Il punto. Il sovranismo è morto al Papeete. Ora torni l’Europa delle nazioni

Un’opera futurista di Giacomo Balla: “Canto patriottico in piazza di Siena”

Il sovranismo è morto poco meno di un anno fa nel corso del sabba alcolico-politico del Papeete. L’hanno seppellito, dopo una lunga veglia funebre, pochi incauti “pescatori di occasioni” che si sono resi conto della insostenibile leggerezza di un’ideuzza che non avrebbe fatto molta strada, come ci permettemmo ai tempi dei furori salviniani di sottolineare su queste pagine. 

Non ne parla più nessuno, tranne alcuni giovanotti ammaliati dalla prospettiva di restaurare solitarie entità nazionali prive di quegli attributi che le giustificherebbero come l’autorità, la sovranità, l’identità, il senso di comunità, la coesione sociale, l’unità territoriale e amministrativa, la solidarietà. Presupposti che implicherebbero la rifondazione dello Stato-nazione al quale il colpo di grazie venne dato una quindicina d’anni fa dalla riforma del Titolo V della Costituzione;  stato-nazione che  vediamo progressivamente rattrappirsi all’ombra di velleitarismi sciovinisti il primo dei quali è il regionalismo che il già campione del sovranismo, Matteo Salvini, mai e poi mai metterebbe in discussione. 

Sicché la costante perdita di consensi (ancorché virtuali) da parte della Lega – un anno fa  data al 38%, oggi al 25 – è il frutto di quella sciagurata stagione segnata dalla sfida all’Unione europea condotta in malo modo, al punto che le aspirazioni di conquistare il Parlamento di Strasburgo è rimasta frustrata. Con l’aggravante che l’ex-Centrodestra in quel consesso è diviso in tre distinti ed incomunicabili schieramenti: Salvini con i  lepenisti, Berlusconi con i Popolari, la Meloni con i Conservatori-Riformisti. L’irrilevanza del primo è sotto gli occhi di tutti, sicché il sovranismo, agitato durante la campagna elettorale, è diventato il simbolo di un’impotenza politica a fronte di un contesto nel quale le nazioni contano se sono forti, se hanno la capacità di imporre scelte politiche e di trasmettere un sentimento di potenza (che può essere scambiato per arroganza) in grado di trascinare l’Europa non certo verso i lidi dell’integrazione, ma sulle aspre vette del dominio economico-finanziario.

La Germania è – per usare il lessico in disuso salviniano – una nazione che ha fatto del sovranismo la prassi politica a livello continentale, mai rivendicandolo tuttavia, ma piantando  nel corpo dell’Europa i suoi pesanti chiodi tra i quali, come smarriti stanno Paesi quali l’Italia, mentre altri, da vassalli confessi si aggirano nel labirinto tedesco come se fosse il Quarto Reich, capace di imporre i suoi voleri all’Unione grazie ad una sentenza della Corte di Karlsruhe , la Corte costituzionale, e facendo valere il diritto comunitario sul diritto delle nazioni. 

Come ha fatto la Germania? Trent’anni fa non esisteva, era divisa, malconcia e guardiana del sistema sovietico. Dopo trent’anni è una potenza di tutto rispetto pur nel contesto decadente europeo ed occidentale. 

Si è guadagnato il ruolo che occupa grazie ad una politica economica coerente con le sue risorse ed una politica internazionale strategica finalizzata ad “annettere” ciò che la vecchia Unione Sovietica aveva lasciato per strada, in brandelli. Ed ha potuto raggiungere obiettivi ragguardevoli, per quando discutibili sotto il profilo di quello stesso europeismo che costantemente si mette sotto i piedi, grazie ad una classe politica di prim’ordine e ad un sistema istituzionale che funziona.

Ma, se si vuole ricorrere ancora all’abusato e screditato stilema del sovranismo, non si potrà non tenere conto che un Paese come l’Olanda, rappresentato dall’azzimato giovanotto Mark Rutte, capo del governo, paradiso fiscale dove la marjuana è libera e si danza tra i tulipani sulle note del relativismo etico (eutanasia, fecondazione eterologa , laicismo spinto fino alla pratica di una teologia della liberazione da parte dell’episcopato cattolico), ci ha bacchettato sonoramente nei giorni scorsi invocando per noi una sorta di “lezione greca” da parte della Bce e degli organi comunitari con l’alta motivazione  che non ci si può fidare dei Paesi mediterranei come l’Italia. Ma anche il Belgio, la Danimarca, i Paesi scandinavi hanno affondato le mani nel sovranismo combattuto (ed ovviamente non rivendicato) per ricordarci che l’Europa è “cosa loro”. 

I sovranisti italiani d’antan dove si sono rintanati nelle ultime settimane? Già, avevamo detto che i funerali erano stati celebrati nell’indifferenza di tutti. E neppure Viktor Orbàn è intervenuto a porgere l’estremo saluto.

La sovranità è una cosa seria perché la si aggettivi come se ispirasse un ideale movimento. È il cuore della politica che si fa senza battere i pugni possibilmente, ma quando è il caso facendo capire che al di sotto delle Alpi non abitano nazionalisti con l’anello al naso, bensì credibili rappresentati di una nazione che vorrebbe essere trattata per come il suo posto nel mondo impone. Ma se le contraddizioni, che caratterizzano maggioranza ed opposizione in Italia, autorizzano la Merkel e compagnia cantante  a trattarci da mendicanti dell’Europa, in chi modo possiamo far valere il nostro buon diritto a non essere trascinati nel gorgo  dell’impoverimento e della subalternità?

È il tempo di nuove sintesi politiche, probabilmente. E di classi dirigenti consapevoli e non pescate nel nulla. Abbiamo difficoltà ad immaginare chi, dopo l’auto-rottamazione del sovranismo, possa indicare una via politica all’Italia quando l’ombra del pipistrello di Wuhan si sarà finalmente allontanata. Una via che porti in Europa, naturalmente, “terra di nazioni”, come diceva Carlo Curcio, e non di sopraffazioni. (da Il Dubbio)

Gennaro Malgieri

Gennaro Malgieri su Barbadillo.it

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