Calcio. Basta alibi: dal Barcellona a Guardiola passando per CR7, siamo al crepuscolo degli dei

La Champions non soffre né maledizioni né "follie". Nessuna giustificazione dopo tracolli e figuracce dei super-eroi del calcio

Non scomodate la “follia” del tempo, né le “maledizioni” e nemmeno l’insolita formulazione del mini torneo a otto squadre per assegnare la Champions League. Niente alibi: da Cr7 al Barcellona, passando per Pep Guardiola e Maurizio Sarri, siamo alla fine di un’epoca. Gli dèi volgono al tramonto. Facciamocene una ragione.

Barcellona, addio

Il Bayern Monaco che prende a pallonate il Barça di Messi è l’esorcismo atteso da tanti anni. Otto a due è un punteggio che non consente giustificazioni. È inutile che ve la prendete con il povero Quique Setien, un uomo oscuro che s’era messo in testa che al Camp Nou avessero davvero bisogno di un allenatore e non di un prestanome che si limitasse a firmare la distinta pre-partita. Il Barcellona è alla fine di un ciclo e non vale ciò per giustificazione: bisogna sbaraccare e ricostruire tutto daccapo. Altro che perpetuare l’esistente, magari con la complicità di Xavi o altri in vesti di allenatori (fantoccio, e nessuno si offenda). Leo Messi ormai ha una certa età. Ha vinto tanto, è divenuto bandiera di tutte le bandiere blaugrana. Iniziare a pensare di smettere, o quantomeno di avviarsi verso la conclusione di una carriera sfavillante è doloroso ma, forse, necessario. Se non vuol fare la fine di Valentino Rossi. Postilla: appresso all’allure barcelloneta, si svuota anche la retorica del Napoli. Se vale la proprietà transitiva, spesso e volentieri utilizzata per rendere più accettabili le sconfitte, gli azzurri di Gattuso hanno preso tre palloni da una squadra smorta e smunta. Tutto da rifare anche lì.

C’era una volta un guru

Il Lione non è uno squadrone. Chi ha visto la partita di ritorno contro la Juve lo sa benissimo. Ma gioca quadrata, aspetta e colpisce con le zampate fulminee, approfittando dei buchi avversari. Ne ha fatto le spese Pep Guardiola che, pee l’ennesima volta, saluta la Champions da attore non protagonista. Tutti si attendono grandi cose dalle sue squadre, negli ultimi anni non sta accadendo più nulla di che. Almeno sul piano europeo. Forse, considerando pure l’evoluzione che tarda ad arrivare nel gioco e che pure tenta di farsi largo nelle idee del mister catalano, sarebbe il caso di prendersi un nuovo anno sabbatico. E se l’altra volta, ipse dixit, studiò matematica e geometria per applicarle al calcio, questa potrebbe rileggersi un po’ di Gianni Brera, magari andare a trovare il suo vecchio mentore a Brescia, Carlo Mazzone. Il pallone è una cosa semplice: complicarlo inutilmente non sempre dà risultati sperati.

L’ubris punita

La Juventus è “divina” imbattibile solo in casa. Si parla, apertamente, di crisi perché non ha ammazzato un campionato strano, zoppo, debole e piagnucoloso. Il nono scudetto di fila non ha salvato dall’esonero Maurizio Sarri: l’uomo dal bel giuoco che s’è scontrato contro le multinazionali in servizio temporaneo ed effettivo alla Continassa. Qualcuno ha fatto notare che mettere nella stessa squadra Cristiano Ronaldo e “bel gioco” è un controsenso. Il vero errore di Sarri è stato quello di inginocchiarsi ai patrimoni del club: Cr7 e Higuain, bene ma non benissimo. Mario Mandzukic risolveva le partite.

Su Cristiano Ronaldo, vale ciò che s’è scritto per Messi. In Italia, rebus sic stantibus, di lui si ricorderanno le caterve di gol (alle nostre sgallettate squadrettine di periferia) e per l’arroganza che ha trovato, nell’italica inclinazione alla proscinesi verso i ricchi. Uno spettacolo, ricordate?, la signora Giorgina incespicante sul palco di Sanremo. Ora c’è Pirlo che è uno che potrà dire al portoghese di aver vinto il mondiale. Se fosse un allenatore. Se lo sarà, glielo dirà sicuramente di abbassare la cresta: non è il dio del calcio, non lo è a maggior ragione nella terra che ha visto giocare Platini, Maradona, Del Piero e Van Basten.

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