato a portare i cadaveri in altre regioni… ecco credo che quell’immagine abbia ribaltato la percezione di tutto il mondo”.

 

Il Covid ha fatto ripiombare il mondo, specialmente quello occidentale, in un’epoca, quella delle epidemie, che si riteneva ormai lontana, relegata a un passato “oscuro”…

“Da anni, tra gli addetti ai lavori, si parlava della minaccia pandemica. Ma non si è fatto granché. Eppure la Sars e la Mers non appartengono certo al secolo passato! Fortunatamente in quei casi non avevamo dovuto fronteggiare una pandemia. Tuttavia avrebbero potuto servirci da campanello d’allarme: avremmo potuto, per esempio, aggiornare i piani pandemici o prevenire la carenza di respiratori e posti letto nelle terapie intensive. Quando è scoppiata la pandemia, l’Occidente ha reagito in modo del tutto sbagliato. Alcuni stati europei hanno ‘blindato’ le forniture sanitarie e l’Italia è stata abbandonata a se stessa. E, mentre cercavano di tamponare l’emergenza sanitaria, i governi non si curavano dell’altro grande malato: l’economia.

 

Credi che, anche dal punto di vista dell’immaginario, nella nostra cultura, sia andato o davvero “andrà tutto bene”?

“Sicuramente sì. Ci rialzeremo. Ma ci vorranno parecchi anni. La crisi economica scatenata dalla bolla finanziaria del 2008 non minava le basi del nostro sistema. Oggi, con i continui lockdown, stiamo impoverendo il Paese. Falliscono i ristoranti e i bar, le piccole imprese non pagano più gli stipendi e molti cassaintegrati di oggi saranno presto disoccupati. Ci sarà da ricostruire tutto…”

 

Tra le vittime del coronavirus, pare, ci sia anche l’informazione. L’emergenza ha acuito l’irritabilità della politica, specialmente nei confronti dei media. Il Covid ha sancito, da un lato, la (quasi) definitiva disintermediazione di cui Vincenzo De Luca è diventato simbolo indiscusso e, dall’altro lato, ha rafforzato quello che Nicola Porro, che al vostro libro ha scritto la prefazione, ha chiamato “il giornale unico”. Il giornalismo, specialmente quello d’inchiesta, ha ancora speranze di “negativizzarsi” al contagio?

“Sin dall’inizio c’è stata una narrazione a senso unico. Gli italiani, chiusi nelle proprie case, avevano sete di sapere e così stavano connessi costantemente. Il bollettino delle 18 è stato a lungo un appuntamento fisso: snocciolavano dati e percentuali senza spiegarli. Nel frattempo nei talk show e sui social furoreggiavano scienziati, virologi e medici che non solo si contraddicevano a vicenda ma che riuscivano addirittura a smentire le proprie dichiarazioni. Noi al Giornale.it abbiamo sempre cercato di scavare a fondo per capire cosa stava (e sta) succedendo in Italia e nel mondo. Lo stesso abbiamo fatto ne ‘Il libro nero del coronavirus”.

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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