La Forza della Poesia. Nietzsche, la solitudine e il ristoro del filosofo nell’amicizia

Versi struggenti legati al bisogno di donare le “verità” del pensatore di "Così parlò Zarathustra"

Nietzsche in un ritratto con mattoncini Lego
Nietzsche in un ritratto con mattoncini Lego

«Gioia irrequieta di esistere, di cercare con gli occhi, di attendere: / gli amici, io attendo, giorno e notte, / dove siete rimasti, amici miei? Venite! È l’ora! È l’ora! / Non è forse per voi che il grigio ghiacciaio / si veste oggi di rose? / È voi che cerca il ruscello, e più in alto, dallo struggente desiderio / oggi si inseguono e si urtano nell’azzurro il vento e le nuvole»

Questi versi di Federico Nietzsche si trovano nella poesia in forma di epodo intitolata Da alti monti che è posta a conclusione di Al di là del bene e del male, l’opera speculativa tra le più riuscite e mature del filosofo dell’eterno ritorno, ultimata nel giugno 1885 nella solitudine di Sils-Maria in Engadina. Nietzsche si era ormai lasciato alle spalle l’ambiguo e travagliato rapporto con Lou Salomé e con Paul Rèe, una sorta di commedia degli equivoci, ed era ripiombato nella consueta solitudine che per lui era non solo una necessità dettata dalle sue infermità e dal suo temperamento, ma anche una scelta orgogliosa di libertà, una vocazione, una beatitudine. C’è da dire che l’atteggiamento spregiudicato della giovane Salomé avrebbe tratto in inganno anche uno meno ingenuo e inesperto di Nietzsche. «E Lou Salomé era tutta arroccata intorno a se stessa e alla sua ambizione formativa, era lontana dal possedere l’antica e femminilissima arte dell’amore e della dolcezza. Aveva intelletto, ma non “intelletto d’amore”» (Sossio Giametta). Ed allora non restava che scegliere la «buona solitudine, la libera, capricciosa, leggera solitudine», come scrive il filosofo nell’aforisma 25 di Al di là del bene e del male. 

Ma la solitudine può diventare anche un peso, un laccio, una sofferenza. Soprattutto se si sente, come Nietzsche indubbiamente sentiva, il bisogno di donare le “verità” del suo pensiero, di confrontarsi, di gettare «parole d’oro davanti alle sue azioni», come scrive in modo superbamente poetico in Così parlò Zarathustra. Avere dei compagni, magari dei discepoli, era un suo desiderio e un suo cruccio. «Il desiderio d’amore era diventato per lui un laccio che lo teneva avvinto. Bramava divenire preda dei suoi figli e di perdersi per loro: cioè in loro, perché questa è la voluttà che cerca l’amore, anche quando si chiama amicizia: versarsi e perdersi in un altro» (Sossio Giametta). L’amicizia, come per gli amati Greci dell’antichità, fu dunque uno dei suoi ideali. E i versi citati lo dimostrano, sono un grido accorato nel deserto del pensatore solitario. Anzi la solitudine e l’amicizia sono tra i temi più toccanti nei suoi scritti. Che poi siano posti a conclusione di un’opera speculativa, che riprende e sviluppa temi delle precedenti opere aforistiche (dall’immoralismo alla nuova tavola di valori, dallo scetticismo all’ipotesi metafisica della volontà di potenza, e così via), tenuti insieme in un delicato e precario equilibrio, ebbene, si spiega senz’altro col fatto che Al di là del bene e del male, come scrive Sossio Giametta, è «il capolavoro del rutilante tramonto del Nietzsche scrittore di aforismi, e nello stesso tempo è un grande e involontario ritratto dell’autore». In ogni caso la solitudine è croce e delizia per ogni autentico pensatore.  

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Sandro Marano

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