Cultura. Lord Byron, “il reprobo perdonato” che amava l’Ellenismo

dal blog https://byronblogging.com

I tre grandi poeti romantici inglesi, Keats, Shelley e Byron furono accomunati da un’identica sorte. Tutti morirono giovani, a breve distanza l’uno dall’altro: il primo nel 1821 consumato dalla tisi; il secondo annegato nel 1822; Byron due anni dopo, di febbri. Tutti e tre si ribellarono all’establishment politico e letterario del loro tempo e per questo furono temuti e disprezzati, ma anche adorati e osannati.
Nato a Londra nel 1788 da nobile famiglia normanna quanto eccentrica, George Gordon Byron ebbe un’infanzia solitaria che influì sulla sua formazione e sul suo temperamento. «Il suo evangelio è l’azione. In opinion sua, la poesia non è il sogno occulto nelle profondità dell’anima, ma il bassorilievo scolpito nelle viscere della natura» [1]: affascinante, impetuoso, generoso, ma anche violento e libertino, dopo lo scarso successo del suo primo volume di poesie – Ore d’Ozio (1807) –, la fama gli giunse improvvisa ed inattesa con i primi due canti del poema Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, in cui aveva ritratto con struggenti immagini poetiche la propria esperienza infelice.

Lord Byron pop

Lo sconosciuto ventiquattrenne divenne il lion letterario di Londra nei cui circoli culturali e clubs non si udiva che un solo mormorio: «Byr’n, Byr’n, Byr’n…»: il suo nome «sonava per ogni più lontana parte del regno» [2] e conobbe tutti i personaggi famosi a lui contemporanei che, a loro volta, apprezzarono la sua poetica sferzante against l’etica moraleggiante di un io già immerso in una società confusa. Le sue parole erano un’accesa sedizione contro i simulacri divini nel mondo terreno ed i suoi poemetti successivi, tutti ispirati ai miti dell’Oriente – tra cui il celeberrimo Corsaro del quale si vendettero 10.000 copie in un giorno – rafforzarono presso il pubblico la sua immagine di scrittore “maledetto”.
Le sue pagine erano intrise di esotismo, romanticismo, dandysmo e mistero: ingredienti basici del mito eroico byroniano [3] cucitogli addosso «per il fascinoso autobiografismo della sua opera» [4] che influenzò molte pagine letterarie inglesi tra cui quelle di Charlotte ed Emily Brontë. Un fascino, quello di Byron, da intendere, dunque, nel senso latino di fascinum: la capacità di attrarre e sedurre fuori dell’ordinario, in una sorta di malus, di influsso malefico esercitato grazie all’intervento di qualche potere diabolico cui per il lettore è quasi impossibile sottrarsi.
A tale malia contribuì anche la vita sregolata del poeta che causò il fallimento del suo matrimonio con la giovane ereditiera Annabella Milbanke: troppo seria per comprendere un uomo così estroso come il marito. I debiti, il malessere per quelle nozze mai realmente volute, la passione sincera, benché colpevole, per la sorellastra Augusta Leigh, inasprirono Byron, accentuandone le sregolatezza ed il comportamento crudele verso la moglie. La quale, dopo un anno di matrimonio, abbandonò il tetto coniugale, portando con sé la loro bimba di un mese. Da “mito” [5] che era, Byron fu accusato di incesto, adulterio, libertinaggio: quella stessa società che fino allora aveva corteggiato e adulato il poeta, gli chiuse d’improvviso le porte in faccia e Byron, nel 1816, lasciò l’Inghilterra per non tornarvi più.
Dopo una breve parentesi milanese – durante la quale conobbe e collaborò, non senza incomprensioni, con Silvio Pellico [6] – si stabilì a Venezia, dove dimorò per tre anni continuando la sua vita dissipata e libertina [7] Ma il 1819 segnò per lui un anno importante: iniziò il primo canto del suo capolavoro incompiuto, il Don Juan e conobbe la contessa Teresa Gamba Guiccioli [8] che mutò radicalmente il suo sistema di vita [9].
Moglie ventenne del vecchio conte Guiccioli, volitiva e intelligente, Teresa conquistò a tal punto il celebre straniero da convincerlo a seguirla nella natia Ravenna [10]. Qui, il genio sovrano di Byron si fece precursore del Risorgimento italiano [11] e aderì alla Carboneria introdotto dal suocero e dal cognato Pietro, ardenti liberali [12]. Anche la sua produzione letteraria aveva subito un profondo cambiamento: già il Manfred del 1817 si era distaccato per originalità di ispirazione dai suoi precedenti temi orientaleggianti, sostituiti ora da motivi più passionali e torbidi nei quali la sottile linea rossa della colpa tra eros e thanatos oltrepassava la frontiera gotica e si faceva voluttuosa corrispondenza di sensi che tutto divorava. Con il dramma Cain del 1821 tali approcci apparvero chiari nell’esaltazione dell’empietà di Caino e della ribellione di Lucifiero: l’opera suscitò scandalo e riprovazione tra i benpensanti, ma anche il convinto elogio di Goethe, Shelley, Scott.
Stabilitosi ad Albaro con l’inseparabile Teresa, il poeta si avviava ormai a concludere la sua tormentata esistenza [13]. Aveva solo 34 anni, ma si sentiva un uomo finito, stanco da ogni punto di vista, deluso dalla vita che pure egli aveva conosciuto in tutti i suoi aspetti. Solo i valori culturali ed estetici dell’Ellenismo non lo avevano disilluso. Ed egli «pellegrino dell’eternità» – come lo aveva definito Shelley – volle dedicare alla Grecia insorta nel 1821 contro il dominio turco le sue ultime energie.
La sua «fervida brama di gloria» [14] era di morire gloriosamente accanto ai patrioti greci. Ma anche questo sogno era destinato a restar tale. Giunto in Grecia fu infatti bloccato a Missolungi da un tempo inclemente e dal generale disordine in cui versava l’esercito dei patrioti. Nondimeno sempre attivo e nervosamente instancabile, Byron finì per crollare ed ammalarsi. Morì nell’aprile 1824, dopo una lunga e penosa agonia.
Accanto al capezzale giaceva un mucchio di lettere chiuse provenenti dall’Inghilterra con buone notizie: la sua patria lo riaccoglieva e tornava di nuovo a celebrarlo. Ma lui, il reprobo perdonato, non fece in tempo a saperlo.

Note:
[1] E. Castelar, Vita di Lord Byron, Milano, Sonzogno, 1905, p. 51.
[2] F. Mordani, Elogio storico di Giorgio Lord Byron, Ravenna, Tipografia Roveri, 1841, p. 9.
[3] A. Porta, Byronismo italiano, Milano, L.F. Cogliati, 1923.
[4] G. Melchiori, L’Italia di Byron, in «Lettere italiane», v. 10, n. 2, dell’aprile-giugno 1958, p. 133.
[5] S. Coote, Byron: The Making of a Myth, Londra, The Bodley Head, 1988.
[6] A. Lograsso, Byron traduttore del Pellico, in «Lettere italiane», v. 11, n. 2, dell’aprile-giugno 1959, p. 234.
[7] T. Wiel, Lord Byron e il suo soggiorno in Venezia, in «L’Ateneo Veneto», n. 28, del maggio-giugno 1905.
[8] M.P. Freschi Borgese, L’appassionata di Byron: con le lettere inedite tra Lord Byron e la contessa Guiccioli, Milano, Garzanti, 1949.
[9] N. Graziani, Byron e Teresa: l’amore italiano, Roma, Mursia, 1995.
[10] L. Rava, Lord Byron e P.B. Shelley a Ravenna e Teresa Guiccioli Gamba, Roma, Società Nazionale Dante Alighieri, 1929.
[11] E. Clarice Pedrocco, Il genio sovrano di lord George Byron, precursore del Risorgimento italico, Udine, Bianco & Figlio, 1948.
[12] G. Foa, Lord Byron. Poeta e Carbonaro, Firenze, La Nuova Italia, 1935.
[13] B. Melchiori, Lord Byron among the ghosts, in Arte e letteratura: scritti in ricordo di Gabriele Baldini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1972, pp. 241-257.
[14] G. Nicolini, Vita di Giorgio Lord Byron, Milano, A. Lombardi, 1855, p. 176.
@barbadilloit

Roberto Bonuglia

Roberto Bonuglia su Barbadillo.it

Exit mobile version