Esegesi “Salvini e/o Mussolini” di Buttafuoco/1. L’ansia di stravincere che logora i due Matteo

Matteo Salvini e Matteo Renzi

Come sempre, Pietrangelo Buttafuoco si lascia leggere che è un piacere. E il messaggio di Salvini e/o Mussolini arriva forte e chiaro: la distanza tra i due leader è incolmabile. Da qualsiasi lato la si guardi, non c’è che fare – con buona pace di coloro che non ce la fanno proprio a non sollevare spauracchi e vivere senza l’ossessione di ritrovarsi il Duce fin dentro l’ascensore. Ma lasciamo stare la questione, almeno per ora. Il libro va letto tutto, comprese le conclusioni che ci dicono tanto e tanto (persino cose che non si vorrebbero sentire). 

Se non ci fosse stata la pazza crisi di agosto 2019, parleremmo del leader leghista con un altro linguaggio, quello dell’invincibile. Dobbiamo fare, però, i conti con la storia. Accettando cioè che Salvini sia un grande leader, capace di un consenso straordinario, ma privo della mano de dios (sì quella che Maradona usò per umiliare l’Inghilterra nel 1986 in Messico). 

Le parole di Benito Mussolini servono ancora oggi a decifrare il presente. Piaccia o no, con la Marcia su Roma ottenne un’innegabile vittoria politica su tutti i suoi avversari. Fu proprio in quel frangente storico che utilizzò un’espressione potente: «Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non ci abbandona dopo la vittoria». Questo è il cosiddetto Discorso del bivacco, il primissimo intervento a Montecitorio da presidente del Consiglio. Nei giorni prima, anche i Quadrumviri utilizzarono alla stessa maniera la parola «stravincere».

Due indizi non fanno una prova, ma ci rivelano tantissimo. Ovvero, un preciso piano d’idee, un modus operandi ben codificato. Il risultato? La Rivoluzione (nel bene o nel male) è andata oltre i vent’anni. Per questo il confronto vero dovrebbe investire, invece, i due Matteo (uno è Renzi). Le vittime della maledizione delle Europee. Dopo averle vinte, a cinque anni di distanza l’uno dall’altro, hanno pensato entrambi di poter fare e disfare come meglio potevano le regole della Politica e umiliare i propri compagni di viaggio. 

Angelino Alfano sta all’ex sindaco di Firenze; come il M5s di Luigi Di Maio sta all’allora ministro dell’Interno. Di entrambi abbiamo avuto tutti la sensazione che a un certo punto potessero scrivere la storia non solo italiana, ma continentale. Eppure, anche loro si son dovuti arrendere tragicamente a un’evidenza: fin quanto resterà in vigore la Carta del 1948 saranno i Paolo Gentiloni e i Giuseppe Conti ad averla sempre vinta. 

@fernandomadonia

@barbadilloit

Fernando M. Adonia

Fernando M. Adonia su Barbadillo.it

Exit mobile version