Libri. “Essere e rivoluzione” di Perra: Europa e geopolitica sulle tracce di Haushofer e Ratzel

Pubblichiamo un estratto dell’introduzione dello studioso di geopolitica Daniele Perra al suo saggio “Essere e rivoluzione”, edito da NovaEuropa (Milano).

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Ogni grande orientamento geopolitico è anche e soprattutto un orientamento spirituale. Di questa incontrovertibile verità erano ben consapevoli i padri fondatori della  geopolitica (da Friedrich Ratzel a Karl Haushofer) ed alcuni fra i precursori ottocenteschi di questa scienza “anti-moderna” come il romeno Ion Ghica ed il russo Konstantin Leont’ev.

  Tale “anti-modernità” consiste essenzialmente nel fatto che la geopolitica, a differenza della scienza moderna propriamente intesa, non ha alcuna presunzione di esattezza. Essa è infatti sottoposta all’arbitrio umano e, di fatto, struttura il rapporto che intercorre tra l’uomo e lo spazio in cui vive. E questo rapporto può essere impostato su basi autentiche o su basi inautentiche. Ma questo, a sua volta, è il campo essenziale della geofilosofia.

 Nella modernità tecnico-meccanicistica ogni territorio può essere “abitato”, ma in nessuno luogo l’uomo può mettere le proprie radici. Il razionalismo tecnico-economico priva infatti l’Esser-ci di punti di riferimento. La terra, in questa visione, non ha alcun significato come “madrepatria”. La “sradicatezza” è il fondamento esistenziale dell’uomo che vive immerso nella tecnica. Ed il pensiero tecnico è per sua stessa natura  incapace di idee politiche e filosofiche. Ma tale incapacità è spesso indotta o imposta dall’esterno.

 Il caso dell’Europa odierna, stretta fra la morsa della tecnocrazia e di una pluridecennale occupazione militare (che ha spinto per la realizzazione della stessa Unione tecnocratica), in questo senso è emblematico. Ecco, dunque, che il recupero di una coscienza geopolitica si impone quale condizione indispensabile per un reale sviluppo sociale e politico dello spazio europeo. Si potrebbe addirittura affermare che questa sia necessaria per una rigenerazione spirituale dello spazio europeo.

  Questa rigenerazione non può che partire dalla constatazione geografica che l’Europa altro non è che l’estremità occidentale dell’immensa dimensione spaziale eurasiatica. E che solo volgendosi ad Oriente, verso quella direzione alla quale per San Giovanni Damasceno bisogna indirizzarsi per adorare Dio, può riscoprire l’intrinseca unità spirituale che accomuna i popoli di questo vasto continente.

  L’unione con l’Oriente è la via. L’Impero (declinabile sotto forme diverse) è la forma di sviluppo storicamente e geopoliticamente obbligata per tale unificazione. Ma tale unificazione è possibile solo a patto di una reale rivoluzione geopolitica e spaziale. Il termine “rivoluzione”, in questo caso, deve però essere interpretato nel senso etimologicamente corretto della parola: ovvero, non come piano inclinato verso un indefinito progresso ad infintum, ma come ritorno ad un punto di partenza dal quale ricostruire il proprio essere-nel-mondo autentico, violato e costretto all’oblio.

  L’Europa deve necessariamente prendere coscienza che non è Occidente nel senso che oggigiorno si attribuisce a tale termine: quello di blocco culturale unitario sottoposto al dominio egemonico del Nord America. E per fare ciò deve necessariamente diffidare di tutti quei falsi profeti (d’oltreoceano o europei stessi) che predicano il ritorno al politico ed il risveglio dei popoli ma che in realtà non sono altro che prodotti di quello stesso sistema tecnico-liberale che pretendono di combattere attraverso la re-imposizione di valori artificialmente costruiti che mirano, al contrario, al mantenimento inalterato della medesima macchinazione filosofica e geopolitica.

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 Quest’opera non ha la presunzione di rappresentare un manifesto filosofico per la rigenerazione dell’Europa, o addirittura dell’Eurasia. La sua funzione (almeno così si augura chi scrive) è quella di trovare gli strumenti concettuali atti a preparare la strada verso la summenzionata rivoluzione geopolitica, attraverso la riscoperta di pensatori che, per motivi facilmente immaginabili, sono stati marginalizzati ed ostracizzati dal sistema culturale dominante.

  Al fine di raggiungere tale scopo si procederà ad una particolare interpretazione geopolitica del pensiero heideggeriano che con tutta probabilità avrebbe fatto storcere il naso allo stesso pensatore tedesco. Tuttavia, è opportuno sottolineare come le categorie della geopolitica abbiano un profondo portato ontologico, e che la visione “geografica” di molti pensatori della geopolitica è stata spesso contraddistinta da un poderoso afflato spirituale. Allo stesso tempo, è altrettanto utile sottolineare che proprio il pensiero di Heidegger, a prescindere da quella che è l’interpretazione maggiormente diffusa (e dallo stesso concetto di Gelassenheit – tranquillità distaccata – elaborato dal filosofo tedesco), abbia delle enormi potenzialità rivoluzionarie inespresse. Tali potenzialità sono racchiuse proprio in quel concetto di Esser-ci (Dasein) che racchiude in sé il senso della relazione autentica tra l’uomo e lo spazio.

  Oggi, di fatto, punto di partenza necessario per ogni reale “rivoluzione” è proprio il rigetto di tutte le forme culturali e filosofiche che hanno inquinato (si spera non definitivamente) l’Esser-ci europeo. In questo senso, Heidegger fu profetico quando, al termine del Secondo Conflitto Mondiale, pur riferendosi esclusivamente alla Germania, scrisse: “Per quanto tremende da sopportare siano la distruzione e la devastazione che adesso sopraggiungono sui tedeschi e sulla loro terra natia, tutto questo non raggiungerà mai l’autoannientamento che ora, nel tradimento al pensiero, minaccia l’Esser-ci”. E sempre in quella raccolta di note, pubblicate sotto il titolo di Quaderni neri e spesso utilizzate come prova per un nuovo “processo ideologico”, si trovano delle indicazioni ancor più interessanti, che accostano Heidegger (seppur i due rimangano collocati su fronti opposti) ad un altro pensatore tedesco che verrà indagato in corso d’opera: Ernst Niekisch.

 Heidegger, pur non rinnegando mai ufficialmente la sua iniziale adesione al nazionalsocialismo, a guerra conclusa, dopo aver ammesso di non aver compreso da subito l’essenza dell’hitlerismo, ebbe modo di constatare come fra il regime hitleriano e quello democratico imposto alla Germania non vi fossero grandi differenze. Sostanzialmente il secondo era semplicimente più ipocrita rispetto al primo. Così, alla pari di Niekisch, sostenne con forza ancora maggiore il fatto che la Germania, e con essa l’Europa, non avesse affatto bisogno “dell’influenza morale e politica di altri” e che certo antifascismo altro non fosse che il servo di una forma di fascismo ben più strisciante: quello della tecnica globalizzante, della democrazia liberale e del mercato.

Daniele Perra

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