“I ragazzi della Nickel” di Colson Whitehead: quando la fantasia racconta la realtà

Il dramma razziale negli Stati Uniti in un libro ambientato in un passato che pare essere estremamente attuale

Maggio 2020, Minneapolis: George Floyd, accusato di aver pagato un pacchetto di sigarette con una banconota falsa, viene ucciso da un poliziotto bianco e diventa subito il simbolo del razzismo contro i neri.

Primi anni ‘60 del ‘900, Florida: Elwood Curtis, trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato, viene arrestato e rinchiuso nella Nickel Academy.

Cosa hanno in comune questi due “personaggi”? Il primo è reale, il secondo è frutto della fantasia di Colson Whitehead, ma entrambi sono vittime di un sistema malato, pregno di quell’odio ancestrale, ancora fortemente radicato nell’animo umano, e mai davvero estirpato.

“Lo stato aveva aperto la scuola nel 1899, con il nome di Florida Industrial School for Boys (la Nickel. N.d.r.). “Un riformatorio dove il delinquente minorile, separato dai complici malvagi, possa ricevere una preparazione fisica, intellettuale e morale, venire riabilitato e reintegrato nella comunità con intenzioni e carattere adatti a un buon cittadino, a un uomo rispettabile e onesto con un mestiere o un’occupazione qualificata che gli permettano di mantenersi.”” (p. 79)

Quelle su citate sono le parole che Elwood, protagonista de “I ragazzi della Nickel” di Colson Whitehead (premio Pulitzer 2020) legge all’interno di un opuscolo di presentazione della scuola, mentre si trova in un letto di ospedale, proprio durante i giorni della sua prigionia. In realtà l’istituto in questione, la Nickel, è realmente esistito, era la Arthur G. Dozier School for Boys, il riformatorio degli orrori la cui attività ebbe inizio nel 1900, per proseguire fino addirittura al 2011, anno i cui furono fatte macabre scoperte: 50 sepolture mai segnalate, di ragazzi deceduti a causa di ferite d’arma da fuoco, di traumi causati da percosse, torture etc. Da questi ritrovamenti prende il via la narrazione di Whitehead, che, ancora una volta, dopo “La ferrovia sotterranea” (Sur, 2016), con cui vince il primo Pulitzer nel 2017, cerca di far luce su di uno dei tanti angoli bui della storia americana.  

La narrazione di Whitehead muove i suoi passi in un’epoca ben precisa, in parte la stessa, ad esempio, de “I giardini dei dissidenti” di Jonathan Lethem (Bompiani, 2015): quella descritta è l’America dei primi movimenti per i diritti civili degli afroamericani, della lotta contro le leggi Jim Crow (leggi che promulgavano le discriminazioni razziali), della massiccia presenza sul territorio del Ku Klux Klan.

“La sentenza Brown v. Board of Education aveva imposto la desegregazione delle scuole: era solo una questione di tempo prima che tutti i muri invisibili venissero abbattuti. La sera in cui la radio annunciò la decisione della Corte Suprema, sua nonna (Elwood, dopo essere stato abbandonato dai genitori, continua a vivere con sua nonna, Harriet. N.d.r.) strillò come se le avessero buttato addosso della minestra bollente. Poi si placò e si lisciò il vestito. “Jim Crow non sparirà mica da un giorno all’altro” disse. “Quel malnato”. (p. 22) 

 

Elwood Curtis è un ragazzo esemplare, studioso, rispettoso delle leggi, grande lavoratore e profondamente “innamorato” di Martin Luther King, che erge a propria guida morale e spirituale, in assenza di una qualsivoglia figura genitoriale, oltre quella della sua nonna. Purtroppo, è anche “un ragazzo di colore in un mondo di bianchi” (p. 177). Il giorno in cui decide di seguire la sua prima lezione al college, spronato dal suo insegnante e grazie al suo buon rendimento scolastico, si incammina, letteralmente, in direzione della sua unica ancora di salvezza: l’istruzione. Durante il suo tragitto s’imbatte in un uomo, da cui accetta un passaggio, la cui auto, però, si rivelerà essere stata rubata. Elwood sarà così accusato di complicità. Da questo momento in poi ha inizio il calvario della vita del protagonista del libro, che fortunatamente si incrocerà con quella di Turner, anche lui tra i giovani rinchiusi della Nickel. Due caratteri opposti, eppur complementari e indispensabili l’uno all’altro. Il primo idealista, lottatore; l’altro realista o ancor meglio: scaltro.

La storia si dipana lungo due differenti assi temporali, oltre che in tre diverse sezioni, e ciò permette di cogliere non soltanto il trauma profondo subito nel passato, da parte dei personaggi che Whitehead presenta nel corso della narrazione, ma anche di osservare la psiche umana nel momento in cui cerca di sopravvivere all’evento traumatico. L’autore dipinge in modo certosino la realtà dei fatti e nel corso del viaggio compiuto dal lettore, quest’ultimo si imbatte nel sentimento dell’amicizia, in quello della lotta per i diritti dell’uomo, incontra l’amore, quello salvifico. Ma a dominare in tutto il racconto ci sono i pensieri di Elwood e la sua spasmodica ricerca di libertà, di dignità, insieme ai suoi fallimentari tentativi di credere di poter avere, un giorno, una vita migliore.

“La mia lotta è la tua lotta, il mio fardello è il tuo fardello. Ma come dirlo alla gente.” (p. 40)

Questo libro non è solo il racconto di generazioni passate, è il racconto dell’America del presente, il nostro presente, perché il “Nuovo Mondo” non è poi così distante dal nostro. È probabilmente anche una analisi dettagliata che cerca di mettere in luce il valore dell’educazione, che sia essa scolastica o no.

“La chiave per sopravvivere qui dentro è la stessa che serve per sopravvivere là fuori: devi guardare come si comportano gli altri, e poi devi imparare a girargli intorno come in un percorso ad ostacoli. Se vuoi uscire di qui.” (p. 84)

È davvero così?

 

*I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead (pp. 216, euro 18,50, Mondadori)

Silvia Savini

Silvia Savini su Barbadillo.it

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