La lezione ancora attuale di Predrag Matvejević, per un neorinascimento del Mediterraneo

In quest’area si registra una riconfigurazione dello scenario internazionale, con una minore presenza del controllo statunitense e un più incisivo intervento della Russia e della Turchia

Mykonos, cuore dell’Egeo nel Mediterraneo

Da un po’ di tempo tra gli esperti di geopolitica si sente parlare di un ritorno alla centralità del Mediterraneo. È in atto, in quest’area, una riconfigurazione dello scenario internazionale, con una minore presenza del controllo statunitense e un più incisivo intervento della Russia e della Turchia. In questo nuovo sistema mondiale, non più dominato dal bipolarismo ma nemmeno dall’unipolarismo americano, da quando la strapotenza cinese ne ha insidiato il predominio commerciale e tecnologico, si potrebbe ipotizzare un rilancio del nostro bacino. Secondo molti analisti, come Alessia Malcangi, in questo mutato palcoscenico, contraddistinto da slittanti interconnessioni, in cui alle tradizionali problematiche della hard security (difesa militare e presidio dei territori), si sono mescolate questioni di soft security (instabilità socio—politica, squilibri economici, traffici illeciti e ondate migratorie difficili da gestire), i paesi del Mediterraneo potrebbero provare ad uscire dalla marginalità. Piano incidentale a cui li ha condannati anche la notevole disparità economica e politica rispetto all’Europa del Nord. La fluidità del contorno non rende facile comprendere se questi territori conosceranno una sostanziale autonomia o se il loro baricentro pencolerà a Nord o ad Est, anche alla luce dei novelli accordi tra Israele e gli Emirati arabi.

La centralità perduta

In che modo tale regione può riguadagnare importanza strategica nello scacchiere mondiale?
Come spesso accade, la risposta viene dal passato, dai libri, quelli importanti. Breviario Mediterraneo di Predrag Matvejević (Garzanti), nonostante i suoi tre lustri, possiede l’inossidabilità di un classico destinato a parlare a tutte le epoche. Matvejević è stato, altresì, un insigne romanista, professore alla Sorbona e poi alla Sapienza di Roma, un intellettuale europeo di primissimo piano, insieme, autorevole voce della Mitteleuropa e uomo della costa. Questo testo, con cui è stato anche candidato al Nobel ,- come osserva Claudio Magris che ne ha curato l’appassionata prefazione- “geniale, imprevedibile e fulmineo” ha arricchito sia la storiografia culturale sia la vera e propria letteratura del “mare di mezzo”. A metà strada fra il portolano e il saggio-romanzo, intreccia realismo, portato della ideologia marxista dell’autore, e profondo lirismo. Moderno Omero, egli dedica, di fatto, al mare nostrum e alle popolazioni stanziate sulle sue frastagliate coste un’opera di geopoesia, epica e piena di pietas per ognuno degli innumerevoli destini che questo mare custodisce e seppellisce, come “un immenso archivio o un immenso dizionario etimologico”. Breviario non è solo il frutto di ampia e dotta bibliografia, non “legge solo libri, ma legge il mondo”. Ripercorre i gesti e il vociare delle persone, passa in rassegna il variopinto stile delle capitanerie, l’inestricabile rapporto tra natura, storia e arte, il riverbero dei merletti dei litorali nell’architettura, la labilità dei confini che “la saggezza antica insegnava … arrivassero fin dove cresce l’ulivo”, i linguaggi delle onde fondamentali nella “drammaturgia del mare”, le parlate in codice dei moli, il gergo che muta impercettibilmente nello spazio e nel tempo”.
Tanti gli elementi, non solo geografici, compresi in questa sorprendente Realencyclopädie. Le isole, “luoghi di raccoglimento o quiete, pentimento espiazione, esilio o incarceramento, il destino insulare che accomuna gli abitanti di Sicilia o Sardegna, le boe, un tempo in legno di cedro odoroso, il cordame di canapa, il “paglietto“ o lo “stramazzo”, con i suoi profumi, i venti “dalle qualità demoniache ed erotiche, contrassegnati in mille modi, mistral, levante, ponente, burino, garbino, garbinada, libeccio, i fari, “ciclopi dall’occhio illuminato”, che sovrastano l’immenso, la migrazione delle anguille. E poi le molteplici mescidanze tra le tre religioni monoteiste, le venture del fato e le storie custodite nelle svariate leggende sorte intorno al “lago greco“, dizionari nautici, lingue scomparse ma sopravvissute attraverso ossidazioni di sostrato.
Chi oggi vive lungo tali lidi ha l’obbligo morale di conoscere la ricca mitologia fiorita nei lunghi millenni e di riflettere e districarsi tra lessemi che, benché in uso a migliaia di chilometri di distanza, rivelano ceppi comuni. Stretta – ribadisce Matvejević – è la parentela linguistica con il glossario ellenico, la cui eco è ravvisabile in ogni angolo di litorale. Gli Slavi del sud, per esempio, conservano il loro termine more (mare), ma dall’incontro con i Greci mutuano la parola thalassa per indicare le onde, pelagos, da cui deriva pelagat, “pescare lontano dalla riva”, o kolpos, di cui è rimasta traccia nell’idioma kulaf “pescare in alto mare”, etimo primario del veneto golfo.
Aldous Huxley sostiene che, oltre al mare, un “tratto distintivo della mediterraneità è dato dall’olivo” e Lawrence Durrell chiosa “tutto quanto il Mediterraneo – sculture, palme, addobbi dorati, eroi barbuti, vino, idee, navi, luna, Gorgoni alate, figure bronzee, filosofi – passano attraverso l’aspro e acerbo gusto dell’oliva nera fra i denti”. Nè si può dimenticare la centralità del commercio: Fenici, Ebrei, Cretesi, Achei, poi Romani, Arabi, Veneziani e Genovesi hanno avuto una vocazione spiccata alla mercatura. Anche in questo caso, si è accumulato nei secoli un repertorio specifico che ospita residuali greci, emporion, persiani wazar (bazar), arabi makhazin (magazzino), semiti suk (zoco in spagnolo). Bestemmie e imprecazioni, gestualità oscena in uso anche oggi, il digitus impudicus, per intenderci, rivelano una stretta circolarità che contraddistingue e unisce gli abitanti di Malaga, Haifa, Palermo; mentre “el pito catalan (una specie di scorreggiata artificiale fatta con l’aiuto della bocca e delle dita), noto come pernacchia, è sberleffo impiegato su tutte le rive del Mediterraneo.

Disimpegnarsi tra antiche migrazioni di popoli, scontri e, soprattutto, incontri di civiltà del passato fortifica l’idea che gli uomini sono stati sempre in marcia e che gli attuali movimenti migratori non sono un fenomeno della contemporaneità, ma un anello di una catena infinita di flussi che ha origine nella storia della storia del “Mare compreso tra le terre”. Corrobora la natura identitaria dei popoli che vi si affacciano e, dunque, incentiva l’inclusione. Si tradisce il Mediterraneo, se ci si accosta a esso da “punti di vista eurocentrici”: non è una solipsistica “creazione latina”, né un’invenzione panellenica o pan-araba o pan-sionistica. È insieme tutte queste cose. “Per secoli, e ancora adesso, Stati e religioni, governanti e prelati, legislatori secolari e spirituali hanno diviso in tutti i modi lo spazio e la gente. E tuttavia i legami interiori hanno cercato di resistere” – commenta l’autore. Essere consapevoli che l’insieme mediterraneo è composto da molti sottoinsiemi che sfidano o rifiutano le idee unificatrici è la sfida perché tale regione riacquisti il ruolo di pivot (Malcangi) nella geografia internazionale.
Queste sponde, che hanno declinato “la chiarezza e la forma, la geometria e la logica, la legge e la giustizia, la scienza e la poetica… i libri sacri della pace e dell’amore, le guerre di religione, crociate e jihad, un ecumenismo generoso accanto a un ostracismo feroce, l’universalità e l’autarchia, l’agorà e il labirinto, la gioia dionisiaca e il macigno di Sisifo, Atene e Sparta. Roma e i barbari”, devono partire dallo sguardo retrospettivo per elaborare una prospettiva di azione comune supportata dall’accettazione, anzi dall’esaltazione della diversità.
Che l’Italia non perda l’occasione e sia lo spirito guida di questo Rinascimento!
Cecilia Pignataro

Cecilia Pignataro

Cecilia Pignataro su Barbadillo.it

Exit mobile version