Cultura. Lunar Park, l’autobiografia con fatti inventati di Bret Easton Ellis

La solitudine invincibile di uno scrittore nella sua parabola raccontata tramite la finzione

"Città al chiaro di luna" (1817) di Caspar David Friedrich

Finzione; padre; volto dell’editoria; solitudine. Questi sono stati i primi appunti presi, man mano che dalla prima pagina di Lunar Park, di Bret Easton Ellis (Einaudi), proseguivo nel lungo viaggio della lettura, fianco a fianco con lo scrittore, con il Bret Easton Ellis uomo, con il suo inconscio, con suo padre, suo figlio, e poi ancora con sua moglie (mi son chiesta: ma esistono davvero queste persone? Alcune sì, altre no. O forse nessuna.), Terby (Ma, si muove sul serio?), la “cosa” (ma che cosa?), Victor (che strano cane), i bambini scomparsi (ma quindi, dove sono finiti tutti?). Una vera e propria Odissea. Un caleidoscopio di avventure durante le quali l’uomo mette in scena lo scrittore. O è il contrario? I punti interrogativi sono sempre tanti, per chi conosce Bret Easton Ellis, ma anche e soprattutto per chi si avvicina a lui per la prima volta proprio con questo libro.

 

È un’autobiografia di fatti inventati. Il consiglio è quello di leggere questo libro dando comunque ascolto alle parole dell’autore:

 

“Al di là di quanto possano apparire orribili gli eventi qui descritti, c’è una cosa che dovete ricordare mentre tenete questo libro tra le mani: tutto ciò che leggerete è realmente accaduto, ogni parola è vera.” (p. 42)

 

Tutto ha inizio con Ellis che mette per iscritto il resoconto della propria vita (gli ultimi quarant’anni circa). Un’esistenza variopinta, fatta di grande ed improvviso successo per i suoi libri, di droga, alcool, finzioni, rapporti familiari fallimentari. Poi, la svolta: si trasferisce in un elegante sobborgo del Midland con la sua “nuova” famiglia (Jayne, ritorno di fiamma; Robby, figlio avuto con Jayne durante la prima relazione; Sarah, figlia avuta da Jayne con un altro uomo) e i sui nuovi ruoli sociali, quello di insegnate di scrittura in un college, di padre e marito. Inizia così l’esistenza del canonico nucleo familiare americano, dalle fattezze perfette: l’american way of life. L’ordine, o apparente tale, e l’agio di questa staticità borghese verranno però stravolti improvvisamente da accadimenti soprannaturali, e solo formalmente privi di significato.

 

“Nei sobborghi ero rilassato. Lì tutto era diverso: il ritmo del giornale, lo status sociale, i sospetti sugli altri. I sobborghi erano un rifugio per i meno competitivi; erano la serie B. […] Con stupore, mi resi conto di essere felice. […] Tutto crollò nel giro di dodici giorni.” (pp. 40-41)

 

Da uno sconcertante realismo delle prime pagine, attraverso cui emerge l’abilità da ritrattista sociale dello scrittore, che vuole mettere in luce il marciume umano, si passa all’horror. Inoltre, l’abilità dell’autore nel creare una sempre crescente ambiguità «è insuperabile», come sostiene Giuseppe Culicchia, traduttore di Ellis. Horror e ambiguità si fondono poi con la realtà stessa. Il libro, nella sua totalità, è pregno di avvenimenti inquietanti, omaggio a Stephen King, durante i quali ricompaiono prepotentemente personaggi e storie di vecchi libri e racconti dell’autore. Tutto, come anticipato, si svolge nell’arco di pochissimi giorni, eppure i tempi appaiono estremamente dilatati, soprattutto nel momento in cui Bret Easton Ellis sembra quasi intraprendere un colloquio interiore con il sé scrittore. Quest’ultimo, poi, prende de facto il sopravvento su tutto, iniziando così quasi a tenere le redini della storia e a guidare le azioni dell’Ellis uomo, dell’Ellis padre, insomma, di tutti gli Ellis presenti in Lunar Park, indossando le vesti di un invisibile grillo parlante. O quantomeno cerca di farlo, consapevole del fatto che per Bret la scrittura sia di vitale importanza nella sua quotidianità, poiché gli permette di “ricreare” la realtà a proprio piacimento nel momento in cui ciò che vive o vede non è di suo gradimento. Una negazione della propria vita, in favore di qualcosa di più appagante. Quella narrata è una ghost story da cui traspaiono tematiche importanti e ricorrenti nella letteratura di ogni tempo, non solo contemporanea: l’amore, la perdita degli affetti, le difficoltà che si materializzano nel tentativo di recuperarli in extremis.

 

Dopo quanto scritto, un importante spazio è bene riservarlo all’incipit del libro, semplicemente citandolo:

 

“Sei una perfetta caricatura di te stesso” (p. 3)

 

O ancora meglio: è bene non sottovalutare, durante la lettura, anche l’importanza di alcuni incipit di suoi romanzi, che lo scrittore inserisce nelle prime pagine del testo. Gli incipit sono sempre luoghi testuali importanti, che disvelano dettagli contenutistici e stilistici dell’intera opera a cui appartengono. Diventano emblema dell’ars rhetorica di qualunque scrittore, e quella di Bret Easton Ellis appare, così, senza dubbio magistrale.

 

“Un pomeriggio mi svegliai e mi resi conto che non sapevo più come funzionavano le cose. Quale bottone bisognava premere per azionare la macchina del caffè? Chi pagava il mutuo? Qual era l’origine delle stelle? Dopo un po’ impari che tutto finisce.” (p. 34)

 

Si potrebbe aggiungere: o finisce, o cambia.

Lunar Park di Bret Easton Ellis (pp. 408, 12 euro, Einaudi – Riedizione)

 

Silvia Savini

Silvia Savini su Barbadillo.it

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