Proteste anti-Dpcm. Sono i “casseur” che sfasciano le vetrine, fenomeno-spia delle periferie perdute

Un approfondimento di Giorgio Ballario fondato sul riscontro (a Torino) della provenienza dalle periferie delle bande di spaccavetrine

I disordini anti Dpcm a Torino

Vogliamo dirlo in modo chiaro e provocatorio? Meno male che sfasciano le vetrine dei negozi di lusso, rubano abiti e accessori da migliaia di euro e poi si immortalano sui social in pose da gangster del terzo millennio. Per fortuna che indirizzano la loro rabbia sociale verso griffe che non potranno mai avere (che in realtà non potrà mai avere il 95% della popolazione italiana) e aspirano ai soldi facili celebrati nei video dei cantanti trap. E grazie al cielo si tratta di cani sciolti che agiscono con la logica del branco ma sono totalmente incapaci di formulare una reazione che vada al di là del brutale saccheggio.

Torino 2020, benvenuti nel futuro che ci aspetta. Nel futuro che qualcuno prevedeva già da anni e che solo soggetti incompetenti, ignoranti e con gli occhi foderati dal prosciutto ideologico – quindi gran parte della classe politica e intellettuale del nostro Paese – non sono riusciti a mettere a fuoco.

Gli incidenti dell’altra sera nel centro di Torino, più ancora di quelli avvenuti a Napoli, Roma e Milano, sono la dimostrazione plastica che le grandi città italiane non vivono in una bolla storica e sociale, caso mai sono solo in ritardo rispetto a fenomeni che in altri luoghi d’Europa (Francia, Belgio, Gran Bretagna e in misura minore Germania e Spagna) si verificano da oltre dieci anni. E che inevitabilmente giungeranno anche qui, dato che non ci sarà nessuno a capire i segnali che stanno arrivando e che quindi provi a porre rimedio prima che sia troppo tardi.

Talvolta persino i giornalisti si ricordano di fare il loro mestiere e allora ecco che negli ultimi due giorni, su La Stampa, sono comparsi un paio di articoli che, da soli, valgono più di un trattato di sociologia o di mille parole in libertà di questori e ministri dell’Interno. Il primo articolo era l’intervista a uno dei ragazzi arrestati per gli incidenti scoppiati in piazza Castello alla manifestazione contro l’ultimo Dpcm del governo, l’altro un’analisi dei video postati sui social dagli stessi protagonisti dei saccheggi.

La vetrina di Gucci devastata a Torino

Ecco alcune frasi dell’intervista a Nizar, 18 anni, immigrato marocchino di seconda generazione: «C’era una gara a chi faceva più casino tra gruppi di periferia. Tutti della nostra età. I gruppi di Vallette, Barriera Milano, Mirafiori, Borgo Vittoria (storici quartieri periferici del disagio, ndr)». «All’inizio siamo partiti in tredici. Quando siamo arrivati in piazza eravamo, trenta, quaranta». «Sto studiando da elettricista, voglio prendere il diploma e andare all’estero, in Olanda, là c’è più lavoro. Sono al secondo anno, ne ho persi tre. Mi impegno ma mi bocciano, non è colpa mia. I professori scrivono che non permetto di svolgere le lezioni. Faccio un po’ di casino, ogni tanto ci vuole». «Conosco di vista i due fratelli egiziani arrestati per il furto da Gucci. Sono di Barriera (di Milano, quartiere a più alto tasso di immigrazione, ndr), il più piccolo lo chiamano “Ciccio panino” perché è un po’ grasso. Sono di Barriera, brava gente». «Per me Barriera rappresenta tutto: gli amici, la famiglia, la vita. Lì trovo il rispetto che invece non trovo in centro».

 

:https://video.lastampa.it/33c4f438-8455-4c07-89d5-74230d3889d1


Questo invece è un brano dell’analisi dei video postati nei giorni scorsi sui social più frequentati dai giovanissimi: «Nessun pentimento, anzi. Bisogna raccogliere il più alto numero possibile di follower su Instagram. Mostrarsi, rivendicare, anche tornare sul luogo del saccheggio. Ed eccola la foto in posa davanti al negozio della Geox, puntualmente pubblicata sui social. Ed eccola, la “banda di Barriera” che torna in centro per contare i suoi danni e congratularsi per il risultato: un filmato davanti ai vetri rotti e ai cartelloni pubblicitari per ribadire il concetto: ora che le vetrine sono state sfondate, sì che le scarpe respirano. Nessun pentimento, l’unica cosa che conta è apparire. Divertirsi con gli amici è l’unica gioia, anche se si deve indossare un passamontagna, anche se con una mazza si spacca una vetrina e anche se si rischia la galera. Le conseguenze per ora non sono un problema. Forse lo saranno presto, perché è tutto alla luce del sole, troppo facile da vedere per passare inosservato. È tutto su Internet: i video dei saccheggi delle vetrine di via Roma, quelli della festa dopo la notte vandalica. E quelli del ritorno in centro. Stessi profili, stessi protagonisti, stesse facce. Sempre a volto scoperto. “Siamo stati noi”. Ignari delle conseguenze, forse perché non hanno davvero niente da perdere».

La periferia di Torino

Ecco il quadro reale delle nostre periferie, sempre più simili alle banlieue di Parigi, Lione o Marsiglia. E se vogliamo capire ciò che ci aspetta occorre armarsi di pazienza e andare a spulciare su Internet le notizie provenienti negli ultimi anni dalla vicina Francia, perché sui nostri giornali non se ne parla e in tivù ci fanno vedere solo gli sconti alle manifestazioni del “gilet gialli” ma non ciò che accade in quelle terre di nessuno che sono diventate le immense distese di asfalto e cemento intorno a Parigi, dove se un’auto della polizia si avventura da sola fa la fine della diligenza assaltata dagli apache nei vecchi film western di John Wayne.


E allora se il futuro è questo, e nulla lascia pensare che possa essere diverso, per fortuna che sinora la “racaille” se la prende con i negozi del centro e fa a gara nel rompere le vetrine delle griffe di lusso. Speriamo continuino a lungo in questo sport tutto sommato ancora innocente, che fa strage di cristalli ma risparmia vite umane. Perché gli esempi intorno a noi insegnano che il passo successivo può essere un altro, ben più pericoloso. Che cosa succederebbe se la rabbia delle banlieue, di migliaia di giovanissimi violenti, sradicati e senza prospettive, in grandissima parte di origine magrebina, venisse intercettata dai professionisti dell’odio dell’Islam radicale? La risposta l’abbiamo già avuta nel recente passato a Parigi, Nizza, Bruxelles, Londra, Barcellona, Berlino.

@barbadilloit

Giorgio Ballario

Giorgio Ballario su Barbadillo.it

Exit mobile version