Non si tratta qui d’una semplice introduzione a Verdi, grande musicista e grand’uomo del suo tempo. Isotta, che illustra e vivacizza nel dettaglio le sue opere parigine, quando Verdi diventa la star del melodramma francese, un genere che a Parigi era stato messo al mondo dai musicisti italiani, qui non parla tanto «della prassi artistica» verdiana, e nemmeno «del valore della sua arte, ché sarebbe pleonastico». Attraverso il racconto delle sue trame melodrammatiche, che sono al contempo storie e Storia, cronache sopra le righe degli accadimenti e squillanti note a margine della condizione umana, Isotta spiega dove Giuseppe Verdi va situato, quale sia stata la sua statura artistica e umana, di quale Italia sia tuttora uno dei rari campioni, e che cosa s’intravede nella filigrana delle sue opere.
C’è il Verdi «risorgimentale», di maniera, che nei peggiori libri di storia e negli sceneggiati televisivi entra nella storia patria a petto nudo e rifiutando di farsi bendare gli occhi, come un Martire di Belfiore. E c’è il Verdi «politico», come spiega Isotta, che dei libretti verdiani, e delle melodie che li raccontano, esplora le profondità, come una sorta di Capitano Nemo in viaggio sotto i mari.: «A tentar di cernere più in profondo, quasi tutte le Opere di Verdi hanno un carattere politico: in questo libro lo si mette in rilievo, per esempio, a proposito de La Traviata. Ma sin dall’inizio: e ciò non sempre è stato osservato. Il primo successo di Verdi è il Nabucodonosor. Grandioso dramma corale modellato sul Mosè in Egitto e sul Moïse et Pharaon di Rossini. Ma anche dramma politico sulla volontà di potenza e sulla ὕβρις, la hýbris, l’eccesso di ambizione, anzi l’eccesso in se stesso, condannato dagli dei: tema tra i fondamentali della Tragedia classica. E da questo sentimento, proprio in chiave politica, sono affetti i protagonisti, Nabucodonosor e Abigaille».
Critico musicale, ma anche memorialista e storico della musica, nonché critico del costume in un paese ogni giorno più scostumato, ciò a dimostrazione che ci sono imprese disperate ma che qualcuno se ne deve pur fare carico, Paolo Isotta è uno dei rari intellò italiani senza debiti con la peggior retorica, quella dell’effimero. Anche se nelle pagine culturali dei giornali, e nelle comparsate chic dei talk show non c’è praticamente mai altro che sdolcinatezze, romanzetteria da due soldi e mode intellettuali (a dir poco) imbarazzanti, penso che Isotta non sappia neppure che cos’è il frou frou culturale.
«A chi va accostato Verdi?» si chiede Isotta, e non c’è che una risposta adeguata: Verdi va accostato «a Virgilio per il culto della rifinitura inteso come valore etico, oltre che artistico; per il pessimismo e l’ampiezza universale di vedute; per il senso religioso precristiano della divinità della Natura. A Orazio, per il culto della rifinitura, il pessimismo e la serenità, nonostante tutto: il Falstaff ha un ēthos oraziano, ma è più pessimista. A Giotto, per tale rifinitura e per il tempo d’incredibile velocità col quale realizzò la Cappella degli Scrovegni, il modello della quale era già tutto nella sua immaginativa. A Machiavelli e Guicciardini per lo spietato pessimismo, la chiarezza di visione del cuore umano, e tuttavia la volontà di non arrendersi di fronte alla sconfitta certa. A Michelangelo, ancora, per il pessimismo, il culto della rifinitura e il senso della grandezza. Non dirò a Raffaello giacché in ciò, nella rifinitura, nessuno l’ha raggiunto né prima né dopo. A Galileo per la scienza e il coraggio. A Cherubini, per la geniale severità della composizione, che lo faceva ritenere da Beethoven il più grande compositore vivente. A Leopardi: per il pessimismo, la rifinitura, la cultura e il disprezzo verso la populace: leggi il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani. A Manzoni per la conoscenza del “guazzabuglio del cuore umano”».
Anche Giovannino Guareschi, però, lo aveva perfettamente «contestualizzato», come si dice oggi in lingua di gesso, e Paolo Isotta mi darà licenza di chiudere con una parentesi guareschiana: «”Naturalmente” disse don Camillo. “Bisogna sempre inquadrare gli artisti nel loro tempo…” “Però Verdi…” tentò di obiettare lo Smilzo. Ma Peppone gli saltò sulla voce: “Cosa c’entra Verdi? Verdi non è mica un artista, Verdi è un uomo con un cuore grande così”. Allargando le braccia fece il vuoto attorno a sé. Don Camillo non fu svelto a scansarsi e si prese una tremenda pacca sullo stomaco. Ma non disse niente per rispetto a Verdi».
Paolo Isotta, Verdi a Parigi, Marsilio 2020, pp. 668, 28,00 euro, eBook 3,99.
*Da Italia Oggi del 11.4.2020